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24/04/2017

Francia: e l’Isis votò per Marine Le Pen...

Puntuale come le scadenze del fisco è arrivato l’attentato parigino alla vigilia del voto ed è difficile pensare ad una coincidenza accidentale. Tutto lascia intuire la volontà degli Jihadisti di “pesare” nelle urne di domenica, in primo luogo scoraggiando l’affluenza ai seggi in una scadenza così rilevante, coltivando quel senso di insicurezza permanente che ormai alberga i francesi, ed in secondo luogo favorendo qualche candidato contro gli altri. E non ci vuole molto a capire chi può avvantaggiarsi psicologicamente da questo attentato: Marine Le Pen. 

Per la verità, qualche vantaggio può venire anche al rimontante Fillon, ma credo meno: l’indeciso che vota Fillon per una cosa del genere, potrebbe farlo sulla base di un ragionamento per cui la Le Pen è più decisa sul tema, ma Fillon ha proposte più credibili su altro, oppure che La Le Pen ha meno probabilità di spuntarla su Macron, per cui la logica del “voto utile”, porta a preferirgli il gollista. Ragionamenti elaborati e di sponda, come si vede, non facili a prevalere sull’elettorato di massa.

Comunque, non è probabile che Fillon sia in vetta ai desideri della Jihad. Mentre la Le Pen si, perché gli islamisti radicali vogliono lo scontro con l’Occidente, vogliono, appunto la Jihad, la guerra santa e, per di più la “fitna” (il caos) nell’Occidente. Una presidenza Le Pen entrerebbe direttamente in conflitto con il mondo delle banlieu molto più di quel che non abbia fatto Hollande e questo è quello che gli islamisti desiderano più di ogni altra cosa. E’ il meccanismo classico della “convergenza dei falchi” che abbiamo visto moltissime altre volte. “C’è molta logica in questa follia” direbbe qualcuno dalle parti di Strafford upon Avon.

Gli Jihadisti ci hanno capiti e sanno dove vogliono arrivare. Vice versa, gli occidentali non capiscono affatto la logica politica dei loro avversari e si muovono a tentoni facendo danni.

Sconcerta, l’inadeguatezza della risposta occidentale alla Jihad, sia sul piano politico generale, sia su quello strettamente politico-militare.

Sul piano politico generale non si capisce che la posta in gioco è il consenso delle masse arabo-islamiche tanto in Medio Oriente quanto nelle nostre periferie ed è certo che se si affronta il problema con guerre di invasione, affondando i barconi con i profughi, stipando quelli che arrivano come bestie in centri come quello del Cara di Mineo, trattando i cittadini francesi di religione islamica come sotto uomini ammassati in orrende banlieu poi è difficile raccogliere il loro consenso; vi pare?

Lo so che le periferie urbane islamiche sono ostili all’occidente anche in Belgio dove le condizioni di accoglienza sono molto più decenti, ma qui si riflettono le condizioni generali dello scontro, per cui non basta qualche isola di accoglienza per superare il problema. Ma qui il discorso porta ad affrontare l’ordine perduto del Medio Oriente (a cominciare dalla ferita purulenta della questione palestinese) di cui abbiamo detto più volte e diremo ancora.

Sul piano del contrasto militare e di intelligence la situazione è ancora più sconcertante: al solito, la polizia francese ha annunciato che l’attentatore gli era noto come jihadista. Benissimo, bravi! Ma se poi questo non serve a prevenire gli attentati, a che serve saperlo? Dalla strage di Charlie, di due anni fa, i servizi di intelligence francesi hanno incartato una impressionante serie di insuccessi: Bataclan, Nizza eccetera eccetera. Capisco che se uno vuol fare un attentato (e qui ne abbiamo decisamente troppi che hanno di queste intenzioni) è molto difficile impedirglielo se può colpire indifferentemente un qualsiasi obiettivo come i passanti per strada. E infatti ho sempre considerato una scemenza impotente quella di predisporre giganteschi apparati di protezione di tutti gli obiettivi sensibili: non serve, perché siccome è impossibile proteggere tutti gli obiettivi possibili, poi il terrorista colpirà l’obiettivo che gli lasci sguarnito. Ma il problema non va impostato in termini difensivi (se non per la parte indispensabile) ma offensivi.

Noi non usciremo da questa situazione se non daremo una sonora legnata agli jihadisti. Certo: questo non basta, la partita si risolve sul piano politico, ma anche la dimensione militare dello scontro pesa sulla partita politica e questi la legnata se la bevono beccare. Tradotto: bisogna individuare e distruggere le reti clandestine degli islamisti in Occidente, occorre “bonificare” l’ambiente, nel rispetto delle norme costituzionali, ma senza risparmiare colpi con la durezza e, se occorre, la ferocia necessaria. Ma, per farlo, occorre avere una mappatura adeguata dell’ambiente da bonificare e, noi, a che punto siamo con la conoscenza del mondo avversario? A volte si ha l’impressione che gli jihadisti hanno più infiltrati nelle nostre polizie di quanti esse ne abbiano fra di loro.

Chiunque sia il prossimo presidente francese avrà un compito preliminare: rivoltare la sua intelligence come un calzino, sbattere fuori a pedate nel sedere la maggior parte dei suoi dirigente e trovare gente di cervello al loro posto.

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