di Stefano Mauro
Un rapporto della Sicurezza Israeliana, pubblicato sul quotidiano Maariv, afferma che “le decisioni assunte ad Astana rappresentano un inutile tentativo per la soluzione del conflitto in Siria”. “Israele
– continua il documento – nonostante l’entrata in vigore dell’accordo,
non lo osserverà e continuerà con i suoi raid aerei contro attività considerate terroristiche nei suoi confronti”.
Tel Aviv, secondo diversi analisti, è cosciente del fatto che la
creazione delle zone di sicurezza, decisa da Russia, Iran e Turchia ad
Astana, pone dei seri problemi alla prosecuzione dei suoi piani di
destabilizzazione nel conflitto siriano.
Due sono i punti che hanno impensierito lo Stato israeliano.
Il primo riguarda il divieto per gli aerei della coalizione
internazionale e per quelli israeliani “di poter operare nelle zone di
sicurezza” in Siria. “Le operazioni dell’aviazione nelle zone
di sicurezza, in particolare quelle delle forze della coalizione, non
sono assolutamente previste, tranne quelle concordate contro Daesh”, ha
dichiarato l’inviato speciale russo per la Siria, Alexander Lavrentiev.
Lo stesso farà l’aviazione russa e quella siriana che, secondo il
capo delle forze armate russe Serguei Rudskoi, non sono più operative
dai primi di maggio, “purché non ci sia più alcuna attività militare
nelle aree sicure, al fine di garantire una tregua duratura in queste
zone”.
Il secondo punto riguarda il posizionamento, legittimato
dagli accordi, di truppe iraniane nelle aree: una delle quattro zone
(Idlib, Deraa, Homs e Ghouta orientale periferia est di Damasco) sarà
quella meridionale di Deraa, proprio a ridosso delle alture del Golan e
del confine con Israele. Tel Aviv ritroverebbe vicino ai suoi
confini, grazie ad un accordo internazionale sostenuto anche dall’Onu,
quello che ha cercato di evitare in tutti questi anni: i pasdaran
iraniani.
Fondamentale, comunque, sarà la posizione degli Usa. L’amministrazione
americana ha accolto la notizia dell’accordo con molta prudenza,
sostenendolo, purché riesca “a ridurre realmente la violenza in Siria”.
Secondo la stampa di Tel Aviv, invece, nonostante Washington possa
appoggiare questo accordo da un punto di vista operativo con Mosca, di sicuro
“non rinuncerà a sostenere tutte le fazioni ribelli moderate”.
Affermazioni che trovano una loro fondatezza nelle operazioni
militari che gli Usa stanno portando avanti nella zona di confine tra
Siria e Giordania. Il 7 maggio è cominciata l’esercitazione
militare Eager Lion che vede impegnate, sotto il comando americano,
oltre 7.500 truppe provenienti da 20 paesi (principalmente europei,
africani e dei paesi del Golfo).
La Giordania, pur essendo stata invitata per la prima volta ai
colloqui di Astana come paese “osservatore”, ha dichiarato che
proseguirà nella sua politica di contrasto per la crisi siriana e per
difendere il proprio paese dal terrorismo.
“La Giordania non ha firmato gli accordi di Astana sulle Safe
Zone – ha dichiarato lunedì il portavoce del governo giordano Mohammed
Al Moemeni – e difenderà con qualsiasi mezzo le sue frontiere in caso di
necessità”.
Fonti vicine alle agenzie stampa siriane (Sana, Al Mayadeen) affermano che in
caso di necessità la Giordania potrebbe invadere la Siria nella zona di
Al Tanf, posizionando una nuova milizia, il gruppo Maghawir Al Thawra,
creata ed armata dagli americani sia contro Assad sia contro Daesh.
In chiave preventiva, nella stessa giornata di lunedì, il ministro
degli Esteri siriano, Walid Al Mouallem, ha avvertito la Giordania che
qualsiasi azione militare in Siria, senza l’avvallo di Damasco, sarà
considerato come “un atto ostile”. Stessi toni minacciosi da parte di
Hezbollah: “Chiunque violerà i confini siriani, pagherà un caro prezzo e
sarà considerato un possibile bersaglio” afferma un suo comunicato
stampa diffuso ieri.
Le priorità di Damasco, soprattutto in queste ultime
settimane, sono quelle di riconquistare tutte le località meridionali
confinanti con la Giordania e l’Iraq, per ricongiungere le
proprie truppe, che combattono contro Daesh (gruppo Khalid Ibn Al
Walid), con quelle irachene delle Hashd Shaabi (Unità Mobilitazioni
Popolari, truppe multi-confessionali di Baghdad, ndr) per creare un
“fronte comune” in difesa della frontiera meridionale.
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