Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

16/06/2017

Ius soli. Furbata Pd, gazzarra fascioleghista, boiata pazzesca M5S

La fogna parlamentare si è arricchita di una “virtuosa” competizione tra razzisti. Una parte all’esterno – con la gazzarra di autopromozione dei nazifascisti di CasaNuova e Forza Nuova (quanto devono aver insistito per essere caricati dalla polizia, contrariamente al solito?) – e un’altra in doppiopetto, all’interno, con leghisti ululanti contro “negri” e “terroni”.

In ballo una legge che definisca finalmente le modalità con cui un minore straniero può ottenere la cittadinanza italiana; un misto di ius soli (chi nasce qui da genitori stranieri residenti acquista automaticamente la cittadinanza italiana, e lo stesso accade per i minori che abbiano frequentato le scuole per almeno cinque anni). Un “buco” legislativo d’altri tempi, diventato occasione di esibizione ideologico-razzista che ha facilmente nobilitato persino l’indecorosa compagine di governo attuale.

Diciamolo tranquillamente. Si tratta di un testo monco, debole, reticente, criticabile quanto quello che fa finta di istituire il reato di tortura.

Contro questa miseria, scritta e messa ai voti solo per evitare qualche altra reprimenda dell’Unione Europea, si è vista per la prima volta una semi-alleanza tra Lega e grillini. Successiva, secondo Repubblica (certamente il giornale più anti-grillino e pro-Pd), ad un incontro segreto tra Davide Casaleggio e Matteo Salvini. I leghisti, capitanati da Calderoli e Centinaio, hanno semi-assaltato i banchi del governo, mentre i più legalitari seguaci del comico genovese si sono limitati all’astensione.

L’insieme è ridicolo, ma la mentalità che c’è dietro è meschina e preoccupante. Non perché i leghisti, o tantomeno i grillini, siano “pericolosi”, ma per lo sdoganamento furbesco di luoghi comuni razzisti e idioti che – per esempio nei fascisti fuori – possono trovare manipolatori ben più inquietanti.

Una regolamentazione “accogliente” della cittadinanza, dopo trent’anni di flussi migratori, è semplicemente la normalità necessaria. Oltre l’8% della popolazione qui residente è nata altrove; molto spesso in paesi verso cui non può o non vuole tornare. Dunque i minori nati o cresciuti qui devono ottenere un riconoscimento formale e godere di tutti i diritti dei “nativi” come noi (non tanti diritti, ormai, ma questo dipende dai governi, non certo degli immigrati).

La situazione attuale è primitiva, anche se risale a soli 25 anni fa. Di fatto prevede un’unica modalità di acquisizione della cittadinanza fondata sul cosiddetto ius sanguinis: un minore è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.

Evidente che questa normativa aveva un senso quando gli immigrati si contavano sulle dita di una mano, non costituivano comunità o gruppi consistenti, e dunque i bambini che nascevano qui erano quasi soltanto frutto di “matrimoni misti”. Con i numeri attuali, quella normativa non serve a nulla.

Sul piano politico, è certo che il Pd ha deciso di portare al voto una proposta di legge solo per occhieggiare alle scarse truppe alla sua sinistra, o per ricostruirsi un’immagine meno becera in vista delle elezioni. Lo ha capito anche Grillo, che sul suo blog scrive “Discutere di Ius Soli oggi avrà come unica conseguenza che il dibattito pubblico, su un tema così delicato, sarà deviato ed inquinato da becere derive propagandistiche, sia di destra che di sinistra, sventolato come un vessillo per radunare le proprie truppe e accusare gli avversari”.

Addirittura condivisibile la previsione per cui “Da una parte si agiterà la minaccia della sostituzione etnica o del terrorismo, dall’altra saranno usati i volti dei bambini ed i morti in mare per generare le emozioni più forti. Nel mezzo, schiacciati tra incudine e martello, rimangono il buon senso, la responsabilità, l’onestà intellettuale”. Ma proprio per questo è stato da cretini mettersi stupidamente dalla parte – oggettivamente, con dichiarazioni sempre più campate per aria – di chi paventa la “sostituzione etnica”.

Facciamo l’esempio della giunta comunale romana, che ha scritto la nota lettera al Prefetto in cui chiede non siano mandati altri migranti nella Capitale, secondo il piano di ripartizione deciso a livello nazionale. Il deputato grillino Giuseppe Brescia, incaricato di seguire proprio le vicende dei migranti a livello nazionale, peraltro ben schierato in molte occasioni similari (anche in contrasto con la resistibile ascesa di Luigi Di Maio) è arrivato a giustificare la mossa di Virginia Raggi sostenendo “Ho parlato spesso con l’assessora Laura Baldassarre, a Roma c’è una seria emergenza abitativa”.

Questo giornale scrive sull’emergenza abitativa romana da quando esiste, e forse è in grado addirittura di dare qualche indicazione sul “che fare” in proposito. Le case popolari sono ormai pochissime; quelle poche, non vengono assegnate o lo sono con tempi biblici. Ma la giunta Raggi ha assunto la situazione esistente come immodificabile e, su questo punto, non fa assolutamente nulla per incrementare il patrimonio pubblico. Anzi, fa sgomberare spazi occupati, aggravando l’emergenza. Potrebbe almeno trarre ispirazioni da riformisti d’altri tempi, come Petroselli e Nicolini, e requisire palazzine private inutilizzate, costruite solo per fini speculativi, tenute lì solo come “garanzia” di prestiti bancari che altrimenti andrebbero catalogati tra le “sofferenze”.

E’ insomma chiaro che – tanto a livello locale che sul piano nazionale – la risoluzione dei problemi sociali (per i “nativi” come per i “nuovi giunti”) è possibile solo se si pretende di cambiare radicalmente la situazione esistente, senza troppi riguardi per la cosiddetta “legalità” costituita da governi e parlamenti di nominati. Se invece la si accetta come un limite “dato”, “naturale”, diventa inevitabile comportarsi concretamente come il governo in carica o, peggio ancora, come i fascioleghisti da strapazzo.

Per chi volesse un quadro sintetico, ma preciso, della legislazione sulla cittadinanza negli altri paesi europei, ecco qui uno schema tratto da ActionAid.

Legislazione nei paesi dell’Unione Europea (a 15)

Austria

Si basa sul principio dello ius sanguinis e non prevede la doppia cittadinanza, per cui l’acquisizione della cittadinanza austriaca prevede la rinuncia alla cittadinanza precedente. La naturalizzazione richiede 10 anni di residenza, perché viene considerata come il riconoscimento di un’integrazione riuscita.

Alcuni elementi di ius soli sono stati introdotti nel 1998 e rafforzati nel 2006. Rimane comunque difficile ottenere la cittadinanza per chi è nato sul territorio da genitori stranieri.

In Austria l’attuazione della legge sulla cittadinanza è demandata ai governi provinciali e questa situazione, soprattutto nelle procedure caratterizzate da margini di discrezionalità, ha portato a pratiche sempre più divergenti. Per queste ragioni le ultime riforme si sono focalizzate sul rendere più uniformi le diverse disposizioni di legge, armonizzando i test

di conoscenza della lingua e introducendo un test di cittadinanza.

Belgio

Il Belgio ha adottato una forma intermedia tra ius soli e ius domicilii.

La legge mira a consentire un ampio accesso alla cittadinanza per facilitare

l’integrazione degli stranieri nella società. Per quanto riguarda la procedura di naturalizzazione è possibile diventare cittadino belga dopo un periodo di 3 anni di residenza che sale a 7 se la naturalizzazione avviene per dichiarazione.

La legge più importante in materia è quella del 2000 che ha rafforzato lo ius soli (già introdotto nel 1991), ridotto i requisiti di residenza e gli altri necessari alla naturalizzazione o permesso a coloro che presentassero domanda di mantenere una precedente nazionalità. In base ad essa la seconda generazione che nasce in Belgio acquista automaticamente la cittadinanza belga a condizione che i genitori abbiano risieduto nel territorio almeno 5 dei 10 anni precedenti alla nascita del figlio. La cittadinanza è automatica a 18 anni se si è nati nel Paese o entro i 12 anni (quindi sino a 30 anni) se i genitori stranieri vi hanno risieduto per dieci anni.

È in vigore anche il doppio ius soli, ossia la cittadinanza belga viene assegnata automaticamente alla nascita al figlio di stranieri già nati in Belgio.

Danimarca

In Danimarca vige sostanzialmente lo ius sanguinis.

A differenza di molti altri paesi europei, la Danimarca non ha seguito le tendenze europee finalizzate ad un più facile ottenimento della cittadinanza, anzi le ultime riforme (2002 – 2005 – 2008) hanno inasprito le condizioni per l’ottenimento della cittadinanza. L’anzianità di residenza per il procedimento di naturalizzazione è di 9 anni e il soggetto deve superare diversi esami, dimostrando di conoscere la storia, la struttura sociale e politica del paese e di possedere una padronanza linguistica pari a quella della nona classe della scuola dell’obbligo.

Lo ius soli è stato abolito nel 2004. È uno degli stati che non ammette la doppia cittadinanza, richiede cioè di rinunciare alla cittadinanza del paese di origine per poter diventare cittadini danesi.

Finlandia

Come in altri paesi la legislazione sulla cittadinanza si rifà sia allo ius sanguinis e allo ius soli per quanto riguarda i bambini nati in Finlandia che non possono ottenere la cittadinanza di nessun altro paese.

L’ultima riforma sulla cittadinanza è del 2011 e modifica gli anni di residenza richiesta per la naturalizzazione: sono richiesti 5 anni di residenza continua possono scendere a 4 anni il richiedente soddisfa i requisiti di conoscenza linguistica; l’obiettivo di questa disposizione è quello di incoraggiare lo studio della lingua, considerata come un fattore di vitale importanza per l’integrazione degli immigrati.

Dal 2003 è ammessa la doppia cittadinanza.

Francia

È uno degli Stati membri con provvedimenti di ius soli maggiormente inclusivi.

Già nel 1889 fu introdotto il doppio ius soli, in base a cui i figli di stranieri già nati in Francia acquisivano la cittadinanza francese.

La riforma del 1998 rafforza lo ius soli: ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se, a quella data, ha la propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, c continuo o discontinuo, di almeno 5 anni, dall’età di 11 anni in poi.

Il processo di naturalizzazione richiede 5 anni di residenza in Francia dimostrando una conoscenza sufficiente della lingua e della Costituzione francese.

Il principio dello ius soli si combina quindi con i l principio dello ius domicilii.

Germania

La riforma del 2000 ha introdotto lo ius soli e ha rappresentato una svolta epocale per la Germania. Da allora i figli degli stranieri acquisiscono la cittadinanza tedesca alla nascita purché uno dei genitori risieda stabilmente nel paese da almeno 8 anni e sia in possesso di regolare autorizzazione al soggiorno o di permesso di soggiorno illimitato da almeno 3 anni.

La procedura di naturalizzazione richiede 8 anni di residenza legale, questo periodo può scendere però a 7 anni se il soggetto ha frequentato un corso di integrazione. Il provvedimento richiede inoltre una serie di requisiti come l’essere in possesso di un’autorizzazione di soggiorno di durata illimitata, essere in grado di provvedere al proprio sostentamento e a quello del nucleo famigliare, rispettare i principi della Costituzione e l’ordinamento costituzionale e democratico della Germania, rinunciare alla cittadinanza di origine (fatta eccezione per i casi in cui è ammessa la doppia cittadinanza), conoscere la lingua tedesca a livello B1 secondo lo standard europeo, non aver riportato condanne penali se non di lieve entità, conoscere l’ordinamento giuridico e la struttura sociale della Germania.

In presenza dei requisiti richiesti la procedura di naturalizzazione è un diritto acquisito (cioè non è discrezionale come in altri Stati).

Nel 2005 sono stati introdotti alcuni provvedimenti più restrittivi (in merito soprattutto al mantenimento della doppia cittadinanza). Nel 2008 sono stati introdotti esami per la cittadinanza e il test di lingua è stato disciplinato in modo rigoroso, introducendo un catalogo di domande consultabile per le persone che aspirano alla cittadinanza, in modo da potersi preparare al test.

Non sono obbligati a sostenere il test i minorenni di età inferiore ai 16 anni e coloro che hanno conseguito un diploma rilasciato dalla scuola dell’obbligo, da un istituto tecnico o professionale.

Grecia

La Grecia ha adottato sia il criterio dello ius sanguinis sia quello dello ius soli, rafforzato con la legge del 2010 ma ancora limitato nei suoi campi di applicazione.

Per quanto riguarda la naturalizzazione il periodo di residenza richiesto agli immigrati è sceso da 10 a 7 anni consecutivi e contempla una serie di requisiti tra cui un permesso di soggiorno di lungo periodo, la conoscenza della lingua greca e una buona integrazione nella vita sociale ed economica del paese (che può essere testimoniata ad esempio dall’attività professionale, dalla partecipazione ad associazioni sociali o ad attività caritatevoli, ecc).

Per quanto riguarda i minori la legge prevede diversi percorsi finalizzati all’inclusione dei giovani che si sentono cittadini greci: i figli degli immigrati nati in Grecia possono acquisire la cittadinanza se i genitori sono regolarmente presenti da almeno 5 anni (la domanda deve essere presentata entro 3 anni dalla nascita del bambino). Per i minori che, invece, non sono nati in Grecia, la legge richiede di aver frequentato con successo almeno 6 anni nella scuola ellenica.

Infine vige il criterio del doppio ius soli, la cittadinanza greca viene assegnata automaticamente alla nascita al figlio di stranierigià nati e in Grecia e qui residenti.

Irlanda

È uno degli Stati membri con provvedimenti di ius soli maggiormente inclusivi.

Sino al 2004 è stato uno dei pochi Stati in cui era in vigore lo ius soli puro, in base a cui chiunque fosse nato in Irlanda ne otteneva la cittadinanza senza ulteriori condizioni. I flussi migratori sempre più consistenti hanno portato ad una modificazione in senso lievemente restrittivo della legge e attualmente la cittadinanza viene acquisita per nascita se almeno uno dei genitori stranieri ha un permesso di residenza permanente o risiede in Irlanda da 3 anni.

La naturalizzazione richiede invece un periodo più lungo di residenza sul territorio: nello specifico occorrono 365 giorni di residenza continua prima della domanda di naturalizzazione e, durante gli 8 anni precedenti, occorrono 4 anni di residenza (complessivamente quindi 5 anni di residenza).

Lussemburgo

La legge sulla cittadinanza ha fatto sempre riferimento allo ius sanguinis. Lo ius soli è stato introdotto per la prima volta nel 2008, anche se alcune riforme liberali sono state varate già nel 2001.

La riforma del 2008 ha rappresentato una svolta profonda per un paese dove il 40% della popolazione ha una cittadinanza straniera, trasformando la legislazione in senso liberale. È stato introdotto il doppio ius soli, per cui un bambino che nasce in Lussemburgo da genitori (almeno uno dei due) a loro volta nati nel paese, acquisisce la cittadinanza lussemburghese. Viene poi ammessa la doppia cittadinanza (mentre prima chi diventava cittadino lussemburghese doveva rinunciare alla cittadinanza del paese di origine).

Fanno da contraltare a questi elementi alcuni provvedimenti che introducono criteri più restrittivi. Per quanto riguarda la naturalizzazione, ad esempio viene richiesta una residenza continuativa di 7 anni, al posto dei 5 anni richiesti precedentemente. Vengono poi introdotti corsi di educazione civica sulle istituzioni dello Stato e test per accertare la conoscenza linguistica: il livello richiesto è B1 per la comprensione e A2 per l’espressione. Sono esentati dal test coloro che hanno frequentato 7 anni di scuola in Lussemburgo.

Paesi Bassi

L’Olanda è un paese particolarmente interessante per la svolta restrittiva che ha caratterizzato la legislazione sulla cittadinanza negli ultimi anni.

Dagli anni ’50 la storia è caratterizzata da una serie di riforme liberali che hanno cercato di facilitare l’accesso alla cittadinanza, vista come un mezzo per aumentare la partecipazione degli immigrati alla società. Nel 1953 venne introdotto il doppio ius soli per la terza generazione (il nipote di stranieri residenti acquisisce automativamente la cittadinanza alla nascita), negli anni ’80 ci sono molte iniziative per migliorare la posizione giuridica degli immigrati, la legge del 1984 semplifica la procedura per la naturalizzazione inserendo tra i requisiti una residenza continuativa di 5 anni. Lo ius soli vale anche per la seconda generazione che può accedere alla cittadinanza olandese ma secondo un principio opzionale, può cioè farne richiesta mediante la presentazione di una domanda.

La legge del 2003 modifica lievemente l’accesso su richiesta della seconda generazione, comprendendo non solo i soggetti nati in Olanda ma anche quelli che vi risiedono dall’età di 4 anni. La procedura non è discrezionale, si configura piuttosto come un diritto del richiedente. Diversa la situazione per coloro che si vogliono naturalizzare, in questo caso ogni vaso viene valutato singolarmente.

In generale però la politica dal 2000 cambia completamente rotta e la cittadinanza inizia ad essere vista come il coronamento di un percorso di integrazione piuttosto che come il presupposto per tale percorso. In termini pratici diventare cittadini olandesi è diventato più difficile. Occorre superare un test in cui dimostrare non solo la conoscenza della lingua (livello A2 del quadro comunitario europeo), ma anche la conoscenza della società olandese tramite 40 domande in materia di politica, questioni finanziarie, occupazione, assistenza sanitaria, trasporti, ecc.

Portogallo

Il Portogallo adotta una formula intermedia tra ius sanguinis e ius soli, ma quest’ultimo è stato rafforzato con la riforma del 2006. Attualmente il Portogallo si configura come uno degli Stati membri con provvedimenti di ius soli maggiormente inclusivi.

Storicamente il Portogallo ha sempre utilizzato dei sistemi misti, però è interessante notare che mentre nella legge del 1981 (in vigore prima della riforma del 2006) prevaleva lo ius sanguinis, nelle legislazioni precedenti prevaleva lo ius soli.

Attualmente lo ius soli si applica automaticamente solo alla terza generazione di immigrati; la seconda generazione può accedere alla cittadinanza sin dalla nascita per acquisizione volontaria (quindi sulla base di una richiesta) e in presenza di alcuni requisiti come la residenza dei genitori in Portogallo da almeno 5 anni o l’aver completato il primo ciclo di istruzione obbligatoria.

La naturalizzazione richiede alcuni requisiti, tra cui un periodo di residenza di 6 anni, non aver riportato condanne e una conoscenza sufficiente della lingua portoghese. L’elemento innovatore della riforma è l’introduzione della naturalizzazione come diritto acquisito se in possesso dei requisiti richiesti, mentre prima la procedura era discrezionale. La legge precedente richiedeva sufficienti mezzi di sussistenza, con la riforma questo requisito è stato eliminato perché la Costituzione portoghese vieta la discriminazione basata su motivi economici.

È prevista la doppia cittadinanza.

Regno Unito

La legislazione relativa alla cittadinanza è piuttosto complessa, in ragione della storia del paese e del suo passato di potenza imperiale e coloniale, basti pensare al sistema del Commonwealth: la legge del 1948 stabiliva ad esempio che erano britannici tutti i cittadini del Regno Unito, delle Colonie o dei Paesi Commonwealth (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Terranova India, Pakistan, la Rodesia del Sud, ora Zambia, Zimbabwe e Malawi), tuttavia non vi è un sistema unico relativo alla cittadinanza e il processo di indipendenza di alcuni paesi ha introdotto ulteriori elementi di complicazione. La principale legge sulla cittadinanza del 1981, nata per semplificare la situazione, di fatto non è riuscita più di tanto nell’intento e tuttora esistono 6 diverse forme di cittadinanza.

La legge del 1981 ha introdotto lo ius sanguinis come riferimento giuridico prevalente, anche se non mancano elementi di ius soli. Vediamo le principali modalità di acquisizione della cittadinanza britannica (la principale tra le sei forme di cittadinanza).

Il percorso di naturalizzazione prevede alcuni requisiti tra cui: il possesso di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, la residenza per 5 anni senza essersi allontanati per più di 450 giorni e non più di 90 giorni nei 12 mesi precedenti al momento della presentazione della domanda, mantenere una buona condotta di vita intesa come l’assenza di procedimenti civili penali ma anche l’avere una situazione contributiva regolare, la conoscenza della lingua inglese, gallese o scozzese (livello B1 del quadro europeo), la conoscenza degli usi e dei costumi del Regno Unito (dal 2002 è previsto un test sulla storia e la società britannica). Norme specifiche riguardano i cittadini del Commonwealth.

È previsto un percorso facilitato di acquisizione della cittadinanza per i figli di stranieri nati nel Regno Unito: in questo caso si richiede ai genitori di essere titolari di un permesso di soggiorno permanente o di essere residenti da 10 anni. Inoltre dal 1981 è previsto il doppio ius soli.

Spagna

Il diritto per l’acquisizione della cittadinanza si basa sia sullo ius sanguinis sia sullo ius soli (ancora debolmente inclusivo).

È previsto il doppio ius soli (introdotto nel 1990) per cui accede automaticamente alla cittadinanza colui che nasce in Spagna se almeno uno dei due genitori è a sua volta nato nel paese. L’acquisizione della cittadinanza per la seconda generazione è piuttosto semplice: se il soggetto nasce in Spagna e i genitori sono nati all’estero è sufficiente un anno di residenza nel paese.

La procedura di naturalizzazione per tutti gli altri soggetti comporta la residenza per un periodo di 10 anni e la rinuncia alla cittadinanza precedente. In presenza dei requisiti la persona vanta un diritto di naturalizzazione, anche se il Governo può negare cittadinanza per ragioni di sicurezza pubblica. Il tempo di residenza in Spagna si riduce per alcune categorie: 5 anni per i rifugiati, 2 anni per i cittadini dell’America Latina e le persone originarie di Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale, Portogallo.

Per questi paesi che con legami storici con la Spagna è previsto il mantenimento della doppia cittadinanza, mentre per tutti gli altri l’accesso alla cittadinanza spagnola prevede la rinuncia alla cittadinanza precedente.

Svezia

La legislazione si basa prevalentemente sullo ius sanguinis, anche se qualche elemento di ius soli è stato introdotto con la riforma del 2001 in ragione del fatto che l’immigrazione è diventata una realtà sempre più presente nel paese e occorreva adattare la legge ai nuovi mutamenti sociali.

La riforma entrata in vigore nel 2006 prevede condizioni abbastanza favorevoli per i minori: possono acquisire la cittadinanza svedese i minori che hanno vissuto per 5 anni in Svezia, in questo caso basta che i genitori notifichino alle autorità la volontà che i figli diventino cittadini svedesi. I giovani di età compresa tra i 18 e i 20 anni possono scegliere di diventare cittadini tedeschi se hanno un permesso di soggiorno permanente e hanno vissuto in Svezia dall’età di 13 anni (l’obiettivo è quello di dare i giovani adulti la possibilità di scegliere se vogliono diventare cittadini svedesi al raggiungimento della maggiore età).

L’ultima strada è la procedura di naturalizzazione per i maggiorenni che possono richiedere la cittadinanza se in possesso dei seguenti requisiti: 5 anni di residenza, permesso di soggiorno permanente, condurre una vita decorosa. Il tempo di permanenza è minore per i cittadini danesi, finlandesi, islandesi e norvegesi (2 anni) e per i rifugiati (4 anni). La cittadinanza viene concessa a chi possiede questi requisiti, tuttavia la procedura è discrezionale e dal 2006 si è registrato un aumento delle istanze negate. In ogni caso la riforma è stata un segnale di forte apertura liberale nei confronti della popolazione immigrata.

Dalla legge del 2001 è accetta la doppia cittadinanza.

Non viene richiesta una prova per la conoscenza della lingua perché si assume che l’aspirante cittadino residente in Svezia da alcuni anni abbia una conoscenza sufficiente dello svedese.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento