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22/02/2017

I problemi davanti al M5s: proviamo ad alzare lo sguardo sul campo

Lasciamo per un attimo da parte l’interminabile telenovela della giunta romana, alziamo lo sguardo sul campo da gioco e facciamo il punto.

Sin qui il movimento 5 stelle ha avuto un successo clamoroso e senza precedenti (nonostante qualche incidente di percorso come le europee del 2014): ha conquistato una quota molto consistente di elettorato, l’ha mantenuta per 4 anni ed oggi è uno dei due partiti che possono competere per il governo. Chapeau!

Questo successo si è basato essenzialmente su una ragione di fondo: il M5s ha svelato la finta alternativa fra due forze sostanzialmente omogenee come il Pd e Forza Italia, entrambe espressioni di una casta impresentabile, ed ha posto più in generale il problema della pessima qualità delle nostre classi dirigenti.

E questo ha fatto confluire le simpatie di settori molto diversi di elettorato delusi dei rispettivi partiti (dalla Lega all’Idv, dal Pd all’ex An, a Rifondazione e Sel ). Una confluenza varia tenuta insieme dalla magia della protesta e dalla furbizia di non dichiararsi né di destra né di sinistra per non scontentare nessuno, ma senza il cemento di una cultura politica nuova che fondesse le diverse anime. Diciamolo, il M5s ha avuto sponsor efficacissimi come Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e, il più grande di tutti, Matteo Renzi. Senza la loro illuminata opera di governanti, Grillo e Casaleggio, da soli, non ce la avrebbero mai fatta.

Detto questo, i problemi veri iniziano ora. Il M5s ha fatto diverse battaglie di opposizione molto apprezzabili, come quella sul jobs act, la “riforma” costituzionale o quella della Banca d’Italia, e di questo non gli si dà atto quanto meriterebbe, però, fare opposizione è una cosa e governare è un’altra e non è affatto automatico che, quando gli altri cadono, tu sia pronto ad esser l’alternativa.

Costituirsi in alternativa di governo richiede molte altre cose: la fantasia per non calcare sempre le stesse strade fallimentari e inventarne di nuove, la conoscenza di un mondo che cambia velocemente, la capacità tecnica di prospettare alternative concrete ed articolate e non vuoti slogan, la visione organica dei problemi con una visuale a 360°, l’individuazione del nemico con cui scontrarsi e i possibili alleati da trovare, una squadra affiatata e capace, una organizzazione vasta e diffusa in grado di reggere il consenso.

Tutte cose che, diciamocelo, il M5s oggi non ha. Guardate che, con la scissione del Pd è iniziato (solo iniziato, ma continuerà) il processo di ridefinizione dell’offerta politica ed il M5s deve modificare la sua offerta, renderla ancora più appetibile e “positiva” se non vuole essere scavalcato dai fatti.

Il movimento ha avuto ragione nel denunciare l’impresentabilità delle classi dirigenti attuali, ma non ne ha ancora costruita una di ricambio. Tutto si è risolto in un processo a chi ha governato che, alla fine, ha rigettato la stessa idea di gruppo dirigente, sostituito da un casuale succedersi di “cittadini qualunque” nei posti istituzionali a disposizione. Allora su questo capiamoci: chi pensa che la signora Maria di Voghera possa fare il ministro degli Esteri non ha capito niente. Quel posto (come tutti gli altri dall’Economia alla Giustizia, dai Lavori Pubblici all’Istruzione ecc.) richiede una preparazione specifica. Mettere un incompetente in un posto particolarmente importante e delicato può produrre disastri inimmaginabili (e guardate a Trump). Il crimine maggiore compiuto da Pd, Forza Italia, Lega eccetera è stato quello di aver distrutto la stessa idea di competenza, con i loro governi zeppi di personaggi esperti solo nel far carriera.

Pensate al problema del debito pubblico: di fronte al disastro combinato in questi decenni, chiunque è legittimato a pensare “Ma questo lo saprei fare anche io che, in più, sono una persona onesta che non fa la cresta sulla spesa”. Noi dobbiamo riscoprire il valore della competenza e del merito, questa è la principale battaglia culturale da fare. E qui sento di dover prevenire l’obiezione di alcuni: ma il movimento serve a fissare la politica, poi i ministeri li affidiamo ad degli esperti delle materie, incaricati di eseguire i progetti politici del movimento. Perfetto! Così viene fuori un “governo Monti in carta 5 stelle”.

In primo luogo, anche per formulare un progetto e controllare quello che fanno i “tecnici”, occorre avere un livello di formazione adeguato. In secondo luogo, chi segue la politica da almeno tre mesi sa che il diavolo nasconde la coda nei particolari, per cui, spesso un progetto riformista coraggiosissimo, poi viene affossato dal comma c dell’articolo 33 che stabilisce il “combinato disposto” con quanto stabilito dalla legge 167, che rovescia il senso del tutto in tre righe. La Dc fu maestra insuperata di questa arte. Dunque, certi ruoli (come quelli di ministro o di assessore) sono per loro natura politici e tali devono restare. Gli esperti servono, ma come consulenti, la responsabilità politica deve restare a chi è eletto.

Dunque, il problema è quello di formare una classe dirigente espressa dal movimento.

Ma, per costruire, formare, selezionale una classe dirigente degna di questo nome, bisogna avere un’organizzazione in grado di farlo. Mi rendo conto (e ne riparleremo) che il rigetto per i politicanti e le loro liturgie induce ad una certa diffidenza verso il principio di organizzazione, ma è un errore. Certo, l’organizzazione in quanto tale contiene il rischio della burocratizzazione che bisogna combattere come la peste, ma questo non significa che si possa fare a meno dell’organizzazione, anche perché l’esperienza insegna che non c’è peggior burocrate del burocrate spontaneista.

Dunque, l’organizzazione ci vuole e il web non la può sostituire. Pensiamo solo al lavoro di formazione: personalmente ho collaborato con Roberto Casaleggio nel corso per spiegare i sistemi elettorali e sono sempre convinto che sia stata una bella esperienza, anzi, Roberto aveva immaginato di fare altri cicli secondo un programma che, purtroppo, non fece in tempo a formulare. Quindi, non sono affatto insensibile all’uso delle nuove tecnologie anche a fini formativi, ma non si può pretendere l’impossibile ed il web non è uno strumento sufficiente per una formazione di livello più avanzato. E’ la stessa ragione per cui, nell’università mi batto contro la “didattica on line” che è una delle più solenni boiate degli ultimi anni. Quella on line è una formazione “low cost” e, in quanto tale, non può dare più di tanto.

Voi vi fareste operare da un medico che ha preso la laurea per corrispondenza o vi fareste difendere da un avvocato che ha studiato sulle dispense in edicola? E cosa vi fa pensare che la politica o l’economia siano cose più elementari della medicina o del diritto?

Il vero punto debole del M5s è proprio l’assenza di organizzazione. In particolare per quanto attiene alla selezione dei candidati. Il metodo on line fu una trovata della vulcanica fantasia di Roberto, di fronte allo scioglimento anticipato delle camere, che prese il M5s alla sprovvista. E la cosa, bisogna riconoscere, funzionò abbastanza, anche se poi un quarto degli eletti è finito espulso (diciamolo: a volte, per futilissimi motivi). E la cosa funzionò perché nuova ed inattesa, per cui nessuno era in condizione di preparare una scalata alle liste. Ma, adesso la cosa si sa e chissà quanti avvocati di mafiosi, infiltrati dei più diversi servizi segreti, politici in disarmo che vogliono piazzare il figlio o il nipote eccetera, si staranno già preparando da tempo ed il voto on line è facilissimo da controllare, preparare e truccare. O pensate che basti inviare un certificato penale in ordine? Attenti, perché, in queste condizioni non so che M5s uscirà dalle prossime elezioni, nelle quali, per di più, ci sarà il voto di preferenza.

Il M5s, non ha una organizzazione sul territorio (salvo piccoli nuclei sproporzionati alla massa elettorale che riceve) e rischia di soccombere di fronte ad una clientela ben organizzata. Dunque, occhio a chi si candida e non facciamo affidamento sui casting e sui certificati penali. Ma di questo e d’altro diremo ancora...

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