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06/06/2017

Petromonarchie, le accuse fra sodali del jihadismo

I sovrani dei petrodollari hanno da tempo sostituito invidie e rivalità con scontri diplomatici e addirittura conflitti. Dietro l’angolo ci sono sempre interessi economici, pur ammantati da orientamenti religiosi e politici. L’attuale contrasto guidato dai sauditi, e volto a isolare il Qatar ponendogli un cordone sanitario allargato a pesi massimi del mondo arabo come l’Egitto, prende spunto da una sua presunta prossimità col terrorismo, un’accusa che rimanda al mittente perlomeno una chiamata di correo.

Riyad e Doha erano ai ferri corti dall’avvio delle primavere arabe che avevano tracciato un solco incolmabile fra i due Paesi. Il regno qatarino voleva cavalcarle anche mediaticamente con l’emittente Al Jazeera, fenomeno di professionalità comunicativa non proprio mainstream, certamente tacciata di partigianerie e orientamento per tesi. La monarchia saudita, conservatrice e coercitrice verso ogni cenno di protesta (come fece sin dal marzo 2011 in Bahrain) considera le piazze mediorientali pericolosissime. Da quegli eventi le cronache sono corse veloci e incessanti, passando soprattutto per la guerra civile siriana, la creazione di un nuovo soggetto jihadista chiamato Isis che affiancava e soppiantava Qaeda, proponendosi e realizzando il proprio Stato Islamico. Imponeva questo disegno in nazioni in disgregazione (Siria e Iraq), con una forza e una capacità organizzativa impressionante e al tempo sospetta, di fronte a potenze globali osservatrici imbambolate (e complici?). Continua a diffondere un sanguinario terrore in un Occidente e un Oriente sconvolti da attentati diffusi con ogni mezzo.

Ma chi finanzia Daesh? Secondo le accuse di Riyad proprio la dinastia Al-Thani. Però tutto ruota attorno a voci senza riscontri certi che, purtroppo, mancano anche per altri sostenitori e donatori provenienti dal Golfo, dall’Anatolia, da nazioni asiatiche ed è possibile sospettare dalle casse di certe intelligence che fanno uso e abuso delle pratiche terroristiche per strategie di controllo, com’è accaduto in varie epoche. Certo, il Califfato segue un percorso autonomo sia politico, sia finanziario con propri canali d’approvvigionamento (commerci, traffici, furti), ma in quest’orizzonte le strategie e il doppiogiochismo si compenetrano da parte di tutti.

Allora la campagna contro Doha, uno staterello potentissimo e con manìe di grandezza nell’esibire e compenetrare i simboli occidentali dai mega grattacieli creati su un territorio circoscritto (11.000 kmq per 2 milioni e mezzo di abitanti) ai Mondiali del pallone, senza sottovalutare la meticolosa rete d’influenze e contatti che i suoi emiri hanno creato, ha lo scopo di colpire alcuni piani geopolitici del Qatar e dei suoi interlocutori. Il pretesto è fornito da recenti dichiarazioni, effettivamente esplicite e avventatissime che Al-Thani ha pronunciato a favore delle milizie Hezbollah. Di mezzo c’è il mistero di una smentita poiché quelle dichiarazioni sarebbero frutto di un hackeraggio. Ma come, i principi della comunicazione, col fior fiore del professionismo di Al Jazeera, si fanno taroccare le comunicazioni? Può accadere, è successo anche alle intelligence…

Comunque veri o falsi quei concetti rappresentano il pretesto con cui il gruppo coeso della conservazione araba, dopo aver ricevuto il benestare del presidente statunitense, cerca di colpire un soggetto troppo autonomo e intraprendente. La rosa del sostegno al terrorismo rinfacciato al Qatar aggiunge a elementi apertamente jihadisti (l’ex Al Nusra, ora Al Jafash), anche Hezbollah libanese e Hamas palestinese.

E la componente dell’Islam politico più antica e blasonata, la Fratellanza Musulmana, detestata da Salman e dall’astro nascente saudita Mohammed Bin, ma soprattutto odiata e combattuta al Cairo, dov’era più forte e dove è stata messa fuorilegge, imprigionata e torturata dal generale Sisi. E’ vero che tuttora politologi occidentali e arabi considerano l’essenza della Confraternita ispirata più da quel sovversivismo di Qubt in odore di jihad, che dal pensiero originario di al-Banna o dai compromessi che hanno caratterizzato il reinserimento del suo ceto politico dell’ultimo ventennio.

Ma proprio la cancellazione di qualsivoglia essenza politica islamica ha ampliato gli spazi per quel jihadismo che in situazioni complesse (Afghanistan e Pakistan) o di feroce repressione (Egitto) si presenta agli occhi di certa popolazione come l’unica alternativa a un sistema basato su governi-fantoccio, truppe d’occupazione, giunte militari pur celate dietro istituzioni fantasma. Nello scontro per l’egemonia mediorientale i sovrani dei petrodollari non tralasciano colpi bassi, la ricerca del capro espiatorio qatarino serve ai Saud per sviare da se stessi quei sospetti che addossano al clan Al-Thani, sospetti comuni perché comune è la strategia del terrore diffuso predicato dal salafismo wahhabita che ciascuno protegge nelle sue moschee. Con l’aggiunta dei mai dismessi affari e questi ora vedono Doha, terza attrice del gas mondiale aprire un business con Teheran in un enorme giacimento scoperto sotto le rispettive acque territoriali.

Per evitare che lo spettro iraniano si materializzi sulla sponda arabica giunge l’ostracismo, per ora diplomatico. Sebbene sarà difficile che il business qatarino viva una condizione di totale apartheid.

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