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20/02/2017

La sharing economy in chiaroscuro: da Uber a AirBnB

In italiano si chiama “economia della condivisione” o come riporta Wikipedia “consumo collaborativo”: “Il termine consumo collaborativo (sharing economy) definisce un modello economico basato su di un insieme di pratiche di scambio e condivisione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze. È un modello che vuole proporsi come alternativo al consumismo classico riducendo così l’impatto che quest’ultimo provoca sull’ambiente”.

Si potrebbe anche definire un modello economico che non si fonda sulla produttività e la proprietà dei beni ma sulla condivisione e lo scambio, in cui quindi la partecipazione, la fiducia e le relazioni tra le persone risultano i pilastri fondamentali.


Inizialmente si parlava di banca del tempo quando le persone mettevano a disposizione il proprio tempo per fare qualcosa per poi ricevere un altro tipo di servizio da un altro. C’era il bike sharing, le bici “comunali” come ci sono, seppur poco usate, nella nostra città, c’era il car pooling quando aziende o lavoratori stessi si coordinavano per andare a lavoro con un’unica macchina. C’era infine il couchsurfing, cioè il mettere a disposizione il proprio “divano” per ospitare o essere ospitati. Erano forme primordiali di economia della condivisione favorite dalla massificazione delle tecnologie della rete e dall’uso di smartphone.


Poi però l’economia della condivisione si è strutturata fino a raggiungere una diffusione e un valore gigantesco: secondo un recente studio della Commissione Europea (Consumer Intelligence Series: fatto aprireThe Sharing economy. Pwc 2015) infatti, la sharing economy entro il 2025 accrescerà le proprie entrate fino a 300 miliardi di euro.


Pensiamo ad esempio ad Uber, azienda californiana che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso una applicazione (APP) che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Uber è stata valutata 50 miliardi di dollari, innescando un dibattito fra coloro che dicono che l’innovazione va fatta galoppare senza ostacoli e chi dice che l’economia della condivisione va regolamentata perché ogni tipo di economia alla lunga accentra i profitti e penalizza i cittadini. Di sicuro nessuno può negare che ci siano, intanto, problemi di carattere assicurativo, di privacy, di tasse e di sicurezza degli utenti.


Sono altrettanto innegabili, in un mondo dove (purtroppo) siamo diventati prima consumatori e poi cittadini, anche i vantaggi che ha portato al momento Uber: più disponibilità, più opportunità e prezzi più bassi. Ma per giudicare la bontà di un sistema ci sarebbe soprattutto da monitorare la gestione e la ripartizione della ricchezza prodotta, senza per forza scadere nell’accusa che chi vuole regolamentare è giocoforza un tifoso delle caste. Noi senza essere simpatizzanti dei tassisti il problema della regolamentazione ce lo poniamo. Anche perché queste aziende cercano di porsi solo come mediatori e ci fanno accettare condizioni contrattuali in cui loro si tirano fuori da ogni responsabilità in caso, ad esempio, di incidente.


Ma non è solo una questione tecnico-giuridica. Prendiamo l’esempio di AirBnB, vale a dire il “portale online che mette in contatto persone in cerca di una camera/alloggio per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare, generalmente privati” (Wikipedia).


AirBnB ancora più di Uber, oltre alla questione su tasse, sicurezza e responsabilità ha aperto un dibattito sull’impatto sociale di questo strumento con cui ormai milioni di persone in tutto il mondo organizzano le proprie vacanze. E non è solo un problema di competizione con alberghi e strutture “ufficiali”, un settore con migliaia di occupati e prezzi e salari in picchiata (grazie anche ai voucher). Il danno principale che sta causando AirBnB in molte città è quello dell’aumento vertiginoso degli affitti. Specialmente nelle città turistiche, chi ha un appartamento ormai non lo affitta più perché è molto più semplice e fruttuoso metterlo su AirBnB e affittarlo per piccoli periodi e spesso esentasse. Il risultato è che gli affittuari residenti di queste città sono stati espulsi dal mercato degli affitti oppure si sono visti raddoppiare le richieste di canone mensile.


Insomma, la questione è delicata e complessa e vista la mole di soldi che gira intorno all’economia della condivisione lo scontro sarà duro. Noi concludiamo con alcuni dati del 2015: Uber 160mila autisti ma solo 550 dipendenti. AirBnB 600 dipendenti con un milione di stanze. E il lavoro non ha orari né regole precise.


Articolo tratto dall’edizione cartacea di Senza Soste n.122 (gennaio 2017)

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