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09/02/2017

Schiavi o morti: non è un’alternativa accettabile

“Bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare.”
(E. Sanguineti, Genova, gennaio 2007)

Un’accusa di alto tradimento. Si conclude così la lettera di Michele, suicida a 30 anni perché sconfitto da questo mondo, una morte che ci sentiamo tremare nelle vene perché quello che dice Michele lo sappiamo tutti, lo viviamo tutti.

In questo momento tutti noi siamo una generazione sconfitta, non certo dai nostri genitori che si sono fatti il mazzo per farci studiare sognando per noi una vita degna, ma sconfitti da un sistema che ingoia le persone soltanto quando gli è utile sfruttarle, per sputarle fuori quando non ne ha più bisogno.

Siamo una generazione cuscinetto, una generazione sacrificata alle riforme strutturali, ai vincoli di bilancio, alla flessibilità del lavoro e agli altri marchingegni studiati con perizia scientifica dagli architetti di questa gabbia, dai potenti banchieri centrali fino ai Poletti piccoli piccoli.

Una generazione abbandonata nel nome del profitto, perché se possiamo essere licenziati da un giorno all’altro è per salvare le aziende, se dobbiamo lavorare per campare a meno di mille euro al mese è per salvare i profitti delle aziende, se dobbiamo morire sui luoghi di lavoro è per salvare la produzione delle aziende.

Lo sappiamo bene: dietro alla retorica e gli articoli dei giornali sulla meritocrazia, sui giovani imprenditori di sé stessi, sulle start-up, si nasconde solo una competizione sfrenata verso il basso, a chi si offre al minor prezzo, a chi fa più ore di straordinario non pagato, a chi riesce ad accettare tutto senza dire niente.

La discrepanza percepita tra le aspettative prodotte in anni di impegno, sacrificio e mancato riconoscimento del merito, non ha trovato un riscontro positivo nella realtà che, infarcita dell’ideologia della meritocrazia o e della realizzazione personale, oggi non regge più davanti alla materialità delle cose. L’ambizione di quei giovani che hanno ancora la possibilità, o fanno di tutto per averla, di formarsi e inseguire un’aspirazione personale si scontra con l’impoverimento generalizzato delle classi popolari e delle ormai ex classi medie, processo sempre più evidente mentre andiamo incontro alla riorganizzazione forzata del mondo del lavoro, che vede l’Italia paese destinato ai margini produttivi dell’Unione Europea.

Siamo una generazione che vive con l’ansia e gli attacchi di panico. Avrò un lavoro domani? Riuscirò a pagare le bollette? Dovrò tornare a casa dei miei genitori e sembrare un fallito? Cosa farò fra 10 anni, fra un anno, fra un mese? Non c’è nessuna risposta a questo, almeno nessuna risposta solitaria, individuale, perché chiunque non accetti questo sistema e provi da solo a resistere è destinato alla sconfitta.

È questo stesso sistema che produce quel meccanismo contorto che permea la società, in ogni suo ambito, dell’ideologia della “realizzazione” come un processo individuale. Il fallimento di questo traguardo produce una disillusione cosi esasperata da arrivare all’ipotesi più estrema. Per uscire da questa narrazione distruttiva va quindi compreso che, per fronteggiare l’attacco della classe dominante nei confronti delle classi subalterne, la risposta non può e non deve essere individuale ma collettiva.

Se le alternative che ci vengono presentate sono accettare, emigrare o soccombere, noi rifiutiamo questa proposta e imbracciamo le nostre armi: l’unità contro chi ci vuole divisi, la cooperazione contro chi ci vuole competitivi, l’agire collettivo contro chi ci vuole isolare, l’organizzazione contro chi ci vuole deboli.

Episodi come questi non possono che aumentare se non saremo in grado in maniera organizzata di imporre un’inversione di rotta, un’alternativa ad un sistema che ci vuole o schiavi o morti. Forse uno su mille ce la fa, e ce lo sbandiereranno su tutte le prime pagine come l’esempio da seguire, con l’implicita conseguenza che se non ce la fai la colpa è solo tua, ma siamo altre 999 bocche braccia cuori che non vogliono più essere carne da macello.

In molti siamo nella stessa condizione, ora bisogna restaurare l’odio di classe, perché loro ci odiano. E non si fanno problemi ad ucciderci.

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