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25/04/2017

I giorni della Liberazione. 25 Aprile /1


Premessa – Venticinque aprile

Fra il 25 aprile e il primo maggio 2015, lavorandoci poi fino ad ora, ho ricostruito cronologicamente, in sedici puntate e alcune appendici, gli episodi principali della fine di Mussolini, in contemporanea più o meno esatta con quello che era successo – ora per ora – esattamente settant’anni prima. Partendo dalla fuga da Milano del 25 aprile per arrivare all’autopsia del 30.

Non credo ci sia nulla di nuovo, dal punto di vista contenutistico, se non un tentativo di fare chiarezza, specialmente su alcuni episodi controversi.

Questa cronaca “momento per momento” parte allora con il Venticinque aprile.

Alle 8 del mattino del 25 aprile, via radio, il CLNAI, da Milano (presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani, presenti anche il presidente designato Rodolfo Morandi, Giustino Arpesani per il Partito Liberale e Achille Marazza per la Democrazia Cristiana), proclamò l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del CVL di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa; il proclama diffuso via radio si conclude con la voce – oggi inconfondibile, allora sconosciuta – di Sandro Pertini:
“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.”
Parallelamente il CLNAI emanò appunto dei decreti legislativi a validità immediata.

Proclama del CLNAI (25/4/45). «Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, oggi 25 aprile, in nome del popolo e dei volontari della libertà e delegato del solo governo legale italiano, ha assunto i poteri di governo. (…) Sono istituiti i Tribunali di Guerra in ogni Provincia dal Comando di zona del Corpo Volontari della Libertà designato dal Comando stesso che presiede, da un magistrato in servizio attivo o a riposo designato dal Comitato di Liberazione Nazionale provinciale e da un Commissario di guerra addetto al Comando di Zona e da due semplici partigiani nominati dal Comando di Zona. I Tribunali di guerra hanno competenza a giudicare dei reati contemplati dal presente decreto: essi siedono in permanenza e le loro sentenze sono emanate in nome del popolo italiano ed eseguibili immediatamente.»

Decreto del CLNAI (25/4/45) per l’amministrazione della giustizia. Art.5: “I membri del governo fascista e i gerarchi fascisti colpevoli di aver contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, d’aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi meno gravi con l’ergastolo”.

Mussolini e gli alti gerarchi e ministri in fuga con lui erano già stati, perciò, condannati a morte. Non restava che eseguire la sentenza.

Nel tardo pomeriggio del 25, falliscono le trattative intavolate fra alcuni membri del CLN (Cadorna, Lombardi, Marazza e altri) e i capi del fascismo (Mussolini, Graziani, Barracu ed altri), durante un incontro presso l’Arcivescovado di Milano con la mediazione del Cardinale Ildefonso Schuster. Mussolini spera ancora in un qualche inesistente margine di accordo; Marazza gli comunica l’unica offerta possibile: resa incondizionata. Correttamente, secondo quanto già deliberato dal CLNAI, l’ultima volta la mattina stessa del 25, non può esserci trattativa, soltanto “Arrendersi o perire”.

Mussolini fa allora un suo ultimo coup de théatre. Viene informato, appena prima della riunione, di quanto già sa, e di cui tutti sono al corrente da settimane: i tedeschi in Italia stanno trattando la resa con gli Alleati. Ovviamente, senza coinvolgere i collaborazionisti della RSI, entità che d’altra parte gli Alleati stessi non hanno mai riconosciuto, non solo come preteso “stato”, ma neppure come interlocutore. Mussolini reagisce indignandosi platealmente davanti ai perplessi membri del CLN e abbandona teatralmente la riunione, dicendo che entro un’ora avrebbe dato una risposta alla richiesta di resa. La risposta non venne mai.

Se la riunione ebbe una qualche utilità – sebbene a ragione i rappresentanti comunisti nel CLN l’avessero disertata, disapprovandola – fu nel mettere in vigore la condanna a morte dell’ex duce e di quanti – seguendolo nella fuga con le armi in mano – erano passibili di esecuzione immediata.

All’incontro del 25 aprile con i fascisti in Arcivescovado, Sandro Pertini – ignaro della sua organizzazione ed informato all’ultimo – giunse in ritardo: incrociò sulle scale dell’Arcivescovado lo stesso Mussolini:
“Lui scendeva le scale, io le salivo. Era emaciato, la faccia livida, distrutto” (Avanti! del 6 maggio 1945)
Quando giunse nella Sala dell’arcivescovado, Pertini ebbe, con la delegazione del CLN che aveva trattato, una discussione accesa, appoggiato da Emilio Sereni, nel frattempo anch’egli sopraggiunto: chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini. E se Mussolini si fosse arreso al CLNAI, secondo Pertini andava consegnato ad un tribunale del popolo secondo il decreto del CLNAI, e non agli alleati. Secondo Pertini, il suo intervento fu risolutivo per la decisione di Mussolini di fuggire, anche se secondo altri Mussolini già aveva deciso di non arrendersi. In un articolo sull’Avanti (Resistenza: patrimonio di tutti, Avanti!, 16 aprile 1965) Pertini scrisse:
“Da tutto questo appare chiaro che il mio intervento presso il cardinale (intervento appoggiato solo dal compagno Emilio Sereni, ma con molta energia) spinse Mussolini a non arrendersi. E soprattutto appare chiaro che se la sera del 25 aprile il compagno Sereni ed io non fossimo andati all’arcivescovado e se quindi Mussolini si fosse arreso al CLNAI sarebbe stato consegnato al colonnello inglese Max Salvadori, il che voleva dire consegnarlo di fatto agli alleati (ed oggi sarebbe qui, a Montecitorio...)”
Diverso atteggiamento avevano avuto, in quel periodo, alcuni socialisti dirigenti e membri del CLN (ad esempio Corrado Bonfantini, Comandante delle Brigate Matteotti), protagonisti degli ambigui tentativi di compromesso dell’ultimo periodo di Mussolini: egli, spalleggiato dai “moderati” (i ministri Biggini e Pisenti, il filosofo Cione, il capo della polizia Renzo Montagna, i giornalisti Pini, Manunta, Borsani, il mussoliniano antifascista Carlo Silvestri e altri) tentò a più riprese di contattare i membri del suo ex-partito di un quarto di secolo prima (il Partito Socialista, appunto) proponendo di cedere loro il potere in maniera “morbida” e senza insurrezione, offrendo loro anche di proseguire nella cosiddetta “socializzazione”, vanamente decretata dalla RSI, in cambio dell’impunità (il cosiddetto progetto del “Ponte”). Che i socialisti avessero nella Resistenza partigiana un ruolo secondario (la quasi totalità delle formazioni partigiane era comunista, azionista di GL o autonoma) rendeva il progetto del “Ponte” irrealistico, oltre che un meschino tentativo dei capi fascisti di salvarsi la pelle. Fra i primi decreti del CLN, vi fu proprio l’abrogazione del cosiddetto decreto della RSI sulla socializzazione, visti i suoi contenuti antinazionali, falsamente sociali e la nulla adesione che esso ebbe tra i lavoratori. Gli stessi lavoratori che venivano denunciati dai fascisti e deportati nei lager nazisti se scioperavano. Il fascismo – repubblicano per facciata e dittatoriale fino alla fine – rimase sempre ciò che era: servo dei padroni, industriali e agrari. Se il partito dell’industria, vista l’imminente sua fine, ad un certo punto mollò il fascismo per rivolgersi agli americani e agli alleati, ed i fascisti reagirono con rabbia, questo non fa dei fascisti dei rivoluzionari anticapitalisti, ma solo dei servi messi alla porta perché ormai imbarazzanti e inutili. Così come non fa degli industriali degli antifascisti.

Le ferme mani di Sandro Pertini e di Lelio Basso mantennero, nella primavera 1945, i socialisti fuori da qualunque ambiguità o compromesso. Un’ultima lettera “ai compagni socialisti” venne vergata da Mussolini dopo la fallita trattativa in Arcivescovado e prima della fuga, il 25 sera. Conteneva ancora le citate offerte “pontiste” di accordo. Recapitata da Bonfantini a Sandro Pertini, ebbe questa risposta: “La lettera non sarà presa in considerazione alcuna”.

Mussolini rientra in Prefettura e prepara la fuga. Fugge da Milano dove sta per iniziare l’insurrezione, ha tre opzioni davanti a sé:

1) la fuga in Svizzera;

2) trincerarsi in Valtellina (il “Ridotto Alpino Repubblicano” sul quale si fanno piani fumosi già da mesi) con gli ultimi fedeli per un’estrema resistenza;

3) fuggire in Germania.

L’ordine di partenza, in realtà di fuga, impartito da Mussolini col motto “Precampo a Como!“, lascia ancora intendere ad Alessandro Pavolini, segretario del PFR e grande propugnatore/organizzatore del Ridotto in Valtellina, che Mussolini ed i suoi lo attenderanno a Como per poi proseguire per Lecco e la Valtellina. Pavolini infatti non parte con Mussolini la sera del 25, ma la mattina del giorno successivo con una numerosa colonna di militi fascisti.

Nell’ultima drammatica riunione in Prefettura, il 24 aprile, Pavolini ebbe un violento scontro con Rodolfo Graziani, ministro della guerra e comandante dell’esercito repubblichino, che lo accusò di mentire e di illudere Mussolini sulle possibilità di resistenza in Valtellina: Graziani non partì con Mussolini la sera del 25, ma restò a Milano, decisione che gli salvò la vita. Anche Junio Valerio Borghese, comandante della Xª Flottiglia MAS, disse a Pavolini che la “Decima” non sarebbe andata in Valtellina, ma sarebbe rimasta in caserma a Milano per arrendersi al CLN (come avvenne il giorno 26).

Mussolini parte con i gerarchi repubblichini e con la “scorta” nazista, capeggiata dal tenente Fritz Birzer. Un lungo corteo di automobili e un camion con i bagagli più ingombranti, camion che avrà un guasto lungo il percorso e sarà recuperato dai fascisti poche ore dopo, già saccheggiato da squadre partigiane.

Vi è un momento storico, nella foto che apre questo articolo (Figura 1 e 2a). Le ultime foto di Mussolini da vivo, mentre sale in macchina nel cortile della Prefettura, con Fritz Birzer, e mentre lascia la Prefettura fra poche braccia alzate. Gli ultimi fascisti milanesi – fra i quali Carlo Borsani – lo implorano di non abbandonarli: invano.

Tre giorni ancora e lo raggiungerà la Giustizia partigiana.

Fig. 1. 25 aprile. Ore 20. Una delle ultime foto di Mussolini da vivo, in fuga da Milano. L’ufficiale tedesco è il capo della sua scorta, tenente Fritz Birzer.

Fig. 2. Mussolini a Milano. Con lui Pavolini (coi baffi al centro) e Barracu (con il cappotto di pelle). La foto – utile per avere un’impressione visuale dell’aspetto dei capi repubblichini negli ultimi mesi – risale alla precedente visita di Mussolini a Milano, appena quattro mesi prima, il 16 dicembre 1944, in occasione del discorso al Teatro Lirico e al giro per le strade di Milano in auto scoperta, fra due ali di folla osannante. L’ultimo grande bagno di popolarità per il dittatore.

 Fig. 2a. Mussolini che esce dalla Prefettura il 25/4 sera: davanti, un motociclista tedesco e poi, con le insegne delle SS (dove probabilmente siede il tenente Birzer). L’ex duce sta su un’Alfa Romeo decappottabile (visibile anche in parte in Figura 1) ed ha come compagno, alla sua destra, Franco Colombo, Comandante della “Muti” (che sarà poi arrestato dai partigiani a S. Fedele Intelvi e fucilato il 28/4/1945 a Lenno). La foto è stata scattata, con altre dello stesso periodo, dal fotografo svizzero di Zurigo Paul-Ernst Aegerter e rintracciata presso la Biblioteca di Lecco. Cortesia dell’autore del volume “L’arresto di Mussolini a Dongo e la resa della Colonna Tedesca a Morbegno e a Colico (27 e 28 aprile 1945)”, Pierfranco Mastalli.
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