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11/05/2017

Roma. Per il rogo omicida ipotesi investigative molto discutibili


Per il rogo in cui sono state uccise una ragazza e due bambine rom, la procura indaga per incendio doloso e omicidio volontario, ma da quanto trapela da Piazzale Clodio l'ipotesi con cui si vorrebbe liquidare la pratica è quella di una vendetta tra clan dei nomadi piuttosto che quella dell'odio razziale. Una versione decisamente frettolosa e poco convincente, visto che non è stato ancora identificato l’uomo che ha lanciato la bottiglia molotov contro il camper in cui sono morte una ragazza e due bambine rom.

Il luogo dove è stato bruciato il camper è il parcheggio del centro commerciale Primavera, un posto che all’imbrunire diventa una sorta di terra di nessuno frequentata da pischelli allo sbando e coatti, una terra di nessuno a ridosso delle case delle cooperative (“rosse” e “bianche”) sorte a Casilino 23, per molti anni una sorta di “Pcilandia” in stile emiliano. Lì dietro c’è la scuola elementare “Iqbal Masih”, una struttura storica nella sperimentazione e difesa della scuola pubblica e che è stata all’avanguardia proprio nell’integrazione dei bambini rom.

La fretta con cui è stata diffusa – e acquisita – l’ipotesi investigativa della vendetta tra clan stride con il contesto. I litigi tra famiglie rom a cui fanno riferimento gli inquirenti, sarebbero avvenuti nel campo rom della Barbuta ossia all’altro capo di Roma rispetto a Centocelle. Nel periodo precedente gli Halilovic erano stati anche nel campo rom di via Salviati (a Tor Sapienza, stesso quadrante di Roma, uno dei campi più degradati). La famiglia Hailovic è di origine bosniaca, secondo la polizia avrebbe avuto diverbi con altre famiglie rom di origine serba, insomma uno scenario di scontro etnico che avrebbe riprodotto la guerra civile nella ex Jugoslavia ma nella periferia di Roma.

Le indagini quindi sono state indirizzate quasi immediatamente verso altri rom e quindi nei campi nomadi della Capitale.

La pista dell’attentato ispirato dall’odio razziale è stata dunque esclusa molto, troppo rapidamente. Eppure non è difficile raccogliere elementi “di contesto” diverso (le campagne dei fascisti contro i campi rom, il testosterone dei giovani e giovanissimi coatti del quartiere).

La gente del quartiere riferisce che un altra roulotte, abbandonata in questo caso, era stata incendiata qualche giorno prima in via Balzani, a poche decine di metri dello stesso quartiere dell’incendio di martedì notte. Qualche centinaio di metri più in là c’è il campo rom attrezzato di via dei Gordiani, stretto tra i cantieri della Metro C, una piccola parrocchia e gli impianti sportivi del Cisco e del San Lorenzo. Attraversando la Casilina una volta c’era il degradato e ingovernabile campo Rom di Casilino 600, oggi fortemente ridimensionato e occasionale. Lì adesso c’è un parco – quello di Centocelle – ma destinato a scomparire per essere inghiottito dalle servitù militari destinate a diventare il Pentagono della Difesa italiana. Al momento dietro le fratte, i boschetti e gli sfasciacarrozze si intravedono le strutture del COI, il Comando Operativo Interforze che controlla le comunicazioni militari fino in Afghanistan. Dovrebbero arrivare altri 4mila militari ed è evidente che spazio per parco, campi rom o sfasciacarrozze non ce ne sarà più.

C’è da augurarsi che nei tempi di “Minority Report” ai quali ci stiamo abituando, si riesca a identificare quanto prima l’autore del rogo omicida di cui esistono delle riprese su telecamera. Ma intanto le autorità giudiziarie e di polizia hanno già diffuso – e senza riscontri – una versione che mette a posto la coscienza di molti e depotenzia l’attenzione mediatica sul caso. Un capolavoro di normalizzazione, forse per abituarci alla “normalità” o alla inevitabilità di crimini come questi.

Foto di Patrizia Cortellessa

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