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30/09/2013

Game over Italia

Le tensioni Mediaset spengono il funzionamento istituzionale del paese

Chissà se James Rosenau, autore di uno dei testi pilota sul concetto di governance nella globalizzazione, aveva pensato qualcosa di simile all’attuale caso italiano. Detto in modo sintetico, Rosenau aveva infatti concepito un processo, magari non del tutto ordinato ma sicuramente indirizzato, di passaggio di competenze dal governo alla governance. Passaggio che si giocava tutto nel trasferimento di potere dalla sfera delle decisioni prese sotto l’influenza formale ed informale della volontà popolare a quelle prese, in modo formale e con discrezione informale, dai portatori di interesse specie se rappresentati nelle corporation economiche e nei grandi attori finanziari. Il caso italiano invece è quello di una sfera della volontà popolare paralizzata e di una della governance barocca quanto incapace di innovare. E qui ancora nei livelli di governance, da quella amministrativa alla bancaria e alla corporate governance, si fabbricano decisioni, anche se spesso più per riproduzione di sofisticati dispositivi di potere che per reale efficacia, legandosi a soggetti transnazionali (istituzionali come di mercato). Mentre nella dimensione italiana del governo complessità e paralisi sono pienamente sinonimi. Uno degli attori protagonisti di questa paralisi è sicuramente quell’incrocio tra soggetto mediale oligopolista di mercato che è Mediaset e soggetto politico di rendita di quote di potere elettorale che è Forza Italia (al netto della situazione caotica del centrodestra). L’attuale paralisi della dimensione italiana del governo è provocata, per fermarsi agli ultimi frame di una paralisi di sistema, da questo soggetto ed ha alcune cause evidenti. La prima è legata al problema della successione Mediaset, in una struttura interna di tipo monarchico, che non esprime una catena di comando chiara per il dopo Berlusconi. Giocoforza, i problemi di successione, intuibili dall’apparizione pubblica sfuggente ed incoerente dei vari eredi, fino ad adesso sono stati rovesciati sul governo. L’allargamento delle transizione, sotto forma di caos politico-istituzionale, nella soluzione al caso Berlusconi serve infatti anche a dare tempo ad una lotta per la successione che non esprime per adesso un vincitore certo. Non a caso chi si è appoggiato, vedi La Stampa, sulla vecchia guardia Mediaset e Mediolanum (Confalonieri, Doris) per declamare un processo di “pacificazione” c’è rimasto scottato. Perché mentre il vecchio comando di Mediaset sta declinando non è ancora chiaro il nuovo. Mediaset, insomma, per sopravvivere in questa fase sposta i propri conflitti interni sul governo. Complimenti agli strateghi delle larghe intese.

Seconda causa della paralisi politico-istituzionale attuale è la situazione del titolo Mediaset. Hanno prevalso le interpretazioni che vogliono che Forza Italia, comunque vadano le cose al governo italiano, sia un attore indispensabile a livello istituzionale. Cosi’ alzare il livello della conflittualità politica, come visto durante tutto il 2013 dove il titolo Mediaset ha raggiunto punte di apprezzamento del 130% rispetto al 2012, paga sul piano del dividendo azionario. Si pagano quindi i 2-3 per cento persi in qualche sessione di mercato ma si tiene la barra dritta della conflittualità politica, da parte di Mediaset-Forza Italia, nella convinzione che sostanzialmente paghi sul piano finanziario e, last but not least, su quello del posizionamento politico dell’azienda. Che deve navigare su un mercato mediale comunque difficile e deve combattere contro la magistratura su sentenze legate a fondi neri e pesanti, mezzo miliardo di euro, sanzioni da pagare. Terza causa della paralisi è, infine, squisitamente legata ai problemi di vero declino politico-elettorale. Il centrodestra rappresentava, fino a pochi anni fa, circa metà dell’elettorato oggi ne rappresenta circa un terzo. Lo scontro interno tra chi vuol far fruttare questo ancora considerevole patrimonio elettorale, entro una dimensione di negoziazione conflittuale sulla revisione costituzionale ed altro, e chi vuol rilanciare l’azione politica alzando il tiro del conflitto è un classico dei partiti in declino. E’ possibile che le posizioni presenti in Forza Italia riflettano anche quelle aziendali. E qui il livello del conflitto in corso, che non è solo rumor speculativo per alzare il valore delle azioni Mediaset, si rispecchia nella profonda crisi e nelle inquietudini legate al futuro del mercato mediale e pubblicitario.

In questo senso lo schema delle larghe intese pensato sul modello del compromesso storico del ’76, parole testuali di Napolitano la scorsa primavera, si rivela completamente sballato. Mentre al Pd infatti non è mancato il senso di sacrificio, di sé stesso oltre che del proprio elettorato, in nome della santa accumulazione capitalistica, come già accadde al Pci, il Pdl ora Forza Italia è totalmente altra cosa rispetto alla Dc. Partito quest’ultimo che, in una situazione di unità nazionale che richiedeva governo dell’economia oltre che della politica, poteva controllare aziende, finanza e, quando necessario, influenzare la Banca d’Italia. Forza Italia è, al contrario, espressione di una sola azienda che deve cambiare anche velocemente il riflesso politico di decisioni e strategie prese in un mercato globale, e mediale, che richiede flessibilità di comportamento. E nel mezzo di boom azionario ma anche di un travaglio legato a processi di successione e di prospettive insicure del core business televisivo. E qui di sicuro, più delle pastorali di Napolitano (un velenoso relitto politico fuori dal tempo e dallo spazio che solo un partito da operetta degradata come il Pd poteva votare di nuovo come presidente) per Mediaset contano i pareri degli investitori internazionali che hanno contribuito a alzare anche del 130 per cento il valore delle azioni della azienda-cassaforte di famiglia.

In questo modo una fase tesa e controversa della storia aziendale di Mediaset è la causa del game over della politica istituzionale italiana. E il gioco, a causa della profondità di una crisi politica italiana cominciata ben prima delle caduta del muro di Berlino, non sarà riacceso tanto presto. Siamo quindi ad un prossimo futuro italiano di governance senza governo. Curiosamente a causa di ben altri processi, di dissoluzione critica del potere piuttosto che di esternalizzazione, rispetto a quanto teorizzato dalle teorie estreme della governance. Ma qui la questione non è solo teorica, in fondo il capitalismo oggi è o governance estrema quindi dissoluzione della democrazia o incontra serie difficoltà di funzionamento, ma di immediato destino di questo paese. Probabilmente, nei prossimi mesi, differenti istituti di governance (multilivello Ue, bancaria, finanziaria, corporate governance) e differenti cartelli di interesse occuperanno lo spazio lasciato vuoto dalla paralisi del governo italiano. Ma senza un centro, un livello di governo che tiene coesa o in qualche modo condiziona la società questa occupazione di spazi può risultare effimera. Si pensi alla legge di stabilità, la ex finanziaria: per quanto dettata dai livelli della governance di Bruxelles, nei passaggi definiti dall’accordo Two Pack, ha bisogno di essere ratificata da un governo. La crisi italiana, che è quella di un governo minimo per non dire sottile, è quindi sia una crisi delle istituzioni della volontà popolare che una immissione di forte complessità in quelle dei portatori di interesse, sui quali si struttura la governance, legati all’Italia. L’Ue ha già fatto capire, nel laboratorio greco, di non gradire affatto soluzioni fasciste per il piano legato alla volontà popolare in questo genere di crisi. I recenti arresti ai vertici di Alba dorata ce lo fanno capire. Si cercheranno quindi soluzioni mediatico-plebiscitarie, rivestite di forma democratica, in modo da assemblare decisionismo, consenso e simulacro di democrazia. In questa disciplina però in Italia Mediaset e Berlusconi sono maestri e si dovrà comunque fare i conti con loro. E anche un loro eventuale ridimensionamento non sarà un processo né facile né breve né comunque privo di conseguenze.

Per Senza Soste, nique la police

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Elezioni in Austria: avanza l’estrema destra

Un altro paese d’Europa vede il progresso elettorale dell’estrema destra e il ridimensionamento dei partiti centristi storici, i democristiani e i socialdemocratici, che avrebbero avuto il peggior risultato dal dopoguerra ad oggi.

Secondo le prime proiezioni dopo il voto di oggi – i seggi si sono chiusi alle 18 – i socialdemocratici del cancelliere in carica Werner Faymann avrebbe ottenuto il 26,4% contro il 29,3% andato alla Spoe nel 2008. I democristiani della Oevp, guidati dal vice-cancelliere e ministro degli esteri, Michael Spindelegger, sarebbero scesi dal 26% al 23,8%. Il partito ‘liberale’ di estrema destra Fpoe guidato da Heinz-Christian Strache, successore del defunto Joerg Haider, avrebbe raggiunto quota 22,4% rispetto al 17,5% di 5 anni fa. Un altro partito di estrema destra, fondato dallo stesso Haider poco prima di morire in un incidente stradale, la Bzoe (Lega per il futuro dell’Austria) si sarebbe fermato al 3,7%, senza poter entrare nel nuovo parlamento non avendo superato la quota di sbarramento del 4%. Passata invece da altre due neonate formazioni centriste: il Team Stronach, dell'81/enne miliardario austro canadese Frank Stronach che prende il 6% dei voti, e i Neos (nuova Austria), formazione liberal-democratica che arriva al 4,7%.  A ‘sinistra’ i verdi salgono all’11,2% dal 10,4 preso nel 2008.

Secondo la stampa austriaca i due maggiori partiti, nonostante il calo, potrebbero continuare a governare con una ‘grande coalizione’ così come nella legislatura appena conclusasi, ed eventualmente potrebbero rafforzare il proprio esecutivo ricorrendo ad una delle nuove formazioni politiche centriste affacciatesi sulla scena.

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La favola del "vincolo esterno"

Per lungo tempo, in Italia, autorevoli esponenti delle istituzioni ci hanno narrato una favola: quella secondo cui il “vincolo esterno” imposto dall’Unione monetaria europea sulla gestione della moneta, del tasso di cambio e del bilancio pubblico, avrebbe finalmente costretto i piccoli “ranocchi” del frammentato e arretrato capitalismo italiano a crescere, rafforzarsi e diventare grandi “principi” del capitalismo globale contemporaneo. Oggi sappiamo che le cose sono andate diversamente. Come rimarcato anche in un recente “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times, l’Unione monetaria europea non sta affatto contribuendo a modernizzare i paesi periferici dell’Europa ma sta allargando i divari rispetto alle economie più forti del continente. Una intervista a Emiliano Brancaccio, tra i firmatari del documento.


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Ancora provocazioni contro i No Tav: buste e proiettili

Come prima di Genova 2001, come sempre contro il crescere dei movimenti di lotta, puntuale come una cancrena arriva la provocazione dei servizi in vista di una grande mobilitazione di massa.

Se da una parte Paolo Ferrero, segretario del Prc, denuncia un'infiltrazione dei servizi nel partito - all'evidente scopo di dissolverne le residue capacità organizzative - dall'altra si procede spedendo "buste contenenti proiettili" a un terzetto di sindacalisti non particolarmente combattivi (i segretari regionali degli edili piemontesi aderenti a Cgil, Cisl e Uil), che alcuni giorni fa - ma nessuno se ne era accorto - avevano espresso apprezzamento per l'avanzare dei lavori in Valle, che avrebbero secondo loro "creato occupazione". Stupidaggini, come ognun sa, ma che vengono dette quotidianamente da molti esponenti dei vari settori che nel "fare il buco" trovano un vantaggio immediato, senza nemmeno porsi il problema dell'utilità "per il Paese". Nulla di rilevante, insomma.

Ma "qualcuno" ha pensato bene di usare questi tre sconosciuti per metter su un nuovo episodio della telenovela "terrorismo in Val Susa". E non si può dimenticare la coincidenza di questo tentativo con l'arrivo sui cantieri di un ministro dell'interno venuto a fare la voce grossa contro il movimento mentre a Roma il suo "fuhrer" gli ordinava di dimettersi e far cadere il governo.

Le tre buste con proiettili sono state bloccate e sequestrate dai carabinieri al centro di smistamento delle Poste, in via Reiss Romoli.

All'interno delle buste, un proiettile calibro 7.65 e una lettera considerata "minacciosa". Appena un paio di frasi prese a casaccio dall'immaginario discorsivo dell'altro millennio: “No Tav No valico, alzare il tiro: pagherete caro pagherete tutto". Come si può notare, nell'ordine. la "firma" su cui si vuole scatenare la repressione, la frase che ha fatto il giro dei giornali nei giorni scorsi (a proposito della fantomatica "lettera delle Br ai No Tav") e un caro vecchio slogan degli anni '70. Non proprio uno sforzo letterario di grande respiro. Si vede che vanno al risparmio, c'è grossa crisi...

Vedi anche www.contropiano.org/politica/item/19264-bastardi-dentro-la-criminalizzazione-dei-no-tav

Per avere un esempio della campagna di mostrificazione del movimento, basta dare un'occhiata a Repubblica di due giorni fa:


No Tav, le mani dei violenti sul movimento: due gruppi estremisti si contendono la valle

Anarchici contro autonomi: le opposte strategie dietro l'escalation di attentati. Da una parte lo spontaneismo, dall'altra l'organizzazione e la pianificazione

di PAOLO GRISERI

La discussione è pubblica. Attraversa i siti e le culture dell'area radicale italiana. È la discussione sulle forme di lotta, su quanto ci si possa spingere oltre la legalità. Un discussione che è anche competizione tra i gruppi estremi: vince chi, tra area anarchica e area autonoma, riesce ad esprimere la linea più radicale. È stata quella discussione a stuzzicare le invidie di chi ha fallito il suo progetto di insurrezione armata, come Vincenzo Davanzo e Vincenzo Sisi e oggi invita i NoTav a "compiere un salto in avanti politico organizzativo". Ma sono gli esiti di quella discussione tra ali estreme, ben più dei proclami di terroristi falliti, a preoccupare chi sta conducendo le indagini sugli assalti al cantiere in valle e sta cercando di prevenire una nuova esclation di attentati.

Da subito, a differenza di altre volte, i leader del movimento hanno preso le distanze dai proclami di Sisi e Davanzo. Arrivando addirittura a ipotizzare che si sia trattato di "una provocazione", come paventano i parlamentari di Grillo. E però i due esponenti delle "nuove Br", avevano da tempo un occhio di riguardo per la valle. Già nel maggio 2012 avevano affermato che "il movimento italiano più avanzato, che ha conquistato un carattere di avanguardia di massa è ovviamente il No Tav".

Un movimento nel quale, spiegavano Sisi e Davanzo, i movimenti anarchici e "anarco-comunisti" avevano dimostrato "la capacità di inserirsi e diventare fermenti attivi".

Più del delirio di immaginare una evoluzione armata della lotta in Valle, colpisce questo giudizio sui "fermenti attivi" di anarchici e area autonoma. Le due matrici sembrano infatti sempre più egemoni tra i No Tav e sembrano in grado di imporre le loro parole d'ordine. Quella dell'estate del 2013 doveva essere, ed è stata, "sabotaggio". La parola scandalo, al centro delle polemiche, rivendicata da Erri De Luca, era già indicazione, il 3 luglio scorso su "Lavanda", la pubblicazione dell'area anarco-ecologica valsusina. Più che un'analisi, un programma operativo sull'attacco al cantiere: "La roccia protegge quanto una maschera antigas. I fari proiettano ombre dove trovare riparo mentre illuminano gli automezzi da attaccare. Ogni guard rail contiene in sé una barricata.. con la giusta mira le pietre qualsiasi diventano pepite d'oro". Perché "se condotte sotto l'egida della legalità, le lotte non avanzano di un passo". Si tratta dunque di "superare il guado" della legalità. Fino a immaginare, anche qui, un "salto di qualità": "L'assunzione collettiva della pratica del sabotaggio". Nel mirino è "la logistica del Tav: ditte, forniture, banche, truppe di occupazione, alberghi".

È esattamente ciò che è accaduto nei mesi successivi. Incendi ai cantieri e alle sedi delle società che lavorano per la galleria, intimidazioni ai lavoratori di Chiomonte. Superare il "guado" della legalità serve anche a sconfiggere la concorrenza dei 5stelle: "Non facciamoci illusioni su eventuali sponde parlamentari. Non ci sono né palchi per grandi attori, né posti a sedere per spettatori". Ma su come praticare il sabotaggio le opinioni sono diverse. Perché all'ala anarchica si oppone tradizionalmente quella autonoma di tradizione leninista, tipica dei centri sociali, che combatte lo spontaneismo e l'individualismo anarchici. Nella notte del 30 agosto scorso vengono incendiati i capannoni della Geomont, una delle ditte che lavorano a Chiomonte. In quei giorni "Notav.info", sito di area autonoma, sembra prendere le distanze: "Sappiamo che il movimento No Tav non ha appiccato il fuoco". Segue l'insinuazione che dietro l'incendio ci sia una torbida storia di assicurazioni. Immediata la reazione anarchica: "E se qualcuno avesse deciso di attaccare la ditta per la sua partecipazione alla devastazione della Val di Susa? Persino i bambini sanno chi è stato davvero a dare fuoco alla Geomont". Più che una polemica, una rivendicazione.

Non colpisce tanto il livello dello scontro, quanto il fatto che siano queste le componenti egemoni nel movimento. Al punto che anche il leader riconosciuto dei Comitati No Tav di valle, Alberto Perino, che si definisce "ghandiano", sente la necessità di coprire pubblicamente il sabotaggio: "Certe volte i generatori e i camion si vergognano del lavoro che stanno facendo e si danno fuoco come i bonzi".

È a queste suggestioni di "superamento del guado" della legalità, a questo brodo di coltura, che si rivolgono gli appelli degli ultimi rimasugli del partito armato. Certamente non avranno successo. Ma a preoccupare sono il quadro che si è andato disegnando in questi mesi nella valle e la competizione tra aree estreme. Dopo l'estate del sabotaggio, quale sarà il prossimo "salto di qualità"?

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Cresce la mobilitazione: le nuove Quattro Giornate contro roghi e veleni

Dopo Aversa ed Acerra, l’altra sera anche Giugliano ha dato un segnale fortissimo non solo alla Campania ma all’Italia intera, perché ciò che è avvenuto e ancora sta avvenendo in questa regione non si può più pensare che non riguardi tutti. Migliaia di persone hanno sfilato, infatti, in corteo per dimostrare che non staranno più a guardare inermi la “condanna a morte” che qualcun altro ha decretato per loro e per la loro terra.
E ieri sera il miracolo si è ripetuto a Casal di Principe, dove in tantissimi hanno ancora una volta fatto sentire la propria voce in luogo “altamente simbolico” per i motivi che tutti ben conosciamo. E per una bellissima coincidenza proprio in queste ore celebriamo i 70 anni delle Quattro Giornate di Napoli. E oggi, proprio da Casale, dove tutto sembrava finito, è ricominciato anche il nostro riscatto; però stavolta i nemici non sono i nazifascisti, non sono le bombe, ma i veleni tossici con cui ci hanno avvelenato e, ripetiamo, continuano in maniera impunita a farlo.
Perché è inaccettabile essere costretti a rinunciare, per la paura, ai gesti più semplici come mangiare la nostra frutta e la nostra verdura. Perché per ogni fusto tossico che viene scavato oggi, quando lo si sarebbe dovuto cercare almeno venti anni fa, c’è un nuovo, tremendo, rogo tossico sopra le nostre teste. Perché il controllo del territorio, nonostante i proclami, assolutamente non c’è, e non c’è interesse ad averlo, se non quando bisogna decidere dove edificare un nuovo scempio targato Impregilo, mettere in atto la repressione del dissenso o organizzare le passerelle stantie del ministrucolo di turno.
Perché non vogliamo più assistere a prescrizioni di importanti processi ambientali e a insabbiamenti di indagini scomode “non solo alla criminalità organizzata” ma soprattutto ai “politici” che hanno governato e ancora governano questa regione e ai “colletti bianchi”. Perché non si può e non si deve ancora aspettare a togliere il segreto di Stato dalle audizioni del pentito Schiavone alla Commissione bicamerale di inchiesta sulle ecomafie.
Perché non possiamo accettare l’ipotesi che “uomini di Stato” abbiano attivamente partecipato con la loro collusione a questo scempio e nessuno si degni almeno di sentirsi scandalizzato “per queste infamanti accuse”. Perché vogliamo le bonifiche ma solo e unicamente “sotto il controllo popolare”. Perché, finora, nessuno ha ancora pagato per questo Olocausto, tranne i nostri caduti.
Perché è inaccettabile che un migliorista Capo dello Stato non venga ad inginocchiarsi “al capezzale della propria terra” ma trovi il tempo, “con viva e vibrante soddisfazione”, di pensare a indulto e amnistia, che magari serve “anche” a chi sappiamo noi. Perché il popolo campano si piega ma mai si spezza e ha capito, finalmente, pagando caro sulla propria pelle, che la lotta oltre che in piazza si fa in cabina elettorale: perché davvero basta Bassolino e Nick ‘o Mericano! Perché la difesa del territorio è l’unica cosa per cui valga la pena ancora combattere e perché, dalla Val di Susa alla Sicilia No Muos da Taranto e alla Campania, non passeranno più sulle nostre vite.

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‘Scacco al Re’: la Spagna repubblicana in piazza


Non è stata esattamente una manifestazione oceanica quella che ieri ha contestato per l’ennesima volta la monarchia iberica nel centro di Madrid. A tenere lontani molti manifestanti una pioggia torrenziale durata ore e anche le minacciose dichiarazioni dei responsabili locali e statali dell’ordine pubblico. E, è onesto ammetterlo, anche alcune contraddizioni interne ad un movimento dei cosiddetti ‘indignados’ che oscilla tra rivendicazioni apertamente anticapitaliste e tentazioni di approdare in Parlamento con forze politiche neonate ispirate al ‘grillismo’.

Alla fine non c’è stato né il previsto accampamento con le tende né l’assedio al Palazzo Reale, in un centro di Madrid dove il governo aveva mobilitato ben 1400 agenti dei reparti antisommossa, e non si sa quanti agenti in borghese.

Comunque nel centro della capitale iberica in piazza sono scese alcune migliaia di manifestanti, 2000 per la polizia, 8000 per i promotori. Una contestazione aperta e radicale contro la Monarchia al grido di ‘Scacco al Re’, convocata dal coordinamento 25-S – lo stesso che l’anno scorso invitò ad assediare e ‘occupare’ il Parlamento – che non solo mette sulla graticola Juan Carlos e consorte ma l’istituzione stessa, garante della conservazione della cultura e delle istituzioni franchiste all’epoca del passaggio dalla dittatura ad una democrazia monca. I dimostranti hanno marciato in corteo dalla stazione della metropolitana della Moncloa – vicino alla sede del governo – fino a Plaza de Oriente, luogo di raduno dei fascisti ai tempi di Franco. Un corteo che ha chiesto, senza mezzi termini, l’abolizione della monarchia e l’apertura, finalmente, di un processo costituente che approfondisca il grado di democrazia nel paese e introduca meccanismi di partecipazione e di sovranità popolare che alla morte del dittatore furono esclusi dal patto tra il partito franchista e i maggiori partiti dell’opposizione, garante il giovane Juan Carlos di Borbone, nominato dallo stesso Francisco Franco suo ‘erede’ alla guida del paese. Non è un caso che lo slogan più gridato dai manifestanti, arrivati anche da Burgos, Valladolid e Valencia, fosse “Juan Carlos Primero, de Franco es heredero" (“Juan Carlos 1°, di Franco sei l’erede”). Slogan anche contro i tagli allo stato sociale, la riforma del lavoro, le politiche neoliberiste e i diktat della troika. Sventolando per quanto possibile le bandiere repubblicane tricolori, i manifestanti hanno percorso la Gran Via fino ad arrivare a Puerta del Sol – luogo simbolico delle prime enormi manifestazioni dei cosiddetti ‘indignados’ – al grido di ‘Los borbones a los tiburones’ (I Borboni in pasto agli squali) senza poter arrivare però davanti a Palazzo Reale, blindato da migliaia di poliziotti e reso inaccessibile da un imponente dispositivo di transenne.

La giornata si è conclusa con un pizzico di frustrazione ma con nessun arresto. Anche se ben 65 manifestanti, bloccati e identificati all’uscita del Centro Sociale Occupato La Traba, sono stati denunciati perché accusati di detenere bastoni – le aste delle bandiere – e di essere in procinto di scatenare degli scontri (il famoso processo alle intenzioni…). Tra i denunciati anche Doris Benegas, coordinatrice dell’organizzazione di sinistra ‘Izquierda Castellana’. Che insieme alle altre componenti del Coordinamento 25-S ha annunciato una denuncia contro le autorità per violazione del diritto di manifestazione, contestando la folle blindatura del Palazzo Reale che ha impedito ai dimostranti di poter legittimamente portare la loro protesta fin sotto la residenza della Casa Reale.

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Acque radioattive nei Navicelli: inizia l'avvelenamento delle popolazioni di Livorno e Pisa

L'impianto è in fase di collaudo, ma dalla prossima settimana inizierà la decontaminazione delle acque della piscina del reattore nucleare del Cisam di San Piero a Grado (Pisa), prima che le stesse siano scaricate nel canale dei Navicelli. Rispetto al piano stabilito c'è stato qualche ritardo, ma per avere maggiori garanzie di sicurezza. Lo assicura al quotidiano ambientale Greenreport.it l'ammiraglio Domenico De Bernardo, responsabile del procedimento.

+++ Sull'argomento vedi altri articoli di Senza Soste



''La formula di scarico - ha spiegato l'ufficiale - è stata elaborata dalla Lainsa, la ditta che si è aggiudicata l'appalto per il decommisioning. Ma per ragioni di trasparenza e confronto lo stato maggiore della Difesa ha deciso di sottoporla a un parere dell'Ispra, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ha espresso parere favorevole''.

cisamSecondo De Bernardo la formula ''consente di arrivare a un quarto della rilevanza radiologica, ed è calcolato in condizioni estreme: si ipotizza cioè che una persona faccia il bagno nei Navicelli e si cibi dei suoi pesci o di prodotti della terra irrigati con le acque del canale''.

L'impianto inizierà la sua missione la prossima settimana e avrà una capacità di decontaminazione di 30 metri cubi settimanali per un lavoro a ciclo continuo di 6-7 mesi se non vi saranno inconvenienti. ''Noi - sottolinea De Bernardo - verseremo 4 mc al giorno che di fatto sono diluiti dalla portata di 300 mc all'ora, qual'è quella del depuratore di Pisa Sud.

La cassa di clorazione inoltre verrà pulita e analizzata ogni tre mesi. Oltre alle analisi, il piano di vigilanza, così come le prescrizioni formulate dall'Ispra, prevede la registrazione dei dati degli allontanamenti delle acque dal Cisam e dei conferimenti a Pisa Sud, con un programma di sorveglianza e monitoraggio anche delle zone limitrofe a quelle dove verrà conferita l'acqua''.
Fonte: ansa
tratto da http://www.gonews.it/articolo_224710_Via-alla-decontaminazione-delle-acque-radioattive-del-Cisam.html
27 settembre 2013

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Io non sono uno specialista di decommisioning (Madonna puttana come mi danno in culo questi inglesismi di merda! Chiamatelo smaltimento cazzo!!!) ma dove sta l'estremismo concettuale nel supporre che, passi la nuotata, una persona si cibi con prodotti che sono venuti a contatto con le acque dei Navicelli?!?

Tanto tuonò che piovve: è la crisi di un governo che non doveva nascere

Ci siamo: la crisi è iniziata come era inevitabile che fosse date le caratteristiche di una maggioranza tenuta insieme con lo sputo e con un Cavaliere tristemente avviato al patibolo. Vediamo ora che può succedere.

Primo nodo da risolvere: Letta cade o no? Questo dipende da diversi fattori: il numero di dissidenti Pdl, cosa farà il M5s e se ci saranno altri dissidenti. Ma, anche se dovesse passare la fiducia al Senato, che prospettive avrebbe? Le dimissioni in massa dei parlamentari Pdl comporterebbero obbligatoriamente le nuove elezioni?

Di per sé, le dimissioni di un rilevante gruppo di parlamentari non comporta lo scioglimento delle Camere, ma se a dimettersi fosse la metà più uno (dei 315 elettivi, nel computo non andrebbero considerati i senatori a vita) il Parlamento (per lo meno la singola camera interessata) non sarebbe più rappresentativo e lo scioglimento diventerebbe obbligato.

Ad esempio, può succedere che alle dimissioni in massa di Pdl e Lega si aggiungano quelle dei M5s, sulla carta si tratterebbe di 157 su 315, uno in meno della maggioranza ed, a quel punto, deciderebbero i 7 senatori di Sel che sono all’opposizione di Letta ma non è detto che si dimettano con gli altri. In ogni caso, bisogna poi vedere quanti dissidenti potrebbero esserci fra grillini e Pdl. Facciamo l’ipotesi che a dimettersi siano meno della metà più uno, ma comunque un numero alto (poniamo 140), in teoria si potrebbe procedere con la sostituzione, proclamando i primi non eletti ma ci sarebbero problemi sia tecnici che politici. Ad esempio, in Lombardia la destra ha vinto ottenendo il premio di maggioranza ed ha eletto più della metà dei senatori, per cui non ci sarebbero candidati sufficienti a rimpiazzare i dimissionari e questo potrebbe ripetersi anche per le altre regioni in condizioni simili. Per cui avremmo un Senato incompleto, con un certo numero di seggi vacanti, anche perché pure i sostituti potrebbero dimettersi a loro volta.

Risultato: avremmo un Senato a composizione quasi dimezzata. Indire elezioni suppletive per occupare i seggi mancanti? Accadde nel 1972 quando, a causa della morte del senatore della Val d’Aosta quella regione restò senza rappresentante e si votò di nuovo in quella regione. Ma si trattava di un caso particolare in un collegio uninominale. Nel nostro caso non c’è nessuna legge che lo preveda e non si saprebbe come fare.

Dunque, resterebbe il problema di un Senato a composizione ridotta, il che porrebbe problemi di ordine politico e costituzionale non secondari. Pertanto, anche se Letta ottenesse la maggioranza sarebbe molto difficile proseguire come se nulla fosse. Senza contare che il partito (o i partiti) dei senatori dimissionari potrebbero reagire con l’ostruzionismo sistematico alla Camera, magari con continue verifiche del numero legale.

Concludendo sul punto: può darsi che Letta resti in piedi anche grazie ai nuovi senatori a vita, ma per quanto? Sino al 2015? Cioè far durare una situazione così anomala per altri 18 mesi? Mi sembra molto difficile.

Il governo Letta ha combinato molto poco in questi mesi e non solo per il suo carattere eterogeneo, ma anche per l’inconsistenza personale sua e dei suoi ministri, per la mancanza di serie indicazioni programmatiche che non fossero l’esecuzione pronta, rispettosa e leale dei decreti dell’ “Europa”. Combinerebbe di più nei mesi successivi in una situazione come quella descritta? E cosa?

Dunque, realisticamente, prima o poi si andrà a nuove elezioni. Tutto sta a vedere se in autunno o in primavera, magari accorpando politiche ed europee. Che differenza farebbe? Molta direi. Votare subito significa votare con il Porcellum e con le conseguenze che è facile immaginare (prevedibilmente si riprodurrà l’impasse al Senato), sarebbe la soluzione più frontale, con probabili effetti sullo spread ecc ecc. Ma significherebbe anche far saltare in aria il meccanismo golpista di riforma della Costituzione messo in piedi in questi mesi. E bloccare, almeno per ora, il banchetto delle privatizzazioni.

Più o meno la stessa situazione ci sarebbe se votassimo a febbraio, come l’anno scorso, salvo che nel frattempo ci sarebbe la pronuncia della Corte Costituzionale e per votare occorrerebbe modificare, anche di poco, la legge elettorale nei punti eventualmente dichiarati incostituzionali dalla Corte.

Vice versa, votare fra marzo e giugno potrebbe (ma non necessariamente) essere fatto con una legge elettorale diversa, però si potrebbe avviare il banchetto delle privatizzazioni e cercare di portare a termine la riforma della Costituzione. Il che, da un punto di vista costituzionale, sarebbe un orrore senza precedenti: non solo la riforma sarebbe stata decisa da un sinedrio di “saggi” non eletti da nessuno, ma a ratificarla sarebbe un Parlamento monco. Ormai siamo abituati ad una gestione molto disinvolta delle questioni di ordine costituzionale, ma qui saremmo davvero al colpo di Stato senza neppure la parvenza di legalità.

Dunque, conviene mettere subito le carte in tavola e capire dove stiamo andando a sbattere. Ad esempio, il M5s potrebbe spiazzare tutti offrendo un’astensione al Senato per 2-3 mesi a due condizioni: immediato blocco dei lavoro della commissione per la riforma costituzionale e delle privatizzazioni e riforma elettorale con alcuni punti fermi.
Ora vediamo che succede…

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Al solito Giannuli macina queste cose con più incisività dei panzer tedeschi del '41...
Piacerebbe vedere il M5S, per una volta sul pezzo con una proposta realmente destabilizzante in positivo, ma onestamente dubito che il raggruppamento grillino abbia lo spessore intellettuale, e la scaltrezza politica per porre in essere un'operazione come quella suggerita da Giannuli.

Saldi all’Italiana

Saccomanni è un uomo ottimista, meno male perché c’è ben poco da stare allegri. Secondo il Fondo Monetario lo stato della nostra economia è preoccupante. Quest’anno il Pil dovrebbe diminuire dell’1,7 per cento, a detta del Tesoro, ma il Fmi non esclude una contrazione del 2 per cento. Siamo al quarto anno di recessione dal 2008, con alle spalle un calo del 2,4 per cento nel 2012. I conti pubblici, poi, non sono affatto a posto. Il deficit tendenziale per il 2013 è del 3,1 per cento, ragione per cui serviranno 1,5-2 miliardi per non sforare il limite massimo consentito dall’Europa pari al 3 per cento. Il problema è dove li troviamo tutti questi soldi?

C’è chi sostiene che si potrebbero vendere i beni pubblici ancora in nostro possesso: se escludiamo beni come l’acqua che un referendum ha sancito di proprietà esclusivamente pubblica, ci sono rimasti solo caserme e monumenti. Quasi tutti i gioielli di famiglia industriali se ne sono andati nel 1992, per far fronte alla crisi della lira. Naturalmente quella svendita, gestita dall’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi,  non portò, come era stato promesso, al miglioramento dei conti pubblici. Nel 1994 il debito pubblico ammontava a 1.771.108 miliardi di lire, il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995 fu di appena 27.000 miliardi, meno dell’1,5 per cento.

Piuttosto i saldi all’italiana produssero lo smembramento dell’industria pubblica a vantaggio di élite straniere ed italiane, oggi finalmente abbiamo capito che ha contribuito al processo di deindustrializzazione del paese che tanto preoccupa la Commissione Europea. Ed è bene rinfrescarci la memoria su come furono gestiti quei saldi per evitare di doverne pagare il conto ancora una volta noi.

Dal 1992 al 2002 il Tesoro gestì direttamente operazioni di privatizzazione per un controvalore di circa 66,6 miliardi di euro. A questa cifra vanno però aggiunte le privatizzazioni gestite dall’Iri (sempre sotto il coordinamento del Tesoro), per un controvalore di circa 56,4 miliardi di euro, le dismissioni realizzate dall’Eni (5,4 miliardi di euro) e la liquidazione dell’Efim (440 milioni di euro). Si tratta di cifre molto consistenti, da cui è facile intuire il valore e l’importanza dei beni venduti, o per meglio dire “svenduti”.

Per capire quanto valgono questi stessi beni che non ci appartengono più possiamo comparare gli incassi delle privatizzazioni con i valori delle rivendite degli stessi da parte dei privati o i valori attuali.
Il gruppo Benetton si aggiudicava per 470 miliardi GS Autogrill che poi ha rivenduto ai francesi di Carrefour GS per 10 volte tanto.
Nel 1992 la cessione del 58 per cento del Credito italiano produsse ricavi lordi per 930 milioni di euro, nel 2002 Unicredito italiano capitalizzava 26.593 milioni di euro.
Tra il 1994 e il 1996 la cessione del 36,5 per cento dell’Imi rese 1.125 milioni di euro, le successive 3 tranche, pari al 19 e al 6,9 per cento, rispettivamente 619 e 258 milioni di euro, nel 2002 Imi-Sanpaolo capitalizzava 16.941 milioni di euro.
Un caso a parte è poi rappresentato dal Banco di Napoli: quel 60 per cento che lo Stato ha venduto alla BNL per 32 milioni di euro (una volta ripulito delle perdite e dei crediti inesigibili con 6.200 milioni di euro di denaro pubblico), viene rivenduto dalla BNL, a distanza di pochi anni, per 1.000 milioni di euro. È anche vero che la BNL lo ha risanato completamente, ma la differenza tra i due valori è enorme. In ogni caso perché questo risanamento non poteva avvenire per mano dello Stato? Perché è gestito da incompetenti e da pirati.

Alle cifre di vendita da parte del tesoro vanno aggiunte le commissioni per i collocatori di borsa, banche che compongono il sindacato di collocamento e altri consulenti, così come le spese di registrazione e listing sui mercati azionari, spese per adempimenti CONSOB, SEC eccetera. Questi costi nel corso degli anni sono diminuiti, ma si aggirano comunque tra il 2 e il 3 per cento dell’ammontare totale del ricavato. Una fetta consistente di questo denaro, circa l’1 per cento, l’hanno poi incassata le maggiori investment banks anglosassoni, come J.P. Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, First Boston, Merrill Lynch e così via, per la loro attività di consulenza. Il tutto senza ovviamente rischiare in proprio neanche un dollaro, e senza dover neppure sostenere una gara pubblica per l’affidamento dell’incarico.

La seconda fase del processo di privatizzazione riguarda invece le banche di diritto pubblico, e include la privatizzazione de facto della Banca d’Italia i cui azionisti fino ad allora erano banche italiane di diritto pubblico. Dal 1992 la proprietà passa nelle mani di privati spesso addirittura esteri, che hanno rilevato quote sostanziose delle banche italiane come BNP Paribas, Crédit agricole, Banco Bilbao, Allianz eccetera, il tutto in palese violazione dell’articolo 3 del vecchio statuto, sostituito soltanto nel 2006. Le conseguenze più importanti di questa decisione riguardano la creazione di moneta, che dalle mani dello Stato – cioè noi cittadini – passa a quelle di soggetti esteri, a questi ultimi viene virtualmente ceduta una fetta della nostra sovranità nazionale.

Completate le privatizzazioni comincia il gioco delle sedie: alcuni personaggi chiave lasciano il settore pubblico e vanno a lavorare per le grandi banche straniere che hanno guidato la vendita del patrimonio nazionale sul mercato: Mario Draghi diventa vicepresidente della Goldman Sachs e Vittorio Grilli, ai tempi vicedirettore generale del Tesoro con delega alle privatizzazioni, viene assunto al Credit Suisse.

Qualcuno ha scritto che ciò che è successo in Italia assomiglia allo smembramento delle aziende di stato della vecchia Unione Sovietica, ed in parte il parallelo è giusto. Ma gli oligarchi russi se ne impossessarono, i manager ed i politici italiani le hanno smembrate per regalarle ai loro amici stranieri in cambio di posti di lavoro all’estero.

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29/09/2013

“Nazisti criminali”, decapitata Alba Dorata. E adesso?

Con una maxioperazione di polizia senza precedenti, ieri all’alba sono scattati in tutta la Grecia gli arresti di decine tra parlamentari, dirigenti e militanti del movimento neonazista ellenico Chrysi Avgi. Ieri sera erano 20 gli estremisti di destra finiti in manette, e una quindicina – ma presto potrebbero scattare altri mandati di cattura – sono ancora ricercati attivamente. Anche alcuni agenti di polizia sono caduti nella retata dei loro colleghi, compresa una sergente trovata in possesso di pistole, razzi, revolver, coltelli, tirapugni, taser, dinamite e materiale del partito che utilizza la svastica come simbolo. Anche in casa del ‘duce’ e fondatore di Alba Dorata, il 56enne Nikolaos Michaloliakos, sono state trovate due pistole ed un fucile.

Quella scattata contro il movimento che lo scorso anno ha ottenuto il 7% dei voti e che le politiche di austerità e massacro sociale della troika hanno portato nei sondaggi dei giorni scorsi al 13% è stata un’operazione in grande stile, decisa da alcuni magistrati dell’Aero Pago, la Corte Suprema ellenica, che ha improvvisamente cambiato atteggiamento nei confronti delle scorribande violente dei “chrisavgites”. Per anni lasciati fare contro immigrati, sindacalisti, omosessuali, attivisti di sinistra e artisti, perché utile valvola di sfogo per una popolazione massacrata da tagli, licenziamenti e privatizzazioni e che avrebbe potuto orientare la propria rabbia contro banche, sistema politico e imprenditori arraffoni. D'altronde ai discorsi di fuoco sulla ‘difesa della patria’ i 18 parlamentari di Alba Dorata hanno sempre associato un’estrema compatibilità con le politiche lacrime e sangue degli esecutivi telecomandati da Bruxelles e Francoforte. Basta guardare gli atti parlamentari, ed emerge un comportamento dei ‘ribelli’ neonazisti sempre a favore degli armatori, dei grandi capitalisti, degli evasori fiscali, di coloro che hanno affondato la Grecia e ora stanno facendo pagare il conto agli strati più bassi della popolazione.

Per questo, per anni, gli squadristi di Michaloliakos hanno agito indisturbati in particolare contro il capro espiatorio per eccellenza, gli immigrati, che sono stati aggrediti, picchiati, a volte uccisi. È significativo che molti media italiani nei giorni scorsi abbiano parlato della ‘prima vittima di Alba Dorata’ riferendosi al rapper antifascista Pavlos Fyssas, dimenticando le vittime precedenti. È stato apparentemente proprio l’omicidio di Killah P a costringere il governo greco a cambiare atteggiamento nei confronti delle camicie nere. Minacciando il taglio del finanziamento pubblico, ordinando perquisizioni in alcune sedi del partito, destituendo alcuni importanti dirigenti della polizia troppo collaborativi con Alba Dorata. Finché venerdì notte una riunione ‘segreta’ tra i ministri chiave di Samaras e l’Antiterrorismo non ha dato il via agli arresti ordinati. Per la prima volta dalla fine della dittatura dei colonnelli – di cui Alba Dorata rappresenta una esasperata continuità – a finire in manette sono stati alcuni parlamentari. E la faccia del ‘fuhrer’ Michaloliakos mentre gli agenti incappucciati lo portano fuori dalla sede centrale della Polizia, ammanettato, è rivelatrice della sorpresa e della rabbia del mandante di quella che la magistratura, nelle nove pagine che hanno dato il via alla retata, descrive come un’organizzazione criminale profondamente gerarchizzata colpevole di omicidi, aggressioni, rapine, estorsioni e riciclaggio di denaro sporco.

Un'inchiesta scattata dopo l’omicidio, il 17 settembre, del rapper 34enne ma che include decine di altre denunce che procure e dirigenti della polizia avevano per almeno tre anni lasciato nei loro cassetti, garantendo ai nazisti impunità e agibilità. Grazie al clima creato in Grecia dalla morte di Fyssas – enormi manifestazioni hanno chiesto la messa fuori legge di Chrysi Avgi, le cui sedi sono state assaltate e a volte distrutte dai manifestanti più radicali – i procuratori Charalambos Vourliotis ed Euterpe Goutzamani in pochi giorni hanno avocato a sé le varie inchieste, avvalendosi anche delle testimonianze di quelli che la stampa ha descritto come esponenti di Alba Dorata ‘pentiti’, e che a questo punto appaiono più come degli infiltrati dei servizi segreti nel movimento nazista. Da tempo, si è saputo, ‘attenzionato’ dalle forze di sicurezza che hanno pedinato gli squadristi e ne hanno intercettato le conversazioni. Soffiate e intercettazioni hanno permesso di risalire dal sicario autore dell’omicidio, Giorgos Roupakias, fino ai quadri locali di Alba Dorata di Keratsini e Nicea, e su fino ai massimi dirigenti del partito: Michaloliakos, Pappas, Michos, Kasidiaris e Panagiotaros. Che hanno perso l'immunità parlamentare in virtù dell'articolo 187 del codice penale, pur rimanendo in carica fino ad una eventuale condanna definitiva.

Le indagini hanno condotto ieri anche all'arresto di due agenti di polizia, dopo quelli già arrestati o messi sotto accusa nei giorni scorsi. Ieri, dopo due generali della Polizia, è saltato un altro pezzo da novanta, questa volta un dirigente del controspionaggio ‘dimissionato’ senza troppi complimenti. Secondo alcuni perché implicato nella preparazione di un eventuale colpo di stato dell’estrema destra. Dimos Kouzilos, capo della Terza divisione Peg del controspionaggio ellenico, la sezione dedita al controllo nazionale delle intercettazioni telefoniche e quindi ‘Grande Fratello’ ellenico, sarebbe parente del deputato di Alba dorata Nikos Kouzilos. Secondo altri la colpa di Kouzilos, promosso all’incarico da Ioannis Dikopoulois, uno dei due capi della polizia sostituiti tre giorni fa, sarebbe stata quella di non aver colto e denunciato le responsabilità dei vertici neonazisti che pure teneva sotto osservazione da tempo.

Alcuni media ellenici riportano oggi che nei giorni scorsi un’informativa al governo ellenico proveniente dai servizi segreti greci ma anche da quelli israeliani allertava su un possibile colpo di stato, ideato da Alba Dorata insieme ad alcuni militari ed ex militari in pensione guidati da Sotiris Tziakos, che sarebbe dovuto scattare proprio ieri. Tziakos, insieme al colonnello Michalis Ioannides, è il punto di riferimento di due pagine facebook: uno denominato ‘un milione di armi greche’ e l’altro ‘Costituzione Gruppo Tempo Zero’, sulle quali è evidente la propaganda militarista e di estrema destra. Davvero i neonazisti preparavano un colpo di Stato? O il pericolo di un golpe è servito al governo per giustificare il cambio di passo nei confronti di Michaloliakos e camerati?

Da notare che la risposta dell’estrema destra agli arresti non è stata ieri particolarmente contundente. Circa trecento militanti sono andati a sventolare le bandiere greche davanti alla sede centrale della Polizia, in via Alexandra, nella Capitale, finché non sono stati sloggiati dai reparti antisommossa. E all’Associazione dei riservisti delle forze speciali dell’esercito (Keed) che pochi giorni fa aveva chiesto le dimissioni del governo, le autorità hanno vietato una marcia convocata ad Atene. Domani in parlamento dovrebbe iniziare l’iter per l’approvazione di una nuova legge che permette di sospendere il finanziamento pubblico alle organizzazioni partitiche accusate di svolgere attività illegali.

“Finalmente!” è stata la reazione più comune tra i militanti e i dirigenti dei sindacati, dei partiti di sinistra, delle organizzazioni popolari. Quelli che per anni hanno subito le aggressioni e i pestaggi degli squadristi di Michaloliakos, e che stampa e governo hanno sempre associato ai nazisti nella teoria degli opposti estremismi. Teoria che anche in questi giorni i dirigenti socialisti e del centrodestra di Samaras hanno rispolverato, e che potrebbe permettere, dopo aver colpito ieri l’estrema destra, di cominciare a colpire l’estrema sinistra. In nome della stabilità, della legge, dell’ordine, riservando lo stesso trattamento a quella che è di fatti una loro creatura – Alba Dorata – e poi al vero nemico, i movimenti popolari e quegli spezzoni della sinistra che contestano le politiche di austerità, la sudditanza della Grecia agli interessi dell’Unione Europea e del grande capitale internazionale.

È impensabile che un movimento che ha raccolto lo scorso anno il 7% dei consensi e che si è rapidamente radicato nella società greca possa essere cancellato da un giorno all’altro con un atto giudiziario. Da alcune parti si cerca in queste ore di mettere in allarme la società greca sul pericolo che la punizione dei dirigenti di Alba Dorata nasconda un disegno più complesso: la rifondazione di Alba Dorata e la riconversione del partito neonazista in una forza di estrema destra ripulita e presentabile, adatta ad essere accolta in un eventuale governo di ‘centrodestra’. Lo avevamo già scritto, su Contropiano, qualche giorno fa. E il fatto che uno dei parlamentari arrestati ieri, Panagiotaros, abbia parlato della necessità della rifondazione di Chrysi Avgi proprio prima di finire in manette sembra confermare il sospetto. Così come la collaborazione parlamentare offerta da Michaloliakos al premier Samaras venerdì, in un intervento pubblico alla vigilia del suo arresto. Oppure, è l’altra ipotesi, Nuova Democrazia mira semplicemente a raggranellare i consensi elettorali che ora vanno ai neonazisti e che dopo l’eventuale messa fuori legge di Alba Dorata o il suo ridimensionamento tramite la via giudiziaria si troverebbero ‘a disposizione’. A Samaras basterebbe spostare un po’ più a destra il suo discorso politico, e il gioco sarebbe fatto.

Non è un caso che l’inchiesta imputa al partito neonazista di essere un’associazione a delinquere, un’organizzazione criminale – come potrebbe essere la mafia – senza metterne in discussione la legittimità politica in quanto organizzazione terroristica di estrema destra.

Ma non sempre le ciambelle riescono col buco. La fine della tremenda crisi in cui le politiche di austerità hanno gettato la Grecia non sembra a portata di mano e non è detto che una forza neonazista e violenta sparisca dalla scena così, come d’incanto. Non sarà certo il sistema politico ed economico che ha allevato e protetto la bestia nazista a eliminarla. Non può, e non vuole. La sinistra e i movimenti popolari faranno bene a tenere alta la guardia e a non delegare alle istituzioni la lotta contro il fascismo.

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Sempre più pessime le strategia in atto nel "laboratorio greco".

Rifondazione. Ferrero denuncia l'infiltrazione dei servizi segreti

"FERRERO SEGRETARIO DI RIFONDAZIONE : Oggi ho denunciato che vi sono manovre di infiltrazione da parte dei servizi nei confronti di Rifondazione. L’ho fatto perché se qualcuno ha idea di far succedere qualcosa di strano, sappia che siamo al corrente delle loro manovre. Loro si muovono nell’ombra, nell’ambiguità e lavorano per far casino. Noi siamo per la luce, la chiarezza, le battaglie alla luce del sole".

La denuncia è forte e netta, anche se per il momento non dettagliata con nomi e circostanze. Certo, buona parte del caos interno in questo momento a Rifondazione appare persino "eccessivo" rispetto alla tradizione di questo partito.

L'invito che rivolgiamo a tutti i compagni è di mantenere gli occhi bene aperti. C'è un regime in forte crisi strutturale, gente che sta perdendo la certezza del dominio, che è abituata ad alzare polveroni e spaccare tutto (partiti, collettivi, sindacati, ecc). In genere gli infiltrati dei "servizi" scelgono di annidarsi in mezzo a chi urla di più e capisce di meno, tra chi chiama tutti "traditori" (o magari maledice "la casta", come va di moda adesso) e prova a trasformare la ricerca dell'unità possibile nell'impossibilità di unirsi (magari in nome dell'"unità").

Complicato? Solo per chi non conosce la storia del movimento operaio....

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Sbaglia chi pensa o dice che "i servizi segreti devono essere messi davvero male se si riducono a infiltrare Rifondazione Comunista".

Sbaglia anche se è certamente vero che il gruppo dirigente del Prc appare incapace - e non da oggi - di sciogliere i nodi strategici che tengono questo partito avvinto alla  logica dei "cartelli elettorali", il cui capofila - come una maledizione biblica - resta sempre il Pd. E proprio questa incapacità sembra aver aperto un'autostrada alla contestazione "basista" del gruppo dirigente.

Ma stanno realmente così le cose? Certamente no. Nella conflittualità interna al Prc giocano ormai allo scoperto forze che non sono riconducibili alla normale "dialettica interna" di un partito ormai extraparlamentare. È vero, la "strategia" immaginaria del gruppo dirigente punta apertamente al rientro nella "comunità della politica", finanziamenti pubblici compresi. Ma quanti si oppongono sono una "variopinta schiera" (citazione marxiana, cercatevela) che nasconde difficoltà autentiche, indignazione comprensibile e manovre putride.

Peraltro niente affatto "nuove". Abbiamo ritrovato nomi e storie decisamente datate, confusione senza limiti, attacchi pretestuosi (ancorché, come detto, favoriti da una politica spesso suicida). Ricorrenze che ci portano a individuare delle frequenze inquietanti, facilitate  da un atteggiamento irresponsabile praticato per anni dal "partito della rifondazione comunista", entro le quali si sono infilati come una lama nel burro gli infiltrati del Sisde o come si chiama adesso.

Veniamo da un periodo politico idiota, in cui era sufficiente mandare in rete "appelli" - per quanto improbabili - per raccogliere nomi, indirizzi, preferenze, mail, ecc. Non stiamo ovviamente parlando di iniziative serie - come Ross@ et similia, che possono vantare "promotori" con certificazione di "origine controllata" - ma di pagliacciate generiche, promosse da sconosciuti o quasi, cui aderisce chi capita. Sembra un trionfo della "democrazia di base", è invece uno spalancare le porte a Cetto La Qualunque.

Ripetiamo: se il vertice attuale del Prc avesse preso atto di un fallimento strategico (i "cartelli elettorali" a un tanto al chilo), tutto ciò non sarebbe stato possibile. Ma questo non cambia il quadro attuale; Rifondazione è davvero sotto attacco delle spie di professione. Speriamo ovviamente che si apra una stagione di confronto serio sulle prospettive, dopo che il Prc avrà provveduto a rimuovere il tumore che sta provando a ucciderlo. Paradossalmente, ma neppure troppo, il "bacio delle morte" è probabilmente arrivato dalla decisione di promuovere una "lista Ingroia", in cui il magistrato antimafia è stato ahivoi supportato da una pletora di sbirri che metà bastava...

Ora c'è un problema da risolvere. E speriamo davvero che il Prc riesca nell'impresa. Ci sembra infatti che nel potere - checché ne pensino i media che ironizzano a sproposito sulla notizia dell'infiltrazione - esista un "disegno" abbastanza preciso; "ripulire gli angoli" da ogni "sporcizia" non controllata. Spazzar via i "diversi" e quanti potrebbero - malgrado loro - rappresentare un'alternativa credibile. Non pensiamo infatti che il Prc sia oggi "pericoloso" per l'assetto di potere in virtù della propria "saggezza". La sua scelta a favore del 12 ottobre (invece che del 18 e 19) ne rappresenta per intero la debolezza. Ma a prescindere dalle sue intenzioni soggettive, il Prc rappresenta pur sempre un'aggregazione politica consistente (alcune decine di migliaia di iscritti), fatta di persone che non hanno ancora deciso di arrendersi allo strapotere del potere. Questo insieme - al di là del gruppo dirigente - va disperso, polverizzato, cancellato dallo scenario politico.

Come si fa, però, a riconoscere degli sbirri in mezzo a compagni perbene? Ci vuole orecchio, avrebbe sentenziato Jannacci. O almeno saper riconoscere il "giro" che da venti anni o poco più infiltra  l'uno dopo l'altro prima i centri sociali, poi alcune frange non brillanti del sindacalismo di base e ora direttamente le organizzazioni politiche o settori di movimento. Una storia di merda che arriva da lontano (dai tempi della "zarina del Sisde") e vorrebbe andare ancora più lontano.

Si può fermare, sia detto tra noi...

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Roba da matti: lo Stato spreca il valore di una decina di IMU per non far funzionare a modino qualche computer!

Secondo l’Osservatorio digitale della Scuola di management del Politecnico di Milano il ritardo dell’Agenda Digitale italiana costa al paese oltre un miliardo al mese. Parliamo di semplici risparmi sulla spesa pubblica attraverso innovazione, non tagli. Peccato che i tagli piacciano tanto alla nostra classe dirigente, soprattutto se applicati in maniera classista riducendo diritti, mentre l’innovazione è al di là della loro capacità di comprensione, oppure fa paura per la sua intollerabile carica di trasparenza.

Solo la fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione farebbe risparmiare oltre un miliardo di Euro. La fetta più grossa è però nella sanità, l’investimento in informatizzazione della quale farebbe risparmiare ben 6,5 miliardi, più dell’IMU. Il totale dei risparmi nella sanità investendo in informatizzazione è però ben più grande, perché ai 6.5 miliardi per lo Stato si aggiungerebbero 7.6 miliardi per i cittadini. Una sola voce per capirci: se tutti i referti fossero consegnati via Internet si risparmierebbero 370 milioni l’anno.

Portare online le transazioni della spesa pubblica dall’attuale 5% (sic) al 30% farebbe risparmiare ben 5 miliardi e un altro miliardo si risparmierebbe intensificando l’uso delle infrastrutture digitali già disponibili ma sottoutilizzate. E invece, chissà perché la stragrande maggioranza dei centri di spesa dello Stato non è autorizzata a possedere strumenti (una carta di credito) per operare via Internet neanche per comprare una risma di carta.

Non è poco, svariate IMU sulla prima casa anche se un popolo di analfabeti di ritorno, che ama farsi rappresentare dallo scilipotismo di tutti i colori, non è in grado di capirlo. Il grosso della ciccia starebbe però nella maggiore informatizzazione del fisco, settore dove immediatamente si accendono gli special di un paese dove per poter nascondere al fisco 10 lire in milioni diventano conniventi con chi al fisco sottrae miliardi.

Ridurre i pagamenti in contanti incrementando i pagamenti elettronici dal 20% attuale al 30% farebbe recuperare al fisco almeno cinque miliardi di evasione fiscale sul sommerso ma, soprattutto, la conservazione elettronica degli archivi fiscali derivati, in grado di rendere più rapidi i controlli, produrrebbe altri 10 miliardi di recupero fiscale attraverso la maggiore efficienza dei registri digitali. (fonte principale ANSA).

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Siria, ribelli divisi: nasce l'Alleanza Islamica

Entro stasera il Consiglio di Sicurezza dell'Onu voterà la risoluzione sulla Siria. La Russia ha dato il via libera alla bozza presentata ieri sull'arsenale chimico di Bashar al-Assad, dopo due anni di veti e stalli.

Una risoluzione che prevede la distruzione delle armi chimiche del regime di Damasco, pena un intervento internazionale non meglio specificato. I missili statunitensi? Il presidente Putin era stato chiaro: la Russia interverrà contro Assad se non rispetterà l'accordo stipulato con la comunità internazionale, aggiungendoci però tutte le perplessità russe in merito. La bozza di risoluzione redatta ieri si basa sul noto Capitolo VII, che prevede l'uso della forza nel caso di minaccia alla sicurezza e alla pace internazionale, ma richiede un ulteriore passaggio in Consiglio di Sicurezza. Passaggio non scontato: Mosca potrebbe nuovamente bloccare con il veto un intervento armato contro la Siria.

L'accordo di ieri è giunto nel pomeriggio dopo un incontro tra il segretario di Stato Usa Kerry e il ministro degli Esteri di Mosca Lavrov: "Abbiamo raggiunto un accordo - ha commentato Kerry - Questa risoluzione può ora portare alla rimozione e alla distruzione delle armi chimiche in Siria". La risoluzione prevede la creazione di un team internazionale delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche dell'Aia, che torni in Siria per verificarne l'implementazione.

I primi passi verso una soluzione diplomatica erano stati mossi all'inizio di settembre, grazie alla mediazione russa che aveva evitato il promesso attacco militare statunitense: il presidente Assad ha accettato di consegnare la lista delle armi chimiche in suo possesso, ha aperto le porte agli ispettori dell'Onu e ha promesso la consegna dell'arsenale entro un anno.

A preoccupare l'Occidente, però, non è solo Assad. Le divisioni interne alle opposizioni siriane e la sempre più spiccata appartenenza a fazioni islamiste si sono tradotte in questi giorni nell'adesione di tredici gruppi di ribelli alla "Alleanza Islamica". Due i punti di contatto: l'abbandono della Coalizione Nazionale Siriana, ombrello delle opposizioni riconosciuto legittimo rappresentante della Siria dalla comunità internazionale; e l'intenzione di applicare la legge islamica, la Shariah, alla nuova Siria.

Ne faranno parte, tra gli altri, il Fronte al Nusra e i salafiti di Ahrar al-Sham (restano fuori gli ultraradicali dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante). La nuova federazione fondata sull'islamismo militante potrebbe marginalizzare definitivamente le forze moderate di opposizione: l'Esercito Libero Siriano è già alle prese con scontri diretti contro fazioni vicine ad Al Qaeda per il controllo di parte del Paese, una faida interna che potrebbe portare gli islamisti a prevalere, forti del sostegno della rete di Al Qaeda, ma anche di armi e denaro provenienti da Qatar e Arabia Saudita. Secondo i dati a disposizione, circa 30mila dei 100mila miliziani anti-Assad attivi in Siria sono entrati a far parte dell'Alleanza Islamica. Non ancora la maggioranza dei ribelli, ma sicuramente i meglio organizzati e addestrati, soprattutto nelle regioni settentrionali.

A renderli sempre più forti, però, non è solo l'attività militare. In alcune aree del Paese, oggi sotto il controllo dei ribelli, gruppi islamisti - salafiti in primis - si sono guadagnati il consenso di una popolazione allo stremo, attraverso programmi umanitari in grado di alleviare almeno in parte la grave crisi economica in cui versa la Siria.

All'Onu si dovrebbe discutere anche di questo: caduto Assad, quale Siria si prospetta all'orizzonte?

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Telecom: un bilancio della privatizzazione

La notizia della possibile vendita di Telecom Italia al gruppo spagnolo Telefonica viene da molti interpretata come una partita tra una Spagna moderna e dinamica che fa le riforme chieste dall’Unione europea e un’Italia conservatrice e stagnante che le rinvia. In realtà i dati rivelano una situazione ben diversa, con l’economia spagnola afflitta da una recessione che tra il 2013 e il 2014 sarà anche peggiore di quella italiana e una disoccupazione che tra il 2007 e il 2013 è cresciuta di 135 punti percentuali in più rispetto a quella registrata in Italia. Piuttosto, la videnda Telecom dovrebbe indurre una riflessione sui limiti di una privatizzazione che ha dato luogo, dal 1997 ad oggi, a ben cinque vendite e di cui hanno goduto soprattutto mediatori e speculatori. Simone Spetia intervista Emiliano Brancaccio, promotore con Riccardo Realfonzo del monito degli economisti, un documento sottoscritto da Dani Rodrik, Wendy Carlin, James Galbraith ed altri e pubblicato dal Financial Times.


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Il pericolo delle "mosse obbligate" nella politica italiana


Crisi (di governo) o bluff disperato? La mossa plateale di Berlusconi - far firmare dimissioni in bianco a (quasi) tutti i parlamentari del Pdl - ha costretto i soporiferi Letta il Giovane e Napolitano a uscire allo scoperto per mantenere un minimo di credibilità a quel che resta dell'assetto istituzionale della repubblica nata dalla Resistenza.

Il presidente è stato obbligato a dire - per la prima volta in otto anni - che le accuse di "golpe" rivolte alle "toghe rosse", al "rivolgimento della democrazia" se un tizio viene condannato in via definitiva per evasione fiscale, sono delle autentiche stronzate; che non dovrebbero neppure essere pensate in uno stato di diritto. Lo avesse fatto prima (non si può certo accusare il Cavaliere di aver detto cose diverse da quando è "sceso in politica"), ci sarebbe stata forse qualche smagliatura in meno. Ma non poteva far altro, a questo punto. Chiaro che la sua sortita è diventata benzina sul fuoco per i berluscones, soprattutto gli oltranzisti.

Letta il Giovane, che da buon democristiano è abituato a fare buon viso a qualsiasi gioco, ha dovuto prendere atto che annunciare le dimissioni di massa mentre lui stava cercando di vendere anche negli Stati Uniti l'immagine - e solo quella - di un'Italia tornata "paese affidabile" (che obbedisce agli ordini, insomma), non è stato il massimo della cortesia tra soci della stessa maggioranza. E quindi è stato a sua volta costretto ad annunciare una "verifica di governo", come ai tempi della guerriglia permanente tra correnti Dc, e ad ipotizzare anche una richiesta di "voto di fiducia" in Parlamento.

Altrettanto, Berlusconi e i suoi sono stati quindi costretti a gridare che loro stanno facendo davvero sul serio e che, quindi, sono pronti a staccare la spina sia se la Giunta per le elezioni del Senato approva un parere positivo per la decadenza del Caimano dal seggio senatoriale, sia se il cosiddetto premier chiede la fiducia.

Tutti obbligati a recitare una parte "ferma", che è un vero paradosso per uomini e donne che della "flessibilità" (politica, morale, etica, umana, ecc.) hanno fatto una professione di successo.

Il rischio, come scrivevamo ieri, è tutto qui. Nella "costrizione" che si genera quando un annuncio di "guerra" viene pronunciato. Tornare indietro diventa una sconfitta irreparabile, andare avanti significa fare davvero una guerra che non si voleva combattere e a cui non si è preparati. Le cui conseguenze non sono neppure state previste.

"Merito" di una classe dirigente nazionale che non è stata capace, dalla caduta del Muro (e della Dc) in poi, di selezionare una classe politica decente, sufficiente a gestire senza infamia e senza lode gli interessi "borghesi" (per quanto straniante sia questa categoria in un paese come il nostro, caratterizzato più da "prenditori" che non da capitani d'industria). Quando all'inizio degli anni '90 è "scesa in campo" la cosiddetta "società civile", si è spalancato il portone della politica agli sciacalli, ai caimani, alle pitonesse, ai corruttori di politici che finalmente potevano mettere le mani direttamente sul bottino invece di dover passare attraverso mediatori professionali. Gli "incivili" per definizione, insomma.

Ora però le cose debbono arrivare al dunque. La condanna di Berlusconi è definitiva, l'interdizione dai pubblici uffici - e quindi l'ineleggibilità - sarà quantificata il 17 ottobre dal Tribunale di Milano. L'idea perciò di far cadere il governo e andare a nuove elezioni non muterebbe di molto il suo orizzonte politico, perché difficilmente la sua candidatura sarebbe accettata da un tribunale. Non ha insomma molto da guadagnare da una mossa del genere.

Ma non può fare molto altro. È vero, è un assurdo logico che una bestia così piena di soldi e influenza politica - quindi uno che ha moltissimo da perdere, se dà fuori di matto - possa mettersi a giocare a "muoia Sansone con tutti i filistei". Tra parentesi, difficilmente il suo codazzo di cortigiani lo seguirebbe davvero fino in fondo sulla via del sacrificio estremo. Ma la politica e la vita non sono mai completamente programmabili, nemmeno dai potenti (non ci sarebbero mai state rivoluzioni, altrimenti). E quando i blocchi fondanti l'equilibrio politico di una paese iniziano ad agire in base a "costrizioni" che loro stessi si sono inflitti, quello è il manifestarsi vero di una crisi vera.

E non basterà probabilmente il "pilota automatico" europeo, momentaneamente incardinato nel solo Napolitano e nel Pd, a evitare un periodo burrascoso - soprattutto sul piano economico-finanziario - a questo disgraziato paese.

Verso le giornate del 18 e 19 ottobre, unico segnale di vita pensante in questo oceano di spazzatura, sarà bene tenere sempre presente questo quadro. I vigliacchi ci mettono un attimo a scaricare le proprie contraddizioni su qualcun altro...

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Barilla è libero?

Rispetto alla polemica su Barilla e famiglie omosessuali, che sta diventando un caso internazionale perché all’estero piace la pasta ma non è ammessa l’omofobia, leggo ovunque che Barilla sarebbe “libero” di rivolgersi al target che preferisce per le sue campagne e di utilizzare il messaggio che ritiene più opportuno. Non sono affatto d’accordo.

Non sono d’accordo che uno dei principali investitori pubblicitari del paese sia libero di imporre quotidianamente, insistentemente, martellantemente una “comunicazione pubblica” basata su un messaggio solo apparentemente neutro, ma nella realtà dichiaratamente discriminatorio verso tutte le famiglie non “tradizionali”, famiglie omosessuali, monoparentali, solo mamme, solo papà, famiglie allargate, miste per nazionalità, coinquilini, persone sole per scelta o fatalità.

Come esiste una “responsabilità sociale d’impresa” tanto più esiste una responsabilità sociale nella pubblicità che entra nelle case a tutte le ore. Infatti, per esempio, la pubblicità ingannevole viene sanzionata, così come rigidi regolamenti evitano o limitano la pubblicità di prodotti nocivi. La conseguenza di ciò è che anche la pubblicità non è libera di cercare cinicamente solo il massimo profitto, lasciando morti e feriti alle sue spalle, ma deve sempre e comunque essere oggetto di riflessione, dibattito ed eventualmente correzione o sanzione. Ciò tanto più quando parliamo di un prodotto di così ampia diffusione.

Il Barilla reazionario (che non è un caso che trovi la pronta solidarietà dell’ultradestra neofascista, razzista e omofoba di Forza Nuova) che sceglie di rappresentare solo la famiglia cosiddetta tradizionale, e rifiuta di rappresentare la società nei suoi mille colori e sfaccettature, senza doversi per questo far carico di studi sociologici, contribuisce a favorire un clima culturale discriminatorio in un paese che avrebbe bisogno dell’esatto contrario.

Lo sprezzo con il quale afferma «se ai gay non sta bene possono mangiare un’altra pasta» e il suo proposito dichiarato di esaltare la centralità della donna come angelo del focolare, come fossimo ancora nel ventennio, non lascia alcuna possibilità di malinteso: da oggi in poi l’Italia civile #boicottabarilla. Sul mercato della pasta ce n’è per tutti i gusti. E poi… verrebbe voglia di domandare: ma a cosa ti serve produrre più di cento tipi diversi di pasta per una sola famiglia?

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Grecia. In manette Michaloliakos e la cupola di Alba Dorata


17.00 - Gli arrestati finora sono 19, manca ancora all'appello il parlamentare e numero due di Alba Dorata Christos Pappas. La polizia sta perquisendo gli uffici del partito neonazista all'interno del Parlamento greco.

16.10 - Dopo che un allarme bomba - poi rivelatosi senza fondamento - ha creato caos e scompiglio nella sede del Gada di Atene, ora un ingente dispositivo di sicurezza sta trasferendo gli arrestati in tribunale. Molti degli squadristi di Alba Dorata nei confronti dei quali è stato spiccato un mandato di cattura mancano ancora all'appello.

14.10 - Si è consegnato alla polizia anche il penultimo dei deputati di Alba Dorata contro i quali l'Aeropago ha spiccato un ordine di cattura per associazione a delinquere, Michos. Ancora irreperibile Pappas. La polizia in assetto antisommossa ha allontanato, senza incidenti, alcune centinaia di squadristi del movimento neonazista che manifestavano in solidarietà con gli arrestati davanti alla sede della Questura centrale di Atene.

13.00 - Sono diventati circa 400 gli aderenti ad Alba Dorata che stanno manifestando e sventolando bandiere greche davanti alla sede del Gada, la questura centrale di Atene dove vengono portati gli arrestati man mano che vengono trovati dalle forze di sicurezza. All'inizio i neonazisti gridavano il loro tradizionale slogan 'Sangue, onore, Alba Dorata' poi riconvertito nel meno compromettente 'Patria, onore, Alba Dorata'. Si ha notizia dell'arresto anche di una donna poliziotto, una sergente in servizio al dipartimento di sicurezza del Pireo. Eseguiti finora 18 arresti, su 32 mandati di cattura complessivamente spiccati. Ancora irreperibile i deputati Michos e Pappas.

12.00 - È Nikolaos Michaloliakos, il segretario di Alba Dorata, colui che in casa nascondeva tre pistole detenute illegalmente e ritrovate dalla polizia durante la perquisizione all'alba di questa mattina. Il fondatore di Alba Dorata è già passato per il carcere alla fine degli anni '70, quando era militare in servizio attivo e fu arrestato assieme ad alcuni commilitoni con l'accusa di aver dato vita ad una organizzazione terroristica fascista. Poi, in cambio della sua collaborazione con le forze di sicurezza, la pena gli fu ridotta a "possesso di armi ed esplosivi" e quindi fu liberato dopo soli 13 mesi di reclusione. In precedenza Michaloliakos era stato un attivo sostenitore della dittatura dei colonnelli fino al 1974.

11.35 - Durante la maxi retata contro Alba Dorata ancora in corso è stato arrestato anche un esponente delle forze speciali della Polizia 'Dias'.

11.30 - Durante la perquisizione nel domicilio di un militante di Alba Dorata poi arrestato la polizia ha rinvenuto tre pistole.

11.15 - Arrestato anche un altro deputato di Alba Dorata, Ilias Panayotaros. Che poco prima di essere ammanettato, secondo alcuni giornalisti greci che hanno raccolto le sue deliranti dichiarazioni, avrebbe accennato ad una rifondazione del movimento neonazista con un altro nome, per ovviare ad una eventuale messa fuori legge del movimento o ad un embargo del finanziamento pubblico minacciato dal governo.

11.10 - Secondo alcuni media ellenici, che citano l'intervento del costituzionalista K. Chrysogonos, anche se agli arresti in custodia cautelare, i deputati di Alba Dorata non sono automaticamente decaduti dalla loro condizione di parlamentari. Il che avverrà solo nel caso in cui dovessero essere riconosciuti colpevoli dei reati che vengono loro contestati e condannati alla privazione dei diritti politici.

11.00 - Alcune decine di estremisti di destra stanno manifestando, per ora silenziosamente, davanti alla sede centrale della polizia di Atene. Finora secondo i media solo 4 parlamentari e 12 altri esponenti di Alba Dorata sarebbero stati arrestati rispetto ai 36 ordini di cattura emessi da un magistrato dell'Aeropago, la Corte Suprema ellenica.

10.30 - Tra gli arrestati c'è anche il segretario della sezione di Alba Dorata del quartiere di Nicea, quella alla quale era Iscritto Giorgos Roupakias, l'assassino di Fyssas.

10.15 - Secondo le notizie diffuse dai media ellenici questa mattina sarebbero stati arrestati anche due agenti in servizio Nella polizia, accusati di collaborare con le attività criminali di Alba Dorata.

10.00 - Man mano che vengono arrestati i dirigenti e gli esponenti di Alba Dorata vengono portati dagli agenti negli uffici dell'antiterrorismo al dodicesimo piano del Gada, il palazzo della questura centrale di Atene all'ingresso del quale si è concentrata una discreta folla di giornalisti. Dal suo sito il movimento neonazista sta diffondendo un appello a dimostrare la propria solidarietà ai camerati finiti in manette anche se per ora non si ha notizia di manifestazioni, mentre alcuni dei parlamentari oggetto del mandato di cattura sono per il momento irreperibili.

9.30 - A quanto traspare finora quindi la maxi operazione contro l'estrema destra sarebbe giustificata da un comportamento 'criminale' dell'organizzazione neonazista, definita "associazione a delinquere" e coinvolta in omicidi, rapine, ricatti e riciclaggio di denaro. Una formula ambigua e che non ha a che fare quindi con il carattere neonazista del partito, a detta di alcuni esponenti della sinistra greca, la stessa che nei giorni scorsi ha già portato all'arresto di alcuni attivisti che da anni animano la protesta delle comunità locali della penisola calcidica contro una miniera d'oro che una multinazionale canadese è stata autorizzata a realizzare nel villaggio di Ierissos.

09.00 - Nikos Michaloliakos, il fondatore e leader del partito neonazista greco Chrysi Avgì (Alba Dorata), è stato arrestato dalla polizia all'alba di oggi.
Insieme al segretario generale di Alba Dorata, che gli squadristi amano chiamare Führer, sono stati arrestati un'altra trentina di dirigenti di spicco e militanti del movimento. Tra questi anche quattro parlamentari tra i più in vista dell'organizzazione, compresi Ilias Kasidiaris, Lagos e Nikos Patelis.
Gli arresti sono scattati per ordine di un magistrato della Corte Suprema che ha emesso 36 mandati di cattura contro altrettanti esponenti dell'estrema destra accusati di essere coinvolti a vario titolo nell'omicidio, la sera dello scorso 17 settembre, del rapper antifascista Pavlos Fyssas, accoltellato a morte nel quartiere di Keratsini dal sicario del movimento neonazista Giorgos Roupakias, dopo che il 34enne era stato aggredito da decine di squadristi.

Non sono state ancora rese note le accuse alla base degli arresti ma i provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal procuratore della Corte Suprema Charalambos sulla base delle intercettazioni telefoniche effettuate dagli inquirenti sui cellulari di alcuni membri del partito e di suoi simpatizzanti. Dalle intercettazioni sarebbero emersi in maniera evidente collegamenti della dirigenza di Alba Dorata con l'omicida, il 45enne Roupakias. Le prove raccolte dagli inquirenti dimostrerebbero che il partito neo-nazista si muove sulla base di una precisa catena di comando con le connotazioni di una vera e propria organizzazione criminale dedita ad aggressioni razziste e ad attività illegali come la richiesta del pizzo ai negozianti in cambio dell'offerta di 'protezione'. Secondo alcune indiscrezioni alcuni dirigenti di Chrysi Avgi sono stati indagati anche per riciclaggio di denaro sporco e per il coinvolgimento in alcuni casi di omicidio e aggressioni attribuiti inizialmente alla malavita organizzata.

Ieri pomeriggio alcuni media avevano diffuso la notizia del possibile arresto di tre parlamentari del partito di estrema destra. Qualche ora dopo Michaloliakos era intervenuto pubblicamente offrendo al partito di centrodestra Nea Dimokratia del premier Samaras la propria collaborazione per evitare che la coalizione di sinistra Syriza vinca le elezioni, ribadendo la minaccia di far dimettere tutto il gruppo parlamentare di Alba Dorata.

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28/09/2013

Cade il governo, Berlusconi rompe le righe

Sono pazzi, questi servi. Diciamola com'è: il capitale internazionale e nazionale ha “bisogno di stabilità” e questi cosa fanno? Si dimettono perché “il capo” glielo ordina...

Silvio Berlusconi apre di fatto la crisi di governo, invitando i ministri del Pdl a rassegnare le dimissioni. E quelli obbediscono come un manichino senza volontà autonoma. Il ministro di polizia detto dell'interno - quel tudero che pochi giorni fa era corso in Val Susa a gridare “quel che lo stato ha deciso sarà fatto e guai a chi prova a opporsi” - ha fatto sapere che «I ministri del Pdl rassegnano le proprie dimissioni», seguito dall'impagabile sottosegretario alla Pubblica amministrazione e semplificazione, Gianfranco Miccichè – quello che riceveva dentro il ministero uno spacciatore di coca - che si è lanciato a dire: «Rimetto il mio mandato nelle mani di Silvio Berlusconi». Nessuno lo aveva ancora avvertito che era in quel posto come autorità dello Stato, non come maggiordomo in prestito da una casata da quattro soldi.

Poco prima il Cavaliere aveva annunciato di voler disertare la seduta della giunta per le elezioni, mettendo di fatto fine al governo Letta. «Ho invitato la delegazione del Popolo della Libertà al governo a valutare l'opportunità di presentare immediatamente le proprie dimissioni per non rendersi complici, e per non rendere complice il Popolo della Libertà, di una ulteriore odiosa vessazione imposta dalla sinistra agli italiani».

Per quale motivo? «La decisione assunta ieri dal Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta, di congelare l'attività di governo, determinando in questo modo l'aumento dell'Iva, è una grave violazione dei patti su cui si fonda questo governo, contraddice il programma presentato alle Camere dallo stesso premier e ci costringerebbe a violare gli impegni presi con i nostri elettori durante la campagna elettorale e al momento in cui votammo la fiducia a questo esecutivo da noi fortemente voluto». «Per queste ragioni, l'ultimatum lanciato dal premier e dal Partito Democratico agli alleati di governo sulla pelle degli italiani, appare irricevibile e inaccettabile. Pertanto ho invitato la delegazione del Popolo della Libertà al governo a valutare l'opportunità di presentare immediatamente le proprie dimissioni per non rendersi complici, e per non rendere complice il Popolo della Libertà, di una ulteriore odiosa vessazione imposta dalla sinistra agli italiani».

Ora, se qualcuno può arrivare a credere che l'aumento dell'Iva sia alla base della decisioni del Caimano, è bene riaprire i manicomi.

A quel poveretto di Letta il Giovane, immolatosi per conto di Napolitano alla guida di improbabili “larghe intese”, non è rimasto che dire mestamente: «Il chiarimento deve avvenire in Parlamento, alla luce del sole e di fronte ai cittadini». Del resto, «Il tentativo di rovesciare la frittata sulle ragioni dell'aumento dell'Iva è contraddetto dai fatti che sono sotto gli occhi di tutti perché il mancato intervento è frutto delle dimissioni dei parlamentari Pdl e quindi del fatto che non era garantita la conversione del decreto legge in legge».

Ora tutto è in ballo. Non semplicemente il governo, ma l'intero assetto istituzionale. Questo, a sinistra, è difficile da capire. Ma uno Stato degno di questo nome – e quello italiano ha sempre avuto qualche difficoltà a rispettare il ruolo – si regge sul fatto che le contrapposte parti politiche riconoscono lo stesso equilibrio di poteri, atteggiandosi a gestori temporanei di un sistema che va al di là di loro stessi. Se invece, come con Berlusconi, la “democraticità” di un equilibrio coincide – per qualcuno – con “l'agibilità politica” di un capobanda, allora non può esistere alcun equilibrio.

Complicazione ulteriore. A rigor di termini, questo atteggiamento obiettivamente “eversivo” (che è il contrario di “sovversivo”) sarebbe “comprensibile se poi questo capobanda fosse disponibile a condurre una guerra aperta sul piano sociale e politico. Cosa che, al momento, non appare probabile. Ve lo immaginate il Caimano alla guida delle truppe cammellate alla conquista di Roma? No, eh? E allora come può finire questa stronzata? Nell'unico modo che tutti voi potete immaginare: nella fuoriuscita di quello che “l'Europa” considera un ostacolo senza dignità. Potete scommetterci: finirà così.

Per questo non andate a festeggiare sotto il Quirinale il giorno che gli arriveranno gli arresti domiciliari. Fareste una figura da fessi di complemento...

Scendete in piazza il 18 e 19 ottobre, è decisamente più serio.

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Le quattro giornate: quando Napoli si liberò del nazi-fascismo


Esattamente settanta anni fa, il 27 settembre del 1943, il popolo napoletano martoriato dai bombardamenti, dalla fame e dalle angherie degli occupanti, iniziava una sollevazione di 4 giorni che avrebbe liberato Napoli, prima città d'Europa, dalla barbarie nazi-fascista.

Più di mille pagine di un libro di storia parla questo magistrale e corale film diretto nel 1962 da Nanni Loy e Aldo De Jaco, "La città insorge: le quattro giornate di Napoli".


Il monito degli economisti

Con le attuali politiche il destino dell’Unione monetaria europea è segnato e “ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”. Nel giorno in cui i media celebrano la vittoria di Angela Merkel in Germania, il Financial Times pubblica un testo che interpreta molto diversamente la fase e che guarda più avanti: è il “monito degli economisti”, un documento promosso dagli italiani Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e sottoscritto da alcuni tra i principali esponenti della comunità accademica internazionale. La lezione di Keynes e la memoria corta delle autorità tedesche. Una intervista di Alessandro Marenzi a Emiliano Brancaccio.


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Il Fmi difende Letta

Da quando la politica occidentale è stata messa ufficialmente da parte per lasciare il posto di comando assoluto all'economia (quindi, viste le evoluzioni, alla sola finanza), ogni outlook economico è diventato immediatamente un diktat politico.

La conferma in tempo reale arriva dal rapporto del Fondo Monetario Internazionale diffuso ieri. Oltre alle previsioni economiche in senso stretto, infatti, da lì arriva un appoggio diretto al governo Letta: «le tensioni all'interno della coalizione sono evidenti e rappresentano un rischio all'outlook economico».

Nessuna sorpresa, visto che a parlare è la terza gamba della Troika (insieme a Bce e Ue), il kombinat che sta dirigendo l'Italia (oltre a Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Cipro e chi capiterà a tiro) da un paio d'anni a questa parte.

Ma la “discesa in campo” della potenza sovranazionale chiarisce anche perché la disastrosa stagione berlusconiana sia arrivata al punto finale, tanto che ormai anche Giorgio Napolitano – il mediatore col Cavaliere oltre ogni logica costituzionale – sembra aver scaricato in mare l'ingombrante relitto.

Mentre tanto “popolo di sinistra” sta lì alla finestra ad attendere “l'arresto”, per poi magari correre a festeggiare in piazza sotto l'attenta regia degli uomini e dei media della “Troika”, sta maturando invece un bisogno autenticamente popolare di rompere la gabbia e “rovesciare il tavolo”.

Le ragioni sono rintracciabili, quasi in modo trasparente, nei resoconti di stampa. Vi suggeriamo di leggere questo, da IlSole24Ore, inframezzato dalla nostra “decodifica”, in corsivo.


Il Fmi: le tensioni sul Governo Letta sono un rischio per l'economia. Anche europea. Disoccupazione ai massimi dal Dopoguerra


Il governo di Enrico Letta «mantiene l'appoggio del parlamento» ma «le tensioni all'interno della coalizione sono evidenti e rappresentano un rischio all'outlook economico». Lo afferma il Fmi, nell'Article IV sull'Italia. «Il governo continua a portare avanti un'agenda di riforme ma si trova a far fronte a limiti politici». Un peggioramento della crisi economica in Italia avrebbe ricadute "marcate" in Europa e nel resto del mondo: «Dato il suo ruolo centrale negli scambi globali e nel sistema finanziario, un significativo shock potrebbe generare effetti regionali e globali maggiori di quanto suggerito dall'esposizione diretta».

Redazione. La benedizione della “stabilità politica” è esplicita, l'approvazione per il “programma di riforme” anche, la condanna dell'avventurismo berlusconiano felpata ma definitiva. Il resto è normale terrorismo psicologico, peraltro fondato su dati reali: l'Italia, pur in declino, rappresenta una pedina importante nello scacchiere degli scambi internazionali. Quindi un precipitare della sua crisi – a maggior ragione per motivi politici – avrebbe conseguenze ben più rilevanti, per il sistema nel suo complesso, di quelle giù inquietanti scatenate dalla crisi greca.

Disoccupazione ai massimi dal dopoguerra
In Italia il tasso di disoccupazione «è ai massimi del dopoguerra, al 12%, con la disoccupazione giovanile vicina al 40%». È quanto si legge nel rapporto Articolo IV del Fondo monetario internazionale, redatto al termine della missione in Italia. Guardando ai numeri, il tasso di disoccupazione dovrebbe crescere dal 10,7% dell'anno scorso al 12,5% nel 2013 e attestarsi al 12,4% l'anno prossimo. Il documento precisa che «l'economia sta mostrando segnali di stabilizzazione, ma la disoccupazione è ancora alta e i trend rimangono bassi».

Red. Il Fmi sembra accettare l'impostazione “ottimistica” data dal governo nel Documento di economia e finanza, preparatorio della “Legge di stabilità” vera e propria. Non tiene dunque per il momento in nessun conto gli allarmi – fondati su dati certi, non su impressioni – lanciati da altri organismo sovranazionali. In particolare, la Commissione Europa (25 settembre) nel suo rapporto sulla competitività, registra che l’Italia ha perso il 20% della struttura produttiva, mentre l’Ocse ha previsto una crescita negativa per il 2013 dell’1,8%, contro i valori positivi dell’Europa e parte dei paesi di area Ocse. Ora, se un paese ha perso un quinto (un quinto!!) della sua struttura produttiva, e se il crollo degli investimenti delle imprese tra il 2012 e il 2013 è arrivato al 13,5%, appare letteralmente impossibile che possa “crescere” soltanto in virtù dei tagli alla spesa pubblica, della precarizzazione contrattuale e dei salari bassi. E questo lo si può affermare con nettezza anche senza calcolare le svendite di parti consistenti del patrimonio industriale nazionale a colossi multinazionali, che possono dunque decidere di proseguire oppure no la produzione in questo paese.


«Servono ulteriori riforme»
Il Fmi ha accolto con favore il pacchetto di misure a favore della crescita e del mercato del lavoro, ma ha sottolineato che «servono ulteriori riforme per dare slancio alla produttività e aumentare il tasso di occupazione, soprattutto tra giovani e donne». Questo andrebbe fatto anche semplificando i contratti e riducendo le tasse sul lavoro.

Red. Ma i teorici del Fmi conoscono una sola teoria economica; e non importa se la realtà dà loro torto (“tanto peggio per i fatti”, avrebbe detto qualcuno). Ripropongono sempre la stessa ricetta, esattamente come un drogato che rincorre sempre la sua dose quotidiana che lo sta portando al creatore. “Semplificare” i contratti, in un paese che ha già 46 forme contrattuali precarie e un 30% circa di lavoro nero (il più “semplice” che si possa immaginare) è una barzelletta oppure un insulto all'intelligenza. Comunque un invito a introdurre lo schiavismo senza la proprietà degli schiavi (quindi senza l'obbligo di mantenerli in vita; un risparmio, indubbiamente!). Un dettaglio: la “riduzione delle tasse sul lavoro” non è una “ricetta di sinistra”. La consiglia anche il Fmi...


«Modesta ripresa»
L'economia italiana é stata in recessione per quasi due anni, sulla scia di «un drastico calo della domanda interna», che riflette aspre condizioni del credito, aggiustamenti fiscali e un calo della fiducia. «Una modesta ripresa é attesa a partire dalla fine del 2013, sostenuta dalle esportazioni nette». È quanto si legge nel rapporto Articolo IV del Fondo monetario internazionale, redatto al termine della missione in Italia. Secondo l'istituto di Washington, dopo il calo degli anni precedenti, «la domanda interna dovrebbe riprendersi lentamente» alla luce dei venti contrari derivati dalle difficili condizioni del credito. Guardando ai numeri, il Pil italiano, dopo la contrazione del 2,4% del 2012, dovrebbe segnare un -1,8% quest'anno per tornare alla crescita (+0,7%) nel 2014. L'inflazione si dovrebbe attestare all'1,6% nel 2013 e all'1,3% nel 2014.

Red. Il Fondo registra che la recessione italiana è stata moltiplicata dal crollo della domanda interna, ovvero dalla riduzione dei consumi (la gente non spende i soldi che non ha). Ma se ne frega. La “ripresa” che vede – ottimisticamente, dato che i numeri attuali dicono il contrario – è quella trainata dalle esportazioni. Ovvero una “crescita senza redistribuzione interna”, che può consolidare i portafogli delle imprese e delle banche (che potrebbero veder ridurre alcune “sofferenze” verso le imprese), ma che non si traduce né in maggiore occupazione né in incremento dei consumi interni.


Il nodo Mps
Il piano di ristrutturazione del Monte dei Paschi é un potenziale pericolo per tutto il sistema bancario del Paese data la stazza dell'istituto senese, afferma il Fmi. «L'attuazione dell'ambizioso piano di ristrutturazione é critica per la banca stessa e il sistema nel suo complesso». I problemi della banca scrivono gli ispettori del Fondo derivano dalla governance e dal fallimento del vecchio management.

Red. La prova del nove: la preoccupazione principale è tutta per le banche. Anche per una che, importante ma non decisiva, non occupa più i primi posti nella classifica nazionale del settore.

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