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08/02/2017

La Grexit dietro l’angolo, ma oggi è un’altra storia...

Meno di due anni fa, sembrava che soltanto ad ammetterne l'ipotesi si rischiasse di far saltare i mercati globali. Oggi è argomento relegato al taglio basso dei giornali specializzati, come se fosse oramai solo una questioncella tecnica senza ricadute politiche rilevanti.

Stiamo parlando della Grexit, spauracchio per alcuni, momento di liberazione dalla dittatura della Troika per tanti altri. Finì come sappiamo, con vergognosa resa di Tsipras, costretto a rimpastare velocemente il suo governo (fuori Varoufakis e Lafazanis, più qualcun altro) dopo la per lui inattesa vittoria dell'Oxi nel referendum.

Ora la Grecia è di nuovo a quel punto, nonostante la codina obbedienza ad ogni intimazione, appena attenuata da qualche tentativo di redistribuire più equamente il carico dei “sacrifici” tra le diverse figure sociali.

La “colpa”, stavolta, non è di qualche “populista di sinistra” – molto più temuti dei criptofascisti, molto più facili da trattare per il grande capitale – ma dei contrasti tra Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ed Eurogruppo (una struttura di ministri delle finanze, presieduta da Jeroen Dijsselbloem, ma non prevista da nessun trattato europeo). E non si tratta di opinioni...

Il Fmi giudica infatti impossibile da ridurre il debito pubblico di Atene e chiede di conseguenza una “ristrutturazione del debito” – in pratica un taglio netto a carico dei creditori, Fmi compreso – altrimenti non sarà disponibile a partecipare ad altri piani d'aiuto. Per questo, per esempio, calcola che il massimo di avanzo primario (risparmi strutturali da destinare alla riduzione del debito complessivo) che si possa pretendere dal governo greco sia nell'ordine dell'1,5% del Pil. Mentre la struttura clandestina guidata dall'olandese ritiene che si possa succhiare sangue per almeno il 3,5%.

Lasciamo stare la credibilità generale di “piani di austerità” pensati per rendere possibili nuovi “piani di aiuti” – il taglio della spesa pubblica e la privatizzazione di tutto il patrimonio industriale dello Stato implica naturalmente un impoverimento della capacità produttiva di un paese, quindi il contrario della “crescita” che sarebbe necessaria per affrontare davvero la riduzione del debito.

Non si tratta di una valutazione “teorica” perché in ballo c'è appunto il terzo piano di “aiuti”, e la Germania ha ripetuto che il coinvolgimento del Fmi è un “prerequisito” per poterlo finanziare. “Se il Fmi non entrasse a far parte del programma di salvataggio per la Grecia sarebbe necessario una nuova approvazione (da parte del Bundestag e di altri paesi europei) [ma non tutti, vista la disparità istituzionale oggi esistente, ndr] perché il sì del 2015 era stato subordinato al fatto che il Fondo fosse a bordo del terzo piano di aiuti”, scrive la banca Ubs in un report interno. Ma con le elezioni in autunno e i sondaggi in calo, nemmeno la Merkel e Schaeuble si possono permettere di essere o sembrare “compassionevoli” verso un paese mediterraneo.

Insomma, se l'istituto di Washington – organizzazione composta dai governi nazionali di 189 Paesi, eredità degli accordi di Bretton Woods – non ci metterà la sua parte, il piano non vedrà la luce e per Atene sarà notte fonda. E subito, nelle prossime settimane, comunque prima dell'estate; quando il governo Tsipras dovrà restituire ben 8 miliardi di euro che non ha né potrà racimolare in giro.

La Grecia si ritroverà dunque cacciata – non uscita volontariamente – dall'Unione Europea. Sarà insomma un paese abbandonato alle tempeste, con un governo che ha rinnegato se stesso pur di non attraversare questo confine. Esposto a tutti i venti speculativi globali, senza più alcuna protezione né coesione sociale per sostenere una resistenza (quella che invece c'era la sera della vittoria dell'Oxi).

Un altro grande “successo” dell'Unione Europea e dei governi che le obbediscono...

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