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10/07/2017

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: Corruzione, di Don Winslow

Torna Don Winslow, ormai a rischio serialità. Il filone è quello della corruzione nella polizia e negli apparati burocratici del potere statunitense, d’ambientazione newyorkese (Missing. New York) ma diverso dalla sua narrativa sul narcotraffico (California, Messico). La storia è basilare: Dennis Malone è un poliziotto scelto a capo di un’unità d’élite della polizia di New York, la task force di Manhattan North creata col compito di stroncare i cartelli della droga che imperversano ad Harlem. Si scopre che non solo tutti gli appartenenti a questo corpo scelto hanno legami con i cartelli del narcotraffico, ma che nel frattempo si muovono essi stessi come vero e proprio cartello, sequestrando e rivendendo droga. In questa spirale perversa che risucchia torti e ragioni tutti sono complici, dai colleghi ai diretti superiori, dall’Fbi alla politica municipale. La conclusione rimanda alle consuete domande della narrativa winslowiana, riguardo al labile (labilissimo) confine tra il potere legale e il contropotere criminale, tra presunti buoni e altrettanto immaginati cattivi.

In questo romanzo Don Winslow ci dice alcune cose sostanziali. La prima, che la corruzione dilaga anche tra chi dovrebbe combatterla. La seconda, che tale corruzione riguarda tutti i livelli del potere burocratico, da quelli direttamente organizzativi ai piani alti della politica. La terza, che le motivazioni vanno ricercate in un circuito velenoso di processi causali secondo i quali la violenza genera disillusione, questa sfocia nella più completa rassegnazione, a sua volta alla radice della amoralità che feconda il cancro della corruzione, generando ulteriore violenza e ancora più rassegnazione. Una perversione sociale in cui sfumano i contorni dei “buoni” e dei “cattivi”, perché buoni e cattivi sono in realtà la stessa cosa. 

Nonostante le tematiche ricorrenti, siamo in presenza di un notevole impoverimento tanto dei contenuti quanto dello stile winslowiano. Per tornare ai caratteri essenziali ricordati poc’anzi, quello della “polizia corrotta” è un topos letterario vecchio come la letteratura americana. La forza del Winslow maturo stava proprio nel disvelamento di questa corruzione, che non è un processo di decadimento burocratico ma il frutto di una strategia politica di sostanziale convergenza coi contropoteri criminali. La gestione della società impone, per i diversi poteri che la controllano (politica, media, narcotrafficanti, imprenditoria, eccetera), una convergenza di fatto che si trasforma in modello politico. In Corruzione siamo tornati all’avidità personale, alla rassegnazione di fronte al male inevitabile che, in forme contorte e ambigue, giustifica l’amoralità di chi “sta sul campo” o “in prima linea”.

Tutti i livelli burocratici sono coinvolti, ma non tutti i presunti copri intermedi sono coinvolti nello stesso modo, ci racconta Winslow. Si salvano, in forma tragicamente equivoca, i media, e scompare la politica, se non costretta, sembrerebbe per “ragioni di forza maggiore”, alla trattativa col mondo criminale. Il circuito perverso che alla fine della fiera sembra “comprendere” le ragioni della corruzione dei livelli più bassi – i poliziotti, per intenderci – è pure totalmente sballato e reazionario. Come detto, le motivazioni politiche, che poi sono il frutto della gestione capitalistica della società americana, vengono meno concentrando tutta l’attenzione su una somma di avidità individuali che affascinano il lettore sprovveduto ma totalmente incapaci di spiegare alcunché dei processi reali che stanno alla base della corruzione. Insomma, se ne Il potere del cane o ne Il cartello non si salvava nessuno, qui invece c’è una selezione che sottrae alla resa dei conti proprio chi porta sulle proprie spalle le responsabilità maggiori della crisi endemica della società capitalistica (di qualsiasi società, e in particolar modo quella statunitense).

Riguardo allo stile, c’è una torsione addirittura à la Don Brown del racconto che non fa onore ad un autore pure importante. Certo il romanzo scorre sin troppo velocemente. 542 pagine che si potrebbero leggere addirittura in un giorno. Ma tra leggibilità e facilità scorre il confine tra lo scrittore capace e quello mainstream, tra chi possiede le chiavi della comprensibilità e chi sfrutta ogni luogo comune per attirare nella rete il lettore estivo: i poliziotti sono tutti novelli ispettori Callaghan, duri e puri che nella battaglia contro l’orrore mafioso finiscono risucchiati loro malgrado nella corruzione.

Il modo in cui viene trattato lo scontro razziale conclude la traiettoria involutiva del romanzo. Chi combatte la segregazione etnica e sociale della popolazione nera americana è trattato da vero e proprio cacacazzi in oggettiva combutta col contropotere criminale capace di infilarsi nelle contraddizioni della politica liberale. La “lotta alla droga” va ben al di là di qualche nero ammazzato, coi “giornalisti” sempre in cerca di motivi per delegittimare l’azione della polizia per difendere associazioni di solidarietà antirazzista in definitiva, si dice a volte espressamente a volte lasciandolo intendere, corrotte tanto quanto il resto della società.

In conclusione. Il libro si apre con una citazione in esergo di Raymond Chandler. Non a caso. Con questo romanzo Winslow fa propria l’illusione chandleriana, la crisi come fatto privato tra cattivi ed eroi, protagonisti contraddittori eppure morali. Lo schematismo assolutorio chandleriano non è replicato tale e quale (la condanna in Winslow è generale, ma è solo di facciata), ma se col Potere del cane Winslow aveva saputo mettersi al fianco dei grandi, quantomeno per le tematiche suscitate, con questo Corruzione siamo ancora al mondo delle guardie e dei ladri. Per quanto imbarbariti possono essere i poliziotti, sono ancora dei nostri. Avremmo bisogno, al contrario, di chi ci sottrae a questa falsa dicotomia. Ancora lontani sembrano i tempi di Hammett, Thompson o Ellroy.

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