di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Un sassolino dietro
l’altro, con cadenza regolare: ormai da mesi rappresentanti politici
italiani buttano là la solita proposta. È tempo di far tornare
l’ambasciatore in Egitto. L’ultimo “appello” è quello di Nicola Latorre,
presidente della Commissione Difesa del Senato ed esponente Pd.
Latorre ha affidato il suo pensiero sul caso Regeni a La Stampa:
«Rimandiamo l’ambasciatore al Cairo e torni quello egiziano a Roma.
Anzi, dobbiamo inviare anche una rappresentanza più ampia, proprio per
la delicatezza delle questioni da affrontare». Insomma, secondo
Latorre per risolvere la questione del giovane brutalmente torturato e
ucciso in Egitto 15 mesi fa la presenza dell’ambasciatore è essenziale.
Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana la definisce «una pessima
trovata, dettata dall’ingenuità o altri motivi che francamente mi
sfuggono». Di certo l’arrivo di Cantini, nominato un anno fa, va contro
la volontà della famiglia Regeni che si batte da febbraio 2016 per
ottenere verità dall’Egitto e impegno serio da parte di Roma.
«La ritengo una proposta totalmente sbagliata e ritengo di
poter dire che questa sia anche l’opinione dei familiari – ci spiega
Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato
– Da un anno, e questa è la mia opinione, ripeto che il ritorno
dell’ambasciatore potrebbe anche essere una scelta opportuna ma la vera
questione è: quali misure altrettanto efficaci, significative e
importanti verranno adottate? Nel corso di un anno nessun altro
provvedimento è stato adottato. Nell’incontro tra il premier e i
familiari il 20 marzo Gentiloni affermò che qualunque decisione a
proposito dell’ambasciatore dovesse essere condivisa dalla famiglia».
Un sassolino, poi un altro, perché la normalizzazione
definitiva dei rapporti con il regime del Cairo si realizzi. Eppure
un’effettiva rottura non c’è stata mai. Al di là del richiamo
dell’allora ambasciatore Massari, l’8 aprile 2016, nessuna delle misure
«immediate e proporzionate» promesse dal ministro degli Esteri
dell’epoca (oggi premier) è stata assunta.
Il business si è intensificato: l’anno scorso l’Italia ha
segnato il record di esportazioni verso l’Egitto: 3,08 miliardi di euro,
contro i 2,9 del 2015 e i 2,7 del 2015. Per non parlare dell’energia,
punta dell’iceberg di rapporti regolarissimi: due giorni fa l’ad di Eni
Descalzi, presentando i risultati del primo trimestre 2017, è tornato
sulla produzione egiziana.
Una miniera d’oro, soprattutto dopo la scoperta del gigante Zohr, giacimento da 850 miliardi di metri cubi di gas. Ieri
lo ha ribadito lo stesso Gentiloni al convegno “Eni con l’Italia”: in
Nord Africa «si sta sviluppando una diplomazia del gas» legata alla
scoperte di Eni.
Regeni è lontano, lontanissimo. Dopo un anno e tre mesi dal
ritrovamento del cadavere in un fosso tra Il Cairo e Alessandria, sono
la Procura di Roma, la famiglia e la società civile ad insistere per
avere verità.
Il presidente egiziano al-Sisi si sente al sicuro con una comunità
internazionale altrettanto normalizzata che tace sulla repressione
strutturale. Eppure questa prosegue senza sosta. Pochi giorni fa
un altro giornalista, Mahmoud Nasr, è stato arrestato per aver
fotografato dei graffiti. Lunedì l’ideologo dei Fratelli Musulmani,
Mohammed Badie, è stato condannato all’ergastolo per «aver
pianificato attacchi violenti». È il risultato del nuovo processo, dopo
la cancellazione del primo (concluso con la condanna a morte) ordinata
dalla Corte costituzionale.
E sulla poltrona del presidente continuano a concentrarsi poteri:
lo stato di emergenza è stato esteso dopo la Domenica delle Palme a
tutto il paese, a seguito degli attacchi dell’Isis contro due chiese
copte (47 morti); e la nuova riforma della magistratura (approvata
durante la visita di papa Francesco, a fine aprile) garantisce ad
al-Sisi la nomina dei vertici di tutte le istituzioni giudiziarie.
Accumula potere ma si dimostra sempre più incapace di gestire un
paese al collasso: ad aprile l’inflazione è salita ancora, 32,9% (44,3%
per cibo e bevande). Il popolo egiziano è ogni giorno più povero e
disperato, nel silenzio del mondo.
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