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13/02/2017

Accanimenti terapeutici dal Pd all’”Europa”

Le classi dirigenti non accettano di buon grado di riconoscere i propri errori e cambiar strada. La musica è sempre la stessa: “chi lascia la vecchia strada per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova”. Il che, come tutti i proverbi popolari ha una sua ragionevolezza elementare, spesso, però, assai ingannevole.


Con questo criterio saremmo ancora all’età della pietra, perché in questo modo non ci sarebbe mai mutamento. Ma dietro il buon senso da quattro soldi che sconsiglia di tentare nuovi percorsi, c’è l’indisponibilità a rivedere assetti di potere che potrebbero costare la cadrega a più di uno degli uomini di potere. E questo non fa piacere a nessuno: le classi dirigenti badano soprattutto a conservare gli assetti di potere consolidati.

Questo è sempre stato vero e, nei casi di maggiore ostinazione, ha regolarmente preceduto il “grande crollo”: fu l’incapacità di auto riformarsi a condannare l’impero romano ed altri ancora. Mi sembra che siamo in uno di quei momenti e la cosa investe aspetti grandi e piccoli, a conferma del fatto che si tratta di un modo di sentire molto diffuso ai vari livelli delle gerarchi di potere.

Prendiamo due esempi distanti fra loro per ordine di importanza, ma, proprio per questo significativi della pervasività di questo stato d’animo: la crisi dell’Unione Europea e quella del Pd (si parva licet...).

L’Unione europea, per come è stata formata, in particolare dopo il 1992, è chiaramente fallita: non ha prodotto alcuna unificazione politica, dopo un quarto di secolo, non ha prodotto quella convergenza economica che l’Euro prometteva, non ha giocato alcun ruolo politicamente significativo sulla scena mondiale del dopo bipolarismo, ha aggravato il debito dei più deboli con il gioco perfido degli interessi ed attraverso la vampirizzazione delle entrate fiscali, non ha neppure attuato alcuna convergenza politica e culturale fra i suoi popoli che si detestano come non mai. Però, non si deve neppure aprire una discussione sul modello politico-organizzativo adottato che, per definizione, è benefico e non ha alternative.

Ora, viene la Merkel a proporre l’Europa a due velocità che era una proposta che avrebbe potuto essere spesa, con qualche flebile probabilità di successo, sino al 2009-10 ma che ora è come fare gli impacchi ad una salma. Il progetto Ue, non il progetto unità europea, ma la sua forma elitaria e tecnocratica, erede del pensiero di Coudenhove-Kalergi e di Jean Monnet, è ormai fallito irreversibilmente (e qui ci sta questo termine). Ormai la Ue è un cadavere destinato a decomporsi con effetti sempre più tossici per l’ambiente, ma le classi politiche europee lo tengono intubato in rianimazione, rifiutando di prendere in considerazione l’idea di inumarlo. Appunto: accanimento terapeutico.

Il punto non è quello di tornare allo statu quo ante degli stati nazionali precedenti, ma riflettere sul fallimento consumato, traendo le indicazioni per un nuovo ordine europeo. Ma le incrostazioni di potere sono troppo forti e paralizzano ogni decisione. Aspettiamo il crollo finale.

E veniamo al Pd, nel quale, di fatto, ci sono (almeno) due partiti che non hanno niente in comune fra loro. Insomma, quando si arriva ad uno scontro pubblico e frontale, addirittura in un referendum, su una cosa centralissima come la concezione costituzionale, sapete dirmi cosa può più tenere ancora uniti nello stesso partito correnti così divaricanti? Ma tutto quello che la minoranza riesce ad immaginare è un congresso di rivincita che, seppure riuscisse, non farebbe che porre lo stesso problema della scissione a parti invertite fra chi esce e chi resta, perché difficilmente i renziani si adatterebbero a restare in minoranza. Già un paio di mesi di astinenza da Palazzo Chigi hanno messo in crisi il loro capo, figuriamoci una prospettiva di anni di minoranza!

Ma anche i “pontieri” di Franceschini, Cuperlo, Orlando non sanno proporre niente di meglio di un congresso, facendo balenare il fantasma di una possibile candidatura Orlando alla segreteria (sai che soluzione!!!). Più che altro è evidente che non ci sono le condizioni minime per fare un congresso che non sia una gara di Kung Fu. Mi è bastato vedere, in trasmissione, come Rondolino ha trattato Gotor. Roba da chiodi!

Ma lo stesso Renzi, nonostante abbia visto naufragare il suo progetto di partito della Nazione, continua a muoversi su quella rotta, come se nulla fosse accaduto. E tutto quello che riesce ad immaginare è un blitz per disfarsi di quelle mosche noiose della minoranza, fare un gruppo parlamentare compatto come la falange tebana, per allearsi a Forza Italia e, forse, riproporre la riforma costituzionale. Che fantasia!

Anche qui siamo di fronte ad una paralisi cerebrale che non riesce a fare altro che riproporre sempre lo stesso schema.

Ma d’altra parte, che pretendete da un ordine politico inaugurato dalla Thatcher con la frase there is no alternative? Il neo liberismo, prima ancora che un ordinamento, è un modo di pensare regressivo e, come tale, non immagina alternative a sé stesso ed è per questo che è condannato a durare meno degli ordinamenti che l’hanno preceduto.

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