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30/04/2017

Marwan Barghouti infiamma le strade palestinesi

di Michele Giorgio

Ai posti di blocco israeliani intorno alle città palestinesi e a Gerusalemme est, i manifestanti ieri hanno trovato soldati in assetto antisommossa, pronti a rispondere al “Giorno della rabbia” proclamato dal partito Fatah a sostegno dello sciopero della fame che da 12 giorni osservano oltre 1500 palestinesi nelle carceri israeliane. I feriti tra i dimostranti sono stati decine, alcuni da proiettili veri. Gli scontri più seri sono divampati davanti alla prigione di Ofer, a Betlemme, Betunia, Qalandiya, a Silwad, Tequa, Nablus, Hebron e altre località della Cisgiordania. Spiccavano i poster con l’immagine di Marwan Barghouti, il segretario generale di Fatah, incarcerato con cinque ergastoli in Israele e messo in isolamento perché promotore dello sciopero della fame.

Contro le previsioni di molti, in Israele e anche tra i palestinesi, lo sciopero della fame va avanti. Accusato da non pochi nel suo partito di cercare, attraverso questa protesta, visibilità e potere, boicottato dal movimento islamico Hamas che ha ordinato ai suoi militanti in carcere di non aderire allo sciopero organizzato dai rivali di Fatah, descritto come un “terrorista sanguinario” da Israele, Barghouti ha dimostrato di poter ancora accendere le strade della Cisgiordania. Proprio come fu in grado di fare prima e durante la Seconda Intifada (2000), quando a capo di Tandhim, l’organizzazione di base di Fatah, guidò la protesta palestinese contro gli accordi di Oslo, Israele e anche l’Anp. È la prima volta dai giorni della Seconda Intifada che Fatah rivolge un appello alla popolazione a «cercare lo scontro» con i soldati. Una novità che ha messo in allarme i comandi militari israeliani e spinto l’Autorità nazionale palestinese (Anp) a schierare centinaia di agenti di polizia nei punti più caldi per impedire l’escalation degli scontri.

Quella di ieri è stata una prova generale dell’iniziativa popolare che le correnti di Fatah legate a Barghouti stanno organizzando per il prossimo 3 maggio in Piazza Mandela a Ramallah, proprio nel giorno in cui il presidente dell’Anp Abu Mazen incontrerà alla Casa Bianca Donald Trump. Un raduno, si prevede, di migliaia di palestinesi che potrebbe mettere in imbarazzo un Abu Mazen che vuole presentarsi da Trump come un leader che controlla la situazione e implacabile con dissidenti e avversari politici come dimostra il braccio di ferro che ha avviato con il movimento islamico Hamas a Gaza.

Ambizioni velleitarie quelle del presidente palestinese. Abu Mazen resta un leader debole non in grado di influenzare in alcun modo le decisioni di Israele. Il governo Netanyahu fa ciò che vuole. Ha appena fatto sapere, attraverso il ministro dell’edilizia Yoav Galant, di voler costruire 15.000 nuove case a Gerusalemme est, il settore palestinese della città che Israele ha occupato 50 anni fa. «Costruiremo 10mila unità a Gerusalemme (Ovest, la zona ebraica) e circa 15mila nei confini municipali della città (a Est)», ha spiegato Galant.  L’annuncio potrebbe essere fatto nel “Giorno di Gerusalemme”, il 24 maggio, due giorni dopo l’arrivo di Trump in Israele.

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