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18/09/2017

Fronti come frontiere. Prove di militarizzazione coloniale del Sahel

Le frontiere stanno tutte nelle nostre teste. Non esistono frontiere ‘naturali’ da assumere come confini di stato. Sono i rapporti di forza che generano, disegnano e riproducono le frontiere. Le politiche transitano sulle frontiere che si armano, si trasformano in trincee, gabbie e talvolta in cimiteri senza croci. Le frontiere fanno la storia e la storia stampa le proprie frontiere. Di parole, di carta, di fili spinati, di campi minati, di genere, di classi sociali e di religioni. Financo gli dei sono recintati nei santuari e negli ostelli per i pellegrini. Le frontiere sono là, apparentemente da sempre, come a ricordare che persino la vita è una questione di frontiere da passare. Alcune di queste, nel Sahel delle due rive, sono, non per la prima volta, chiuse.

Le autorità libiche, tramite un comunicato stampa, hanno annunciato la decisione di chiudere le frontiere col Tchad e il Niger per tre mesi. Onde combattere il traffico di armi, di droga, di esseri umani e soprattutto per frenare le migrazioni informali in direzione della Libia. Anche il Sudan ha preso una decisione analoga nei confronti degli stessi paesi con in più il Sudan del Sud, ultimo nato grazie alle frontiere del petrolio. L’operazione sul confine libico è chiamata ‘lo scudo del deserto’. Una frontiera mobile fatta di mezzi di trasporto, armi e equipaggiamento utile a reperire le categorie di cui sopra. Frontiere di sabbie mobili che imprigionano e si trasformano nel braccio armato dei confini esteriori dell’Europa.

Il colonialismo ha inventato e poi tracciato le frontiere somiglianti a cocci di vetro. Il capitalismo neo liberale, fingendo la globalizzazione egualitaria, ha creato nuovi muri e torri di controllo democratico. Si esercita per tenere lontani i poveri pericolosi e rendere ostaggi del sistema gli altri che vengono graziati all’arrivo. Questi ultimi le frontiere se le portano dentro, negli occhi, nelle mani e nei sogni. Le frontiere vere sono loro, di persone che si spostano dove le altre, quelle armate, non possono arrivare. I migranti sono frontiere che cammino, scappano, inventano, sono tradite eppure resistono per creare un altro mondo. Si fanno scortare dai confini malgrado loro e grazie a loro le frontiere imparano un’altra lingua.

Poi è nato FRONTEX, le frontiere esteriori dell’Europa che per ora si fermano nei pressi di Agadez nel Niger. Su questo dispositivo si innestano le operazioni di salvataggio umanitario. Le agenzie che operano come ditte d’appalto del sistema di controllo, sono le stesse che si vantano di strappare dalla morte vite umane al mare o al deserto. Un buon esempio lo fornisce l’OIM, l’Organizzazione delle Migrazioni Internazionali. Gestisce Centri di Orientamento Umanitario, assiste rimpatri volontari resi obbligatori, milita per frontiere sicure e infine salva i migranti nel deserto. Scompare il confine tra umanitario e utilitario, i bombardamenti ‘chirurgici’ e le invasioni democratiche con le armi vendute per giustificare le frontiere anch’esse armate.

EUCAP, agenzia che propaga il paesaggio neocoloniale europeo ha la missione di creare un nuovo tipo di visione e gestione delle frontiere. Per questo, a suon di milioni di euro, la ditta investe nella formazione del personale per la gestione dei passaporti, dei traffici illegali e nella lotta contro il terrorismo regionale.

Si tratta di frontiere ormai clonate molto simili a quelle che riproducono il sistema che di queste frontiere è il prodotto finale. Altre frontiere invece sono invisibili e tagliano la storia in oppressi e oppressori in tutte le geografie. Dovremmo dunque essere riconoscenti a coloro che osano trasgredirle. Di essi è fatto un mondo nuovo. Saranno chiamati beati perché la loro unica frontiera è una passerella sospesa tra due sogni.

Niamey, settembre 017

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