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29/09/2017

Cala l’inflazione? Non quella dei generi indispensabili...

L’economia reale si vendica sempre sui trucchi. E bisogna dire grazie all’Istat che – anche quando diretta da presidenti eccessivamente proni al governo che li ha nominati – fornisce dati che rivelano esattamente quel che si voleva nascondere.

Prendiamo i numeri dell’inflazione, diffusi stamattina. A prima vista tutto (quasi) bene. “Nel mese di settembre 2017, secondo le stime preliminari, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, diminuisce dello 0,3% su base mensile e aumenta dell’1,1% rispetto a settembre 2016 (era +1,2% ad agosto)”. Siamo ancora lontani da quel 2% che la Bce e altre banche centrali considerano “ottimale” per un’economia in salute, ma nessuno (tra chi lavora con salari da fame) piange se i prezzi non salgono troppo velocemente.

La lieve frenata dell’inflazione, spiega l’Istat, è ascrivibile per lo più al ribasso dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,7%, da +4,4% di agosto) e di quelli dei Beni energetici regolamentati (+2,9% da +5,0%), in parte compensato dal rialzo dei prezzi dei Beni alimentari non lavorati, la cui crescita si porta a +2,2% (da +0,7% del mese precedente).

Qui comincia a prendere forma una notizia importante proprio per chi ha salari molto bassi e un lavoro precario. Salgono più lentamente, infatti, i prezzi di beni e servizi, mentre crescono più velocemente quelli degli alimentari “non lavorati” (frutta, verdura, ecc).

E la conferma arriva immediatamente: “la diminuzione su base mensile dell’indice generale è dovuto principalmente al calo dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (-4,6%) e, in misura minore, alla diminuzione di quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,8%), il cui andamento in entrambi i casi è influenzato da fattori stagionali”. Prezzo della benzina in discesa (in quel mese lì...) e servizi di cui si può fare a meno senza troppo sforzo.

Tutto il contrario per i prodotti inseriti nel cosiddetto “carrello della spesa”. “I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto salgono dello 0,4% in termini congiunturali e dell’1,3% in termini tendenziali (in accelerazione di tre decimi di punto percentuale rispetto al mese precedente)”.

Questo tipo di prodotti sono quelli “basici”, di cui non si può fare a meno perché qualcosa bisogna pur mangiare, se si vuole restare in pedi. Qui l’inflazione colpisce più duro. Sui testi di economia liberista troverete frasi algide come “la domanda non è comprimibile”, ma significa esattamente la stessa cosa.

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