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27/09/2017

A futura memoria. La fine del Q.E., il governo e la propaganda elettorale

Ci troviamo ad un dipresso da un momento storico sovraccarico di incognite, incertezze e paure: a nove anni dall’avvio prima in America e poi in tutto il mondo del quantitative easing, la manovra – senza precedenti su questa scala – di introduzione di dosi gigantesche di liquidità sui mercati mediante l’acquisto di bond per debellare la crisi, inizia ora la fase opposta.

Sarebbe utile tenere a memoria le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio Gentiloni e del Ministro dell’Economia Padoan al momento della presentazione della Legge di Stabilità per il 2018.

E’ il caso di farlo perché, al momento del “dunque” emergerà il tema della conclusione dell’operazione Q.E. da parte della BCE (da parte di altre Banche Centrali l’operazione è già cominciata, la FED ad esempio l’ha avviato dal 2015) e inizieranno i dolori della restituzione.

Questo Governo, dall’apparente “basso profilo”, ha proseguito nella continuità rispetto al precedente sul terreno della propaganda e dell’elettoralismo, virando soltanto di brutto sul tema del rapporto con lo spinoso problema dei migranti verso posizioni di pura destra unificando surrettiziamente politica esterna e politica interna.

Ma non è questo il punto.

La questione che si intende sottolineare oggi riguarda l’evidente sottovalutazione che, per ragioni di pur propaganda, il governo italiano sta esercitando rispetto alla prossima fase conclusiva del Q.E.

Le banche centrali di tutto il mondo, in questo momento, si trovano infatti in “pancia” 15mila miliardi di dollari in titoli dei quali ben 9mila statali, un quinto dei debiti pubblici totali: è il momento di alleggerire i portafogli ma per gli analisti si rischia un rialzo dei tassi che fermerebbe la ripresa.

Più prudente di così, Janet Yellen non poteva essere: a ottobre il bilancio della Fed, che ha raggiunto i 4.200 miliardi di dollari, scenderà di 10 miliardi, 6 in Treasury bond e 4 in obbligazioni delle società. Un’inezia. E non saranno neppure venduti perché semplicemente scadranno e non saranno rinnovati.

Torniamo al punto di partenza, quello del momento storico.

Un momento storico sovraccarico di incognite, incertezze e paure come si scriveva in epigrafe.

I bond acquistati tornano indietro, le banche centrali non comprano più e anzi rivendono.

L’exit strategy coinvolgerà la Bce – dove il Qe dovrebbe finire l’anno prossimo – e poi la Bank of England, la Bank of Japan, e in misura minore la Riksbank svedese e la Swiss National Bank. In tutto, le banche centrali deterranno alla fine di quest’anno buoni e obbligazioni per 15mila miliardi di dollari, dei quali 9mila in government bond, in media un quinto del debito pubblico dei Paesi interessati. Anzi, in diversi casi ancora di più, tanto da avvicinarsi al limite del 33% del debito pubblico scritto nello statuto sia della Bce che della Fed (per evitare che una banca centrale finanzi direttamente un Paese).

Tutti avranno lo stesso problema: come liberarsi di quest’ingombrante massa di denaro.

Qualcuno afferma che per fortuna le elezioni saranno già passate in Italia quando il Qe finirà. Prima però ci sarà la campagna elettorale (vera e unica ragione di vita per l’intero sistema politico che vive di illusioni e di abbagli in una difficilissima crisi di credibilità) e questo è davvero il “punctum dolens” di questa vicenda.

Poi ci sono da tener presenti le questioni di lungo termine, compresa la garanzia dell’indipendenza della Bce quando Draghi lascerà nel 2019. Non è un momento troppo lontano per chi vuole avere un quadro prospettico chiaro.

Teniamo allora bene in vista nel nostro archivio della memoria le dichiarazioni del Governo Italiano, così tanto per aver chiaro lo storytelling che ci troviamo a dover ascoltare.

Dunque a futura memoria:
“La crescita del Pil nel 2017 sarà dell’1,5%. Nel 2018 il deficit nominale italiano si attesterà all’1,6%. Con un abbattimento del debito già nel 2017 anche tenendo conto delle somme messe a disposizione del sistema bancario per affrontare le situazioni di crisi. «La crescita del Pil del 2017 è confermata all’1,5% e 1,5% è quella che secondo noi va confermata per il ’18 e il ’19», ha detto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al termine del Cdm che ha approvato la Nota di aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza che dà il quadro dello stato di salute dell’economia italiana e disegna la cornice entro la quale preparare la legge di bilancio. Alla Nota di aggiornamento è allegata anche la Relazione al Parlamento. Il debito sarà al 131,6% quest’anno e al 129,9% rispetto al Pil nel 2018. È stato un consiglio dei ministri veloce, durato 33 minuti.

«Il Paese è a una svolta e lasciamo un’eredità forte alla prossima legislatura, la fine del Qe non ci deve spaventare ma ci pone nuovi obblighi. Si cresce di più, il debito scende, il sistema bancario è in sicurezza. Stiamo entrando in una nuova fase. In questo quadro ci avviamo alla legge di bilancio». Il ministro conferma che il sentiero resta stretto. «Le risorse per la legge di bilancio sono limitate: il sostegno all’occupazione giovanile è qualcosa che nessuno può negare debba essere affrontato. Ma su questo nelle prossime settimane daremo indicazioni più precise» ha aggiunto.

I dati della nota di aggiornamento al Def presentati ha chiarito Padoan «sono positivi e incoraggianti, ma non vengono fuori a caso, non sono il frutto di qualche magia. Questo lo voglio rivendicare con grande orgoglio per quello che questo governo e molto anche il governo precedente hanno fatto: sono frutto di una strategia sempre precisa». Una strategia «vincente» ha rivendicato e «mi auguro possa continuare in futuro».

La fine del QE non ci deve spaventare ma avverte Padoan «ci pone nuovi obblighi. Siamo preparati? Sì, ma dobbiamo a nostra volta fare delle cose come la gestione del debito». Perché «è possibile vivere in un mondo con tassi d’interesse più alti» ma «i mercati guardano con attenzione se i Paesi continuano a fare le riforme. Il Paese deve continuare a farle e deve farlo in un contesto di stabilità politica».
Queste incaute dichiarazioni vanno ben tenute a mente per non dimenticare l’avventatezza della propaganda seminatrice di illusioni a buon mercato portata avanti dai governi che hanno attraversato questo scorcio di legislatura: 80 euro, job act, agevolazioni per le imprese, modello “Marchionne” nella relazioni industriali.

Il tutto apparentemente a buon mercato fidando sulla bolla del Q.E.e per agevolare i padroni del vapore e alimentare le disuguaglianze economiche e sociali. Sulla “bolla” creata dal Q.E. si svilupperà sicuramente la speculazione, non essendo state minimamente aggredite le radici di questo stato di cose che stanno essenzialmente nella ferocia del governo del ciclo capitalistico contrassegnato da quella che è stata definita globalizzazione e dalla politica dei banchieri, impuniti protagonisti di questo vero e proprio disastro sociale e politico.

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