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23/02/2017

Il mondo non è più in bianco e nero. Perchè sulla Siria ci si divide

Nella replica ad una mia critica alle posizioni di Joseph Halevi sul regime siriano degli Assad, lo stesso Halevi e Cinzia Nachira affermano quanto segue:

1) I regimi arabi hanno causato più morti tra i palestinesi che non gli Israeliani.

2) La difesa che si fa degli Assad è retroattiva perché si difendono anche molti episodi in cui l’esercito siriano, spesso con il via libera degli Stati Uniti, di Israele e della Lega Araba ha commesso stragi di massa.

3) Ad Hama nel 1982 l’esercito di Assad padre attaccò la città e furono uccise tra le quindicimila e le ventimila persone, dopo la rivolta dei Fratelli Musulmani che provocò trecento morti. Una rappresaglia in senso classico e assumere questa argomentazione come “spiegazione” di un eccidio (furono rastrellati anche gli ospedali) significa accettare la logica con cui in Europa la destra e l’estrema destra, insieme ai revisionisti e negazionisti di ogni risma, mettono sullo stesso piano la resistenza e le rappresaglie fasciste e naziste.

4) Non è, quindi, una questione legata alle dinamiche innescate dalle rivolte arabe, ma dal fatto che molti, per non dire tutti senza esclusione, sostenitori del clan Assad lo fanno in nome di due cose: la Siria, come l’Iraq e la Libia, erano alleati dell’URSS, che nella regione solo apparentemente era sul fronte opposto rispetto agli Stati Uniti e a Israele.

5) Non a caso, infatti, coloro che aderiscono a queste posizioni rimpiangono il 1989 e accusano chi oggi non ha dubbi nel vedere e riconoscere i crimini delle dittature arabe ex alleate dell’URSS di essere passati a sostenere gli Stati Uniti.

6) I sostenitori di Assad accettano di chiudere gli occhi su quelle dittature perché sono alleate della Russia di Vladimir Putin, come se questa fosse un’estensione dell’URSS. Ma per quanto si possa e si debba dibattere sulla natura e il ruolo dell’URSS, è altrettanto evidente che dal 1989 ad oggi la Russia di Vladimir Putin sia altra cosa.

7) Per costoro chi riconosce le rivolte arabe iniziate nel 2011 e ne sottolinea il valore dirompente si schiera tout court con l’integralismo islamico e con i suoi sostenitori e finanziatori regionali, le petromonarchie del Golfo e la Turchia. Come se in definitiva lo scontro nel Vicino Oriente affondi le proprie basi nella religione, o come se i vecchi regimi siano i rappresentanti cristallini e senza macchia della laicità in quella parte del mondo. Mentre, sono ben noti da tempo i rapporti strumentali che questi regimi hanno avuto per decenni con gli integralisti islamici, dall’Egitto alla Siria (appunto). Ma soprattutto, questa lettura distorta degli sviluppi della rivolte arabe ignora le ragioni sociali, economiche e politiche che hanno spinto per primo il popolo tunisino, seguito da molti altri, a scendere in strada contro quelle dittature corrotte che hanno depredato i loro popoli.

8) I paladini dei vecchi regimi intimano chi invece non li appoggia, in buona sostanza a scegliere da che parte stare tra Stati Uniti, Israele, petromonarchie, Turchia e Russia, Hezbollah, Iran e il regime di Assad in Siria, quello di Gheddafi in Libia, ecc. Eppure, questa intimazione non risponde a una domanda che pone lo svolgimento dei fatti: ormai è confermato sia da esponenti militari statunitensi che da fonti diplomatiche e governative russe che la Russia si sta da settimane (non a caso dopo il massacro di Aleppo) coordinando con gli Stati Uniti a livello militare nella regione. Come spiegano questo fattore coloro che pensano che Putin sia “antimperialista”? Semplicemente non lo spiegano, perché non lo vedono. Spesso chi intima agli altri di scegliere, ha già scelto negli Stati Uniti di appoggiare Donald Trump, perché con il protezionismo e il sovranismo farebbe gli interessi dei lavoratori statunitensi. Chi oggi tira giustamente un sospiro di sollievo per le grandi manifestazioni che si sono svolte negli Stati Uniti e altrove nel mondo contro le politiche annunciate (e prontamente e follemente attuate) dalla nuova amministrazione statunitense, come quelle in corso in questi giorni contro la decisione di fatto di impedire negli USA l’ingresso ai possessori di doppia cittadinanza, con l’alibi della lotta all’ISIS, vengono accusati di essere a favore di Hillary Clinton. Non si ammette la terza possibilità: considerare Trump e i suoi progetti politici una sciagura senza doversi schierare con il meno peggio.

Volendo replicare a tali osservazioni va detto in primo luogo che quale che sia la contabilità dei morti, i palestinesi sono più disposti ad allearsi con i regimi arabi che con gli Israeliani. Senza contare il fatto che molti gruppi palestinesi pur non amando Assad si schierano contro l’attacco al regime siriano. Nella valutazione che facciamo basta questo.

In secondo luogo non si difende retroattivamente il regime siriano da tutti gli episodi di sangue che lo hanno riguardato. Si dice solo che ogni episodio andrebbe analizzato e valutato singolarmente senza semplificazioni da anime belle che non servono a niente né dal punto di vista storico né dal punto di vista delle scelte politiche di oggi.

In terzo luogo vorremmo vedere una qualsiasi democrazia liberale di fronte a trecento morti uccisi in una ribellione di carattere politico-religioso che prende possesso di una delle più importanti città del paese quali provvedimenti prenderebbe. Qui non si giustifica nessuno, ma nemmeno si può liquidare la vicenda come un crimine puro e semplice degli Assad.

Il carattere filo-sovietico degli Assad c’entra poco. Il punto è che negli ultimi 25 anni gli Usa hanno progressivamente destituito attraverso la guerra due regimi laici (quello di Saddam e quello di Gheddafi), gettando i paesi interessati nel caos e rafforzando di conseguenza i fondamentalismi islamici di qualsiasi tipo. Non tenere in considerazione questo fatto è sconcertante per chi si professa di sinistra.

Per ovvi motivi non si rimpiange né il 1989 (un lapsus?) né i regimi del cosiddetto socialismo reale, anche perché il rimpianto non ha nessun senso politico. Si dice solo che l’entusiasmo per il loro crollo che prese molte delle Sinistre belle si è rivelato un entusiasmo stupido, alla luce dei fatti.

Nessuno in questa discussione confonde Putin con l’Urss. Il punto è che l’intervento più risoluto della Russia nella guerra apparentemente civile di Siria ha avuto degli effetti contrari a quello che poteva essere l’esito solito delle primavere arabe a trazione imperialista. E questo è per noi un fatto positivo sia per rallentare l’estensione del fondamentalismo islamico sia per evitare un esito libico o iracheno di questo conflitto. Poi si può argomentare che la coppia dicotomica imperialismo/fondamentalismo che si contende i territori strappati ai regimi arabi laici sia meglio di questi stessi regimi. Però bisogna farlo apertamente senza nascondersi dietro le primavere, i buoni propositi o i promettenti inizi.

Nessuno crede che lo scontro nel Vicino Oriente sia di matrice religiosa anche perché si sa benissimo che i fondamentalismi sono processi e/o soggetti politici. Nessuno crede che i regimi precedenti fossero cristallini, ma il punto è valutarli relativamente a quello che è successo. Solo in Tunisia si può dire che il risultato sia stato chiaramente migliore della situazione precedente e questo nonostante gli omicidi politici di esponenti della sinistra, nonostante una questione sociale ancora esplosiva, nonostante le pressioni sulla resistenza popolare dell’oasi di Jemna.

Nessuno pensa che Putin sia antimperialista. Tuttavia Putin rappresenta uno Stato che si ribella alla guerra che gli stanno facendo gli Usa da molti anni e le sue manovre di questi ultimi tempi hanno mutato almeno un poco quell’equilibrio che consentiva agli Usa (e all’imperialismo europeo in subordine) di spadroneggiare nel Vicino Oriente. E’ poco ma è qualcosa. Se ora Usa e Russia si coordinano tra loro lo fanno (almeno a breve) su linee politiche a parere di chi scrive meno disastrose di quelle che hanno determinato l’esito della primavera libica.

Infine nessuno appoggia Trump. Quest’ultimo è solo la cartina di tornasole di una crisi dell’imperialismo Usa e dell’ideologia della globalizzazione che ai comunisti non può che interessare per il potenziale di chiarificazione che porta con sé. Anche se la stupidità sedimentatasi a sinistra nel corso di questi tristi anni ci vuole forse regalare altri indimenticabili momenti.

Il link dell’articolo di Joseph Halevi e Cinzia Nachira

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