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15/07/2017

TURCHIA - A un anno dal golpe fallito, Erdogan riscrive la storia

di Roberto Prinzi

La Turchia ricorda oggi il fallito golpe militare del 15 luglio dello scorso anno con una serie di iniziative che, per portata e simbolismo, rendono questa giornata una data chiave della storia del Paese. Il governo, infatti, ha parlato per l’occasione di festa nazionale per la “democrazia e l’unità” sottolineando come il fallimento del putsch (che ha causato almeno 260 morti) abbia rappresentato “una vittoria delle democrazia turca”.

I toni usati dal presidente Erdogan in questi giorni sono stati quasi mitologici: “Da ora in poi – ha dichiarato giovedì – niente sarà come prima del 15 luglio”. Da qui il riferimento ad uno dei miti fondativi dello stato moderno turco: la sconfitta dei golpisti paragonata a quella degli Alleati nella battaglia di Gallipoli del 1915 quando le truppe ottomane resistettero alla loro offensiva. “Nel corso della loro storia, stati e nazioni – ha poi spiegato – vivono bivi difficili che formano però il loro futuro. Il 15 luglio rappresenta tale data per la Repubblica turca”.

La solennità della giornata è evidente a Istanbul dove poster giganti mostrano gli eventi chiave del fallito putsch dello scorso anno. E tra questi, ovviamente, non può mancare la resa dei soldati golpisti. Le celebrazioni inizieranno nella Grande assemblea nazionale dove alle 10 ora locale avrà luogo una sessione speciale dei lavori parlamentari: i vari leader politici (tranne ovviamente quelli purgati dal Sultano quest’anno) terranno discorsi di 10 minuti in cui celebreranno l’importanza di questa data. Al centro della scena non potrà esserci che lui, Erdogan, il presidente sempre più padre-padrone dello stato dopo la discussa vittoria nel referendum costituzionale del 16 aprile.

Alle 18:30 il Paese avrà in simultanea “marce dell’Unità nazionale” ad Ankara e Istanbul. Nella capitale, il corteo, attraversato da una lunga bandiera della Turchia, partirà nel centrale distretto di Ulus e finirà a piazza Kizilay, ribattezzata dopo gli eventi di luglio Piazza della Volontà nazionale Kizilay. A Istanbul Erdogan prenderà parte alle 20 alla “marcia del popolo” sul ponte del Bosforo teatro lo scorso anno di sanguinosi combattimenti e che è stato rinominato, non a caso, il “Ponte dei martiri del 15 luglio”. A mezzanotte avranno luogo le “difese della democrazia”, raduni in cui verranno celebrati coloro che, esortati dal leader islamista, scesero in strada quella sera “in difesa della nazione sotto attacco”. Erdogan ritornerà quindi ad Ankara dove terrà un discorso simbolico in Parlamento all’ora esatta in cui, l’anno scorso, l’edificio è stato bombardato.

Accanto alle parole e alle celebrazioni, ogni riscrittura della storia e ogni costruzione di “miti” ha da sempre bisogno anche di un monumento-monito per i propri connazionali e Erdogan non sfuggirà a questa consolidata tradizione. Il presidente, infatti, svelerà nella capitale un’opera commemorativa fuori il palazzo presidenziale (più Reggia reale, per la verità, considerata la sua grandezza e lo sfarzo) quando l’adhan inviterà i fedeli alla preghiera dell’alba.

I toni e le dichiarazioni di questa giornata e di quelle che l’hanno preceduta sono emblematici della strumentalizzazione a fine personalistici che il presidente ha fatto e sta facendo del golpe per riscrivere la storia del Paese e per consolidare il suo potere. Basta snocciolare i dati presentati due giorni fa dal ministro della giustizia turco per comprendere come il 15 luglio 2016 abbia rappresentato senza dubbio uno spartiacque importante della storia recente del Paese e abbia fornito un’occasione d’oro a Erdogan per silenziare (ancora di più) ogni forma di dissenso. In un anno, infatti, la Turchia ha arrestato 50.510 persone accusate di avere legami con il religioso Fetullah Gulen (ex alleato del presidente). Tra i detenuti, si legge in una nota del ministero, ci sono 169 generali, 7.098 colonnelli e soldati di grado più basso, 8.815 poliziotti, 24 governatori, 73 vice governatori, 116 governatori distrettuali, 2.413 membri dell’apparato giudiziario e 31.784 non meglio precisati “altri sospetti”.

Senza poi dimenticare i più di 140.000 accademici e impiegati pubblici licenziati e i 130 giornalisti in prigione. Sono però numeri provvisori: ieri, infatti, alla lista dei purgati si sono aggiunti più di 7.000 persone tra poliziotti, impiegati statali e accademici. Vanno poi ricordati i detenuti politici: tra questi meritano una menzione particolare i 10 parlamentari del partito di sinistra filo-curdo Hdp e, soprattutto, i suoi co-presidenti Dermitas e Yuksekdag.

Secondo Kemal Kilicdaroglu, il leader del principale partito d’opposizione, le disposizioni messe in atto da Erdogan dopo il fallito putsch rappresentano un “secondo golpe”. Nell’ultimo mese il capo del Chp è stato protagonista della “marcia della giustizia”, una protesta che, iniziata lo scorso 15 giugno ad Ankara, è terminata domenica a Istanbul vicino alla prigione in cui è incarcerato il suo collega di partito Enin Berberoglu. Un evento storico che alcuni commentatori, esagerando, hanno paragonato alla marcia di Gandi in India. Quel che è certo, però, è che si è trattato di uno degli eventi più partecipati negli ultimi anni e, politicamente, ha rappresentato la prima vera sfida al governo dell’Akp da parte dei kemalisti dopo anni di rapporti quanto meno ambigui con il Sultano. Dal palco Kemal Kilicdaroglu ha parlato di “un nuovo inizio”: “Tutti devono saperlo. Il 9 luglio è un nuovo passo. Un nuovo clima, una nuova storia, una rinascita. La giornata finale della marcia per la giustizia è un nuovo inizio, non è la fine”. Sicuramente non oggi.

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