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30/03/2017

Lega Araba - Abu Mazen e l'illusione della forza


Divisi su tutto, i leader della Lega araba riuniti ieri in Giordania – unico assente il siriano Bashar Assad espulso negli anni passati su intimazione dell’Arabia Saudita e delle monarchie del Golfo – hanno trovato sulla questione palestinese l’unità tanto invocata dai partecipanti. Il documento finale approvato a conclusione del vertice annuale arabo ribadisce che la pace con Israele avverrà solo con la creazione di uno Stato palestinese. La pace è “un’opzione strategica”, si legge nel documento, che chiede a tutti i governi di non spostare le rappresentanze diplomatiche in Israele. Un riferimento indiretto all’intenzione annunciata da Donald Trump di trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Allo stesso tempo i leader arabi si dicono pronti a lavorare con il presidente americano “per portare la pace in Medio Oriente”.
 
Sorride il presidente palestinese Abu Mazen che ha lasciato il summit convinto di essersi rafforzato grazie all’appoggio ricevuto in Giordania, dimenticando che le dichiarazioni finali dei summit arabi sono simboliche e quasi mai destinate ad avere sviluppi concreti. Certo, ha ottenuto il sostegno che cercava alla soluzione dei Due Stati, Israele e Palestina, ridimensionata da Trump il mese scorso durante l’incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Netanyahu – “Che la soluzione sia a uno o due Stati, quella che loro preferiscono, l’importante è che sia pace”, aveva detto il tycoon – ma la realtà sul terreno continua ad indebolirlo, anche agli occhi della sua gente. L’espansione costante delle colonie israeliane sta spezzettando il territorio nel quale dovrebbe nascere lo Stato palestinese indipendente rendendo quasi impossibile la fattibilità della soluzione dei Due Stati.

Il presidente palestinese ha impedito emendamenti all’iniziativa araba del 2002 – pace con Israele solo in cambio della restituzione di tutti i territori arabi occupati dallo Stato ebraico cinquant’anni fa, durante la Guerra dei sei giorni, e una soluzione giusta per i profughi palestinesi – ma dietro le quinte diversi Paesi arabi, in particolare alcune monarchie sunnite, allacciano rapporti sempre più stretti con Israele, ritenendolo un alleato fondamentale contro il “nemico” Iran e non assegnano più alla questione palestinese un posto in cima all’agenda politica regionale.

Abu Mazen, che ad aprile sarà alla Casa Bianca, a margine del vertice ha incontrato e stretto con vigore la mano dell’inviato di Trump in Medio Oriente, Jason Greenblatt. Durante il colloquio però non ha ottenuto alcuna indicazione sui passi concreti che la nuova Amministrazione Usa intende muovere per “risolvere” il conflitto israelo-palestinese. Senza dimenticare che Washington e Tel Aviv stanno discutendo di un accordo che permetterà a Israele di costruire altre migliaia di case negli insediamenti coloniali in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

Dal governo israeliano non è arrivato alcun commento diretto all’esito del summit. Un ministro, Israel Katz, ha detto soltanto che lo Stato ebraico è pronto a collaborare a “strategie comuni per la sicurezza regionale” e a progetti volti a migliorare la condizione dei palestinesi.

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