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01/06/2017

Camp Darby. Manovre in corso per potenziare la base militare Usa

Dopo anni di apparente ridimensionamento, con i lavoratori italiani impiegati nella base a difendere i propri posti di lavoro e continue notizie di riduzione di spazi e ruolo, di cui l’abbandono del bagno privato a Tirrenia sembrava un segnale certo, la base USA di camp Darby trova in questi giorni una nuova e “improvvisa” notorietà. Da dicembre 2017 dovrebbero iniziare i lavori per il consolidamento di tutto il sistema di trasporto interno/esterno alla base.

Notizia che non ci sorprende, perché si inserisce tra quelle di più ampio richiamo di una congiuntura internazionale caratterizzata da uno scontro tra potenze che manda definitivamente in soffitta il rassicurante termine “globalizzazione”, sostituito da una sempre più dura “competizione globale” tra grandi poli imperialisti e potenze capitalistiche “emergenti”, alimentata dalla crisi sistemica conclamata nel 2008 con il crack dei “subprime”, che ad oggi non trova soluzione, ma anzi si approfondisce, scuotendo dalle fondamenta tutte le “camere di compensazione” dell’era precedente: WTO, FMI, NATO, e ora anche il G7.

La notizia del rilancio della base militare di Camp Darby va inserita in un quadro internazionale di escalation delle tensioni su vari scenari: dal Medio Oriente alla Corea, dall’Ucraina all’America Latina.

Nel quadrante geopolitico di nostro interesse la base di Camp Darby ha sempre rivestito un ruolo fondamentale, essendo uno dei più grandi centri logistici dell’esercito statunitense nel mondo.

Da dove potranno arrivare le armi vendute ai paesi del Golfo persico se non da camp Darby?

Come può l’attuale amministrazione USA rompere l’unità interna all’Unione Europea – obiettivo platealmente rivendicato da Trump stesso al G7 di Taormina – se non mettendo con le spalle al muro i paesi più deboli della coalizione come l’Italia?

Donald Trump, appena eletto Presidente degli USA, rappresenta plasticamente il tentativo del complesso militare – industriale statunitense di riprendersi la perduta egemonia internazionale attraverso l’unico strumento che resta in mano ad un imperialismo in declino: la forza.

Nel suo recentissimo tour all’estero, Trump prima è accorso al capezzale dei finanziatori diretti dell’Isis, Arabia Saudita e paesi del Golfo, sconfitti su tutti i fronti di guerra, dalla Siria allo Yemen, firmando accordi per la consegna di armi per miliardi di dollari.

In seguito si è spostato in Israele per incontrare Netanyahu, garantendo anche in questo caso assoluta protezione alla banda di criminali che guida quel paese, pronti a scatenare nuove guerre di aggressione contro i palestinesi, il Libano, l’Iran e quel che rimane della Siria.

Infine a Taormina, dove ha definitivamente chiarito la volontà di questa amministrazione a stelle e strisce di contrapporsi frontalmente ai paesi alla guida del costituendo polo imperialista europeo, in primis contro la Germania di Angela Merkel.

In questa guerra tra ex alleati, la NATO e le basi USA sono usate da Trump come formidabili strumenti di pressione interna, con il dichiarato obiettivo di disgregare un polo imperialista in costruzione, l’Unione Europea, impegnata da anni nella costruzione di un proprio esercito, come dimostra la recente decisione di sganciare le spese militari dal feroce “patto di stabilità”, che impedisce agli Stati che compongono l’alleanza spese sociali di ogni tipo, salvataggi di aziende pubbliche in crisi, protezione delle popolazioni colpite da calamità naturali. Per l’esercito europeo ogni spesa sarà garantita, erodendo ancora di più le risorse per il welfare.

In questa fase internazionale caratterizzata da un rinnovato scontro interimperialistico, diviene urgente ricostruire un movimento contro la guerra che si doti di strumenti di analisi delle forze e degli interessi materiali in campo, al fine di costruire una posizione indipendente e di classe, combattendo le posizioni di chi contrappone all’amministrazione Trump una presunta “democraticità” delle istituzioni europee, responsabili tanto quanto gli USA della situazione di guerra che caratterizza questa fase storica. Allo stesso tempo dovremo combattere posizioni “frontiste”, che vedono nella Russia di Putin un argine militare e politico all’arroganza USA/NATO, aprendo così la strada ad alleanze trasversali con forze della cosiddetta galassia “rosso-bruna” e fascista, sotto l’egida di un antiamericanismo che espunge dall’analisi dei soggetti in campo la loro natura di classe.

Gli alleati e i promotori di un rinnovato movimento contro la guerra andranno cercati nel mondo del lavoro, tra i giovani, i migranti, in generale tra coloro che subiscono le conseguenze materiali delle politiche di guerra, da noi come nei paesi aggrediti dal militarismo e dal neo colonialismo, unendo alla dimensione etica del pacifismo la denuncia delle cause profonde delle nuove tensioni internazionali, fisiologicamente legate allo sviluppo irrazionale del capitalismo, che si rigenera attraverso l’infernale meccanismo del “distruggere per ricostruire”, come già avvenuto più volte nella storia recente.

La battaglia contro il nuovo ampliamento della base di camp Darby, di cui dobbiamo chiedere la chiusura e la riconversione a scopi esclusivamente civili, la potremo vincere solo se sapremo unire i contenuti generali del NO alla guerra con gli interessi materiali della maggioranza della popolazione.

Lo scarto enorme tra spese militari e sociali, la denuncia del terrorismo che insanguina le metropoli occidentali come prodotto diretto delle politiche di aggressione economica e militare dell’Unione Europea e dei vari protagonisti dell’attuale competizione globale contro i popoli del sud del mondo, la denuncia del governo centrale e delle Amministrazioni locali a guida PD, che agevolano la militarizzazione dei nostri territori, distogliendo risorse da opere sociali che darebbero risposta ai bisogni di casa, servizi, lavoro e reddito di fasce sempre più ampie di popolazione colpite dalla crisi.

Questi e molti altri dovranno essere i contenuti che incarnano la lotta contro la guerra sui nostri territori.

Su questi contenuti e obiettivi il 2 giugno saremo di fronte alla base di Camp Darby per dire NO alla guerra, NO alla NATO, NO all’Unione Europea e ai governi nazionali e locali che veicolano l’uso di guerra dei nostri territori.

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