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12/05/2017

La litania dell'ambasciatore per normalizzare al-Sisi

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Un sassolino dietro l’altro, con cadenza regolare: ormai da mesi rappresentanti politici italiani buttano là la solita proposta. È tempo di far tornare l’ambasciatore in Egitto. L’ultimo “appello” è quello di Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa del Senato ed esponente Pd.

Latorre ha affidato il suo pensiero sul caso Regeni a La Stampa: «Rimandiamo l’ambasciatore al Cairo e torni quello egiziano a Roma. Anzi, dobbiamo inviare anche una rappresentanza più ampia, proprio per la delicatezza delle questioni da affrontare». Insomma, secondo Latorre per risolvere la questione del giovane brutalmente torturato e ucciso in Egitto 15 mesi fa la presenza dell’ambasciatore è essenziale.

Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana la definisce «una pessima trovata, dettata dall’ingenuità o altri motivi che francamente mi sfuggono». Di certo l’arrivo di Cantini, nominato un anno fa, va contro la volontà della famiglia Regeni che si batte da febbraio 2016 per ottenere verità dall’Egitto e impegno serio da parte di Roma.

«La ritengo una proposta totalmente sbagliata e ritengo di poter dire che questa sia anche l’opinione dei familiari – ci spiega Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato – Da un anno, e questa è la mia opinione, ripeto che il ritorno dell’ambasciatore potrebbe anche essere una scelta opportuna ma la vera questione è: quali misure altrettanto efficaci, significative e importanti verranno adottate? Nel corso di un anno nessun altro provvedimento è stato adottato. Nell’incontro tra il premier e i familiari il 20 marzo Gentiloni affermò che qualunque decisione a proposito dell’ambasciatore dovesse essere condivisa dalla famiglia».

Un sassolino, poi un altro, perché la normalizzazione definitiva dei rapporti con il regime del Cairo si realizzi. Eppure un’effettiva rottura non c’è stata mai. Al di là del richiamo dell’allora ambasciatore Massari, l’8 aprile 2016, nessuna delle misure «immediate e proporzionate» promesse dal ministro degli Esteri dell’epoca (oggi premier) è stata assunta.

Il business si è intensificato: l’anno scorso l’Italia ha segnato il record di esportazioni verso l’Egitto: 3,08 miliardi di euro, contro i 2,9 del 2015 e i 2,7 del 2015. Per non parlare dell’energia, punta dell’iceberg di rapporti regolarissimi: due giorni fa l’ad di Eni Descalzi, presentando i risultati del primo trimestre 2017, è tornato sulla produzione egiziana.

Una miniera d’oro, soprattutto dopo la scoperta del gigante Zohr, giacimento da 850 miliardi di metri cubi di gas. Ieri lo ha ribadito lo stesso Gentiloni al convegno “Eni con l’Italia”: in Nord Africa «si sta sviluppando una diplomazia del gas» legata alla scoperte di Eni.

Regeni è lontano, lontanissimo. Dopo un anno e tre mesi dal ritrovamento del cadavere in un fosso tra Il Cairo e Alessandria, sono la Procura di Roma, la famiglia e la società civile ad insistere per avere verità.

Il presidente egiziano al-Sisi si sente al sicuro con una comunità internazionale altrettanto normalizzata che tace sulla repressione strutturale. Eppure questa prosegue senza sosta. Pochi giorni fa un altro giornalista, Mahmoud Nasr, è stato arrestato per aver fotografato dei graffiti. Lunedì l’ideologo dei Fratelli Musulmani, Mohammed Badie, è stato condannato all’ergastolo per «aver pianificato attacchi violenti». È il risultato del nuovo processo, dopo la cancellazione del primo (concluso con la condanna a morte) ordinata dalla Corte costituzionale.

E sulla poltrona del presidente continuano a concentrarsi poteri: lo stato di emergenza è stato esteso dopo la Domenica delle Palme a tutto il paese, a seguito degli attacchi dell’Isis contro due chiese copte (47 morti); e la nuova riforma della magistratura (approvata durante la visita di papa Francesco, a fine aprile) garantisce ad al-Sisi la nomina dei vertici di tutte le istituzioni giudiziarie.
Accumula potere ma si dimostra sempre più incapace di gestire un paese al collasso: ad aprile l’inflazione è salita ancora, 32,9% (44,3% per cibo e bevande). Il popolo egiziano è ogni giorno più povero e disperato, nel silenzio del mondo.

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