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09/05/2017

“White economy”. Come privatizzare la sanità in dieci mosse

In principio fu l'europasdaran Mario Monti ad abbattere la sua pesante scure sulla sanità pubblica italiana con il " Decreto Cresci Italia" ed il " Decreto Balduzzi": un salasso da 9,4 miliardi di euro ai danni del Fondo sanitario spalmati dal 2012 al 2015, non a caso, avviati contestualmente alla frettolosa approvazione della Legge 1/2012 che ha introdotto in Costituzione il “principio del pareggio di bilancio”.

A decorrere dal 2013 il fabbisogno sanitario nazionale standard è, stato determinato, dunque “in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo del Paese” e “nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria” come recita testualmente il D.Lgs. 68/2011 (capo IV, artt. 25-32) che ha sancito il “federalismo fiscale regionale”.

Sulla scia di quella norma, negli anni 2014 e 2105, arriva un altro pesantissimo taglio di 2,3 miliardi a carico del Fondo Sanitario Nazionale accompagnato dalla criminale eliminazione di 180 prestazioni diagnostiche dalla lista dei servizi sanitari gratuiti. Pochi mesi dopo, con la Legge di Stabilità 2016, il Governo procede ad un ulteriore sanguinoso taglio di altri 2 miliardi del FSN cui vanno aggiunte le possenti riduzioni apportate ai bilanci delle Regioni per circa 19 miliardi di euro, previste per il triennio 2016 -2019, che inevitabilmente impatteranno sulla Sanità dal momento che l'80% di quei bilanci è destinato proprio al servizio sanitario pubblico.

A rendere il quadro ancora più drammatico è il fatto che questa continua deprivazione di risorse destinate al FSN è in assoluta controtendenza rispetto all'invecchiamento della popolazione italiana cui dovrebbe, invece, corrispondere, un adeguato e proporzionato aumento quantitativo e qualitativo del servizi erogati.

L’ultimo taglio annunciato (422 milioni di euro) è frutto dell’intesa raggiunto nel corso della conferenza programmatica del 10 febbraio 2017 tra il Governo Gentiloni e le Regioni a statuto ordinario sulla ripartizione delle sforbiciate previste dalle ultime leggi di Bilancio “...per far fronte al contributo alla finanza pubblica previsto dalla legge di bilancio 2017” e rischia di essere il definitivo colpo alla nuca del sistema sanitario ”...mandando, definitivamente, in soffitta i nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), prima ancora che vengano registrati alla Corte dei Conti e pubblicati in Gazzetta Ufficiale”, ha giustamente avvertito Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato.

Insomma, ogni santo giorno vengono chiusi ospedali (medi e piccoli) e diversi servizi territoriali vengono disattivati senza dare alcuna spiegazione convincente; le liste d’attesa per visite e esami si allungano sempre più; le condizioni di lavoro dei medici e del personale paramedico peggiorano continuamente e l’accesso a servizi di qualità è sempre più costoso a causa del costante aumento dei ticket. La riduzione di personale, poi, è massiccia e costante: solo tra il 2009 al 2015 la sanità pubblica ha perso 40.364 dipendenti.

Insomma, l’attacco alla Sanità pubblica è senza precedenti e ne sta intaccando, ormai, le fondamenta. Il Sistema Sanitario Nazionale viene progressivamente svuotato ed impoverito in modo tale da indurre sempre più cittadini bisognosi di cure ed esami a rivolgersi alla sanità privata, anche a costo di investire i risparmi di una vita. Ma c’è una triste novità: sempre più gente rinuncia a curarsi. Il 50° rapporto del CENSIS sul Welfare ha messo nero su bianco questa dinamica: “le manovre di contenimento hanno portato la spesa sanitaria pubblica italiana su valori decisamente più bassi rispetto agli altri paesi europei producendo effetti socialmente regressivi segnalati dal crescente numero di italiani, 11 milioni circa, che hanno dichiarato nel 2016 di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche.”.

Dove ci sta portando tutto questo? Appare sempre più evidente che l'obiettivo strategico del governo e della Troika è quello di destrutturare il sistema sanitario pubblico e introdurre quello integrativo privato seguendo il modello americano, con al centro le assicurazioni e le strutture private.

Già, un altro rapporto CENSIS – quello del 2014 – con toni molto diversi dall’ultimo, prendeva atto con soddisfazione che la sanità pubblica era stata ormai “frollata”(!) a sufficienza e che quindi era ormai “...maturo il tempo di una nuova integrazione tra pubblico e privato, capace non solo di garantire la tutela sanitaria e sociale delle persone, ma anche di favorire la crescita economica, a partire dai territori” tanto che, nel 2015, il presidente di Unipol, Pierluigi Stefanini, dichiarava fiducioso: “Se sapremo superare i pregiudizi consolidati, il pilastro socio-sanitario, inteso non più solo come un costo, può divenire una solida filiera economico-produttiva da aggiungere alle grandi direttrici politiche per il rilancio della crescita nel nostro Paese”.

Una “solida filiera economico-produttiva” composta da centinaia di cliniche, laboratori di analisi e diagnostica private/i che sono pronte/i a sostituire, quasi in tutto, la rete sanitaria pubblica. In questo disegno alla rete pubblica resterebbero affidate soltanto quelle prestazioni da cui proprio è impossibile estrarre profitti privati: pronti soccorso, malattie gravi e/o invalidanti di persone con redditi troppo bassi.

E’ una piano di galoppante privatizzazione, cui, peraltro, hanno già dato un nome tanto accattivante quanto ingannevole, “White Economy” . Ma non è altro che il modello statunitense “pay to cure you” che ci viene presentato in una versione “italianizzata”, cioè, temperata da una fantomatica “regolamentazione” su cui dovrebbe vigilare l’ennesimo permeabilissimo “organismo indipendente”. Un modello che i suoi interessati fautori annunciano come incentrato sul “coinvolgimento degli Enti Locali” chiamati a stipulare “accordi che definiscano i processi di integrazione pubblico-privato”. E' in questa prospettiva che si inquadrano le proposte di alcuni operatori privati (soprattutto Unipol) di attivare i “fondi sanitari integrativi di tipo territoriale con una forte compartecipazione degli Enti locali”. Sappiamo bene, però, che gli Enti Locali non hanno nessun margine di trattativa proprio in virtù di quel “patto di stabilità” che li rende impotenti e li espone mortalmente alle pressioni dei gruppi di interesse privati. Ma sappiamo, soprattutto, che questi accordi hanno come unica vera finalità lo sfruttamento delle “favolose sinergie” tra gruppi privati, sindacati complici e politici con il fiuto per gli affari.

Di recente tutta questa operazione comincia ad uscire allo scoperto anche attraverso campagne di comunicazione ad hoc che sfruttano, con una buona dose di spudoratezza, proprio l’argomento della riduzione del peso e dell'offerta del SSN e delle difficoltà crescenti dei cittadini di essere curati presso le strutture sanitarie pubbliche. Ecco, dunque, che le compagnie assicuratrici presentano, senza più remora alcuna, la loro preziosissima ciambella di salvataggio: “una moderna organizzazione che garantisca prezzi più bassi e migliori prestazioni utilizzando al meglio le risorse disponibili”. Ma la pubblicità, si sa, quasi sempre mente. Chi già ha avuto a che fare con le delizie della sanità privata sa benissimo che il costo delle prestazioni che offre (visite specialistiche, operazioni chirurgiche, ricoveri, analisi) sono altissimi ed, in alcuni casi, insostenibili per chi non disponga di redditi annui a sei zeri.

Molti di voi, ad esempio, avranno notato uno spot pubblicitario di Reale Mutua Assicurazioni che viene trasmesso, proprio in questi giorni, su LA7 in cui un "consulente dedicato", senza tante perifrasi, ci racconta che (ormai) il servizio sanitario non garantisce più, come un tempo, le cure ai malati e di come, pertanto, occorra farsi, da sani, una bella polizza sanitaria privata. Colpisce, in questo caso, la schiettezza cristallina del messaggio: fai da te (e paga) perché "la festa è finita".

Intanto qualcun altro si è già portato avanti con il lavoro. Ad esempio, a dicembre 2016, i sindacati dei metalmeccanici FIM, FIOM e UILM hanno ottenuto l'inserimento, nella contrattazione integrativa di quella categoria, del fondo di sanità integrativa chiamato "Metasalute" legato (ma guarda un po) al gruppo Unipol. Dopo la soppressione delle pensioni di anzianità magicamente decretata in seguito all'accordo sui fondi previdenziali "chiusi" (CdA misti imprese/sindacati) del 1995 stipulato tra il Governo Dini e CGIL, CISL e UIL, siamo, ora all’assalto finale della speculazione finanziaria (cui viene offerta, ancora una volta, una provvidenziale sponda “sindacale”) ad un altro diritto che dovrebbe essere inalienabile ed universale e che secondo la nostra Costituzione è diritto fondamentale dell'individuo (art. 32): il diritto alla salute.

Prepariamoci, dunque ad assistere, anche in Italia, a scene come quelle che abbiamo visto in “Sicko“, il film- documentario del 2006, diretto da Michael Moore, in cui persone prive di copertura sanitaria sono costrette a lavorare ben oltre l'età pensionabile o a rinunciare a cure talvolta vitali abbandonate letteralmente sul bordo di una strada da taxi appositamente ingaggiati dagli ospedali. Oppure a persone che nonostante abbiano stipulato costose polizze sanitarie con le più importanti compagnie assicurative, si vedono negare il rimborso delle cure anche in presenza di diagnosi di malattie molto gravi in ragione di oscure ed imperscrutabili clausole. Insomma, prepariamoci a vedere rimpiazzato uno dei migliori sistemi sanitari del mondo con un sistema inumano basato unicamente sul primato del profitto delle compagnie assicuratrici. Si, perché proprio in quello straordinario film-documento, comparandolo con modelli sanitari nazionali diversi, Michael Moore descrisse il servizio sanitario italiano come uno dei migliori al mondo. Ma era più di dieci anni fa, cioè, qualche anno prima che iniziasse il massacro appena descritto.

In concomitanza con la “Giornata mondiale della Salute” indetta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 7 aprile scorso, diverse realtà associative, sindacali e politiche a livello europeo hanno indetto una mobilitazione per denunciare la commercializzazione della salute e l’ ttacco ai sistemi sanitari e di protezione sociale pubblici in tutto il continente europeo, contro il definanziamento e la loro progressiva privatizzazione.

Forse, per fermare questo attacco così violento a ciò che resta del nostro Servizio Sanitario dovremmo al più presto far si che ogni giorno diventi una giornata nazionale di lotta in difesa della Sanità Pubblica, prima che venga affossata definitivamente.

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