Inutile provare a concentrarsi sul
dibattito politico degli attuali cartelli elettorali: tra la polizza
assicurativa intestata alla Raggi, e le decise indecisioni di Renzi, di
politico c’è poco. C’è il tentativo, comune a tutti, di dire
qualcosa per rimanere a galla nei sondaggi nella speranza che tutto
questo si traduca in voti. E, poi, in semplice rendita di
posizione in parlamento visto che, salvo il classico colpo del destino
che cambia tutto, difficilmente alle prossime elezioni uscirà una
maggioranza. E, altrettanto difficilmente, uscirà un progetto politico.
Qui, infatti, non stiamo parlando di una possibile svolta progressista o reazionaria dietro l’angolo. Ma di forze politiche che stanno al di sotto della linea di complessità del presente. Incapaci quindi di darsi un profilo strategico, quale che sia. La prova del nove? Tutti
i tre partiti principali si sono barcamenati, chi più lentamente chi
con maggiore frenesia, tra posizioni eurofile ed euroscettiche. Finendo
per non dire nulla sul futuro dell’Unione Europea. Questione
che ci riguarda, comunque la si veda, in primissima persona. Lo stesso
Renzi ha cominciato il suo mandato, in modo comunque caricaturale, come
se fosse il primo eurista del continente per finire a fare l’imitazione
di Trump versione tricolore. Inevitabilmente, se la vogliamo fare
semplice, chi ha le idee confuse in casa – come i tre cartelli elettorali
maggiori – finisce per riversarle, amplificando la propria confusione,
in Europa.
C’è un problema però: che dall’Europa, e anche dal mondo, stanno emergendo fenomeni che finiranno per incidere in Italia. Anzi, sono già oggi politica interna. Per
una volta mettiamo tra parentesi una serie di questioni che incidono ma
politicamente si “vedono” sempre poco (dalle bolle finanziarie ai
comportamenti delle banche centrali) ed andiamo a tre fatti immaginati
come più politici: gli effetti Le Pen, Merkel, Trump sulla vita interna
del nostro paese.
Cominciamo dall’effetto Le Pen. Partendo dal suo possibile antipasto quello in scena con le elezioni olandesi del 15 marzo: l’effetto Wilders.
Stiamo parlando del leader del PVV olandese definito, a seconda delle
categorie che si usano, di “estrema destra” o “populista” o direttamente
fascista. Il programma di Wilders è la classica miscela di
protezionismo, da farsi oltretutto con uno stato minimo frutto della
detassazione, con tanto di pulizia etnica che ben conosciamo da anni.
Stella polare di Wilders: la deislamizzazione dell’Olanda, con misure
draconiane, quindi via le tasse, via l’Unione europea. Poi una serie di
misure, tra cui l’abolizione dei contributi alle iniziative artistiche
per favorire le spese militari, per solleticare l’elettorato in cerca
del solito capro espiatorio da punire tra immigrati, artisti etc. Il
punto è che Wilders, nei sondaggi, è dato al 30%. Nel
sistema olandese la ripartizione dei seggi al parlamento olandese è
proporzionale. Per cui è prevedibile, da parte delle altre forze
politiche olandesi, un tentativo di unità nazionale contro Wilders. In
quel modo non si farà che anticipare ciò che accadrà in Francia.
Le Pen, che ha tuonato contro
l’Europa e la Nato, difficilmente al primo turno delle presidenziali
farà un risultato diverso da una grossa vittoria. Come
altrettanto difficilmente vincerà al secondo turno quando il resto,
maggioritario, della società francese si mobiliterà contro di lei. Ha
già funzionato con Chirac nel 2002, rieletto a furor di popolo contro Le
Pen padre, funzionerà oggi, con numeri meno schiaccianti di allora.
Basta vedere i risultati delle ultime regionali francesi: c’è uno scarto
di voti tra lepenisti e non lepenisti non colmabile, per i primi, a
breve.
Il punto è quanto, e come, tutto questo farà effetto in Italia.
Con un parlamento presumibilmente balcanizzato, con dei cartelli
elettorali spaccati dalle correnti interne, che trovarobe una
legittimazione, in Italia e in Europa, come casa di una coalizione
costituita contro i Wilders e le Le Pen di casa nostra. Cioè contro i
Salvini e i Grillo. E così, come avvenuto ai poli opposti dell’Europa
ovvero in Grecia e in Germania, i partiti concorrenti riusciranno a
trovare un senso in una grande coalizione. Qualcosa di simile è già
avvenuto con il governo Monti e con quello Letta. Già ma oggi, grande
coalizione verso dove? A questo scenario mancano i punti di riferimento
della navigazione del passato: infatti
si sono offuscate la stella polare tedesca e statunitense.
Merkel e Trump. Soprattutto indaffarata
a cercare nelle chat del cellulare di Virginia Raggi, e a riportare
qualche dichiarazione di Orfini, la stampa italiana (assieme ai social)
ha capovolto la realtà invertendo l’ordine delle priorità politiche. Mettendo in primo piano il gossip e in secondo piano le priorità sistemiche.
Ecco quindi che sono finiti sullo sfondo due grandi fatti nei giorni scorsi: la dichiarazione della Merkel sull’Europa a due velocità e l’atto di abolizione dei controlli bancari da parte di Trump.
Entrambi, pur giocandosi su piani diversi, sono ancora atti simbolici.
La dichiarazione della Merkel, che vuol far inscrivere l’idea di
un’Europa a due velocità nella prossima dichiarazione solenne a 27 a
Roma, deve ancora divenire un atto concreto i cui dettagli sono tutti da
definire. Quello di Trump è invece un atto presidenziale che può
diventare legge solo se votato positivamente nei due rami del parlamento
americano. Entrambi però guardano ad una logica post-Brexit, successiva
alle elezioni americane, che finirà per incidere nel nostro paese. La
prima, al contrario di quello che sostiene qualche osservatore
distratto, guarda ad una Europa a due velocità i cui costi della
crisi (dalle migrazioni, alle guerre, alla bassa crescita economica, al
debito pubblico) sono esclusivamente a carico dei paesi più deboli.
Quale che sia l’esito, formale e di governance, di questa Europa a due
velocità. Quanto all’euro, se qualcuno si facesse illusioni, un
eventuale, che a noi pare strutturalmente difficoltoso, euro a due
velocità prevederebbe, basta vedere il dibattito tedesco, il debito
pubblico italiano contabilizzato in euro “buoni”. Un bagno di sangue per l’Italia,
naturalmente. Certo un’eventuale grande coalizione contro il
“populismo” in nome di una Europa a due velocità, benedetta da Germania e
Francia, sarebbe una farsa di tipo nuovo. Nessun dubbio che, per
sopravvivere, diversi cartelli elettorali farebbero questo ed altro.
C’è poi l’atto di Trump, anche questo ancora simbolico. Ma guardiamo cosa prevede: nessun limite alla finanza di rischio.
Esattamente quel tipo di finanza che riesce a estrarre dividendi, e a
gonfiare bolle immense, speculando sui debiti pubblici di paesi
strutturalmente in difficoltà. Come toh... l’Italia comunque vada,
comunque vada la vicenda della creatura dell’Europa a due velocità. A
maggior ragione se questo paese si sottoponesse a una rigida disciplina,
draconiana fiscale per rimanere nell’Europa a maggiore velocità. Perché
i mercati deregolati, così come li prospetta Trump, sentono l’odore del sangue dei paesi in difficoltà
e in ristrutturazione e intervengono ad estrarre ricchezza speculando
sui bilanci pubblici vacillanti. In entrambi i casi Usa e Germania non
sono più le stelle polari di una volta. Sono piuttosto due difficoltà,
una legata ad una ulteriore possibile deregolazione della finanza che
può aggredire il nostro debito pubblico (nonostante l’intervento della
Bce), l’altra di messa a disciplina fiscale, o in alternativa a
emarginazione, del nostro paese. Con, in ognuno dei casi, ulteriori
nuovi sacrifici per la società ed il suo tessuto economico. Inutile poi
girarci intorno: le due principali forze politiche, in buona compagnia
con il resto, non hanno davvero idee sul che fare se gli effetti
collaterali delle politiche tedesche o americane si faranno sentire
davvero. Pensano tutti alla propaganda, il resto si vedrà.
Certo, non c’è da aver dubbi: lo spread è tornato.
E con la serie di fantasmi del passato, vicini e lontani. La politica
istituzionale, di tutti i cartelli elettorali, sarà indubitabilmente
influenzata da quello che sta accadendo in Francia (e in Olanda), in Usa
e in Germania. Se sarà solo così, se questo scenario rimane il
principale, una prognosi è chiara: è una strada senza uscita.
Redazione, 6 febbraio 2017
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