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28/04/2017

Mors tua, fiducia mea... Anche la crisi non è uguale per tutti

L’assenza di una qualsiasi politica economica – a livello nazionale – è resa evidente dai dati pubblicati dall’Istat sulla “fiducia” di imprese e famiglie. Da un lato l’ottimismo di chi campa soprattutto di esportazioni (un 20% circa delle imprese italiane), al lato completamente opposto “le famiglie” (dizione anodina per indicare l’universo dei “consumatori”, socialmente molto composito – tutti comprano qualcosa, se non altro per mantenersi in vita – ma nella stragrande maggioranza composto da lavoratori dipendenti di ogni genere, pensionati, ecc). Qui la sfiducia aumenta, si consolida mese dopo mese. E si è da tempo trasformata da problema solo economico in incognita politica pensatissima per chi in qualche modo “governa” il paese.

Del resto, se ben 7 milioni e 209 mila italiani – una cifra in crescita, nonostante non comprenda i migranti – hanno “gravi problemi economici”, nessuno può pretendere che la “fiducia” sia in miglioramento. Con o senza 80 euro...

Ma neanche tra le imprese, si diceva, si va schiarendo l’orizzonte. Gli esportatori hanno ritrovato il sorriso, ma solo loro. Anche se hanno frenato la lunga caduta, i settori tradizionalmente trainanti la produzione italica – quelli orientati quasi esclusivamente al mercato interno, come l’edilizia – ristagnano. Con le ovvie ricadute negative su occupazione e salari, dunque sui consumi e sulle imprese che vi fanno conto, in un avvitamento senza via d’uscita. Se ci si affida alle sole forze “spontanee del mercato”.

Sono ormai in molti a sottolineare la differenza crescente tra l’atteggiamento della nuova amministrazione Usa e la politica dell’Unione Europea. Trump, espressione diretta della old economy, “va a tirare tutte e due le orecchie dei manager che stanno per chiudere le aziende per andarne a costruire delle nuove in Messico, o dove sia, per spendere meno in salari. E minaccia di mettere la Border Tax, per colpire i prodotti importati delle multinazionali americane” (Guido Salerno Aletta, su Teleborsa). Mentre invece il candidato “europeista” al ballottaggio in Francia, Emmanuel Macron, “è andato a trovare gli operai in lotta della fabbrica della Whirpool ad Amiens, che sta per chiudere in vista della delocalizzazione della produzione in Polonia. Si è presentato lì per allargare le braccia e dire che questo è il mercato, e che lo Stato non può fare nulla”.

Inutile lamentarsi, dunque, se nella stessa giornata arriva Marine Le Pen nello stesso luogo per dire agli stessi operai che con lei all’Eliseo, invece, sarà impedita ogni delocalizzazione. Mente, è ovvio, ma intanto fa strada nella testa della gente.

Lo scarto tra “fiducia” di una parte delle imprese e quella di quasi tutte le famiglie preoccupa anche IlSole24Ore: “una minoranza che fa bene o benissimo sui mercati internazionali e una maggioranza spiaggiata sull’arenile del mercato interno – non sembra più una configurazione temporanea della nostra industria. Inizia, piuttosto, ad assomigliare a un destino”. Un “grosso problema”, perché non c’è narrazione che possa far sembrare un cammino verso il progresso quello che tutti vivono materialmente come un peggioramento costante della vita quotidiana. E nemmeno “tagli delle tasse alle imprese” che possano rigenerare settori in deficit di clienti (per pagare le tasse, devi aver prima venduto qualcosa...).

Come se ne esce? Nè con la linea Trump (protezionismo nazionalistico), né con quella Ue (austerità che elimina i più deboli), ovviamente. O, per metterla sulla presunta “alternativa” francese, né con Le Pen né con Macron. “Pubblicizzare” la produzione e le utility strategiche, costruendo ponti con le economie compatibili (per composizione organica, produttività, ecc.) potrebbe forse tamponare la caduta verticale di una serie di paesi (come spiegava Martin Wolf, ieri: " il Paese europeo più vulnerabile in tal senso è l’Italia, anche se nemmeno la Francia ne è immune. ").

Altrimenti è chiaro che nessuno potrà seriamente controllare l'esplosione del malcontento sociale ovunque. Perché masse crescenti di persone possono accettare in eterno di restare “spiaggiate sul litorale” di un sistema che non funziona più.

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