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12/09/2017

Verso la Grande Puissance tout court: l’agenda politica di Macron


La Francia deve permettere all’Europa di divenire leader del mondo libero. Mi assumo la responsabilità di questo discorso di grandeur, perché è all’altezza del momento in cui noi viviamo. Noi non possiamo pretendere di giocare questo ruolo se non ci diamo i mezzi per farlo.

Senza trasformazione economica e sociale, dimentichiamoci la grandeur. Questo si compirà in un quadro europeo.

Emmanuel Macron, «Le Point», 31 agosto 2017
L’intervista “fiume” ad Emmanuel Macron rilasciata al settimanale «Le Point», a poco più di tre mesi dal suo insediamento all’Eliseo come presidente della Repubblica, è un manifesto programmatico per il suo quinquennio.

Le circa 20 pagine che scaturiscono dalle due ore e mezza dell’entretien permettono di avere un quadro d’insieme della strategia del presidente.

Macron concepisce la propria azione come chiave di volta dell’edificio politico francese, incurante delle differenti opposizioni, dei vecchi partiti e dei loro alleati, la sua iniziativa è tesa a trasformare in profondità l’economia, la società e il suo campo politico.

La sua è una impresa politica a tutto campo in cui reinterpreta la sua funzione con un alto profilo all’altezza del passaggio di fase che stiamo attraversando. Ha ben chiaro “le rotture” che devono essere consumate e il salti di qualità imposti al suo quinquennio dall’oligarchia di cui è piena espressione.

Una affermazione dà la cifra del cambio di passo che vuole intraprendere: mentre negli anni ’70, Valèry Giscard d’Estaing, smarcandosi dal gaullismo, aveva coniato l’idea di una Francia grande potenza media, Emmanuel Macron la vuole rendere una grande potenza tout court.

Considerando il valore in sé di questa intervista – centrale nel dibattito politico francese – ma di cui i media italiani hanno riportato solo brevi e lacunosi stralci – sembra utile riprenderla punto per punto, anche per contestualizzare uno dei punti dirimenti: la riforma del mercato del lavoro, che il Presidente francese valuta essere la madre di tutte le battaglie, come la definiscono non a torto gli intervistatori.

Politica di potenza ad ogni livello, agendo da attori globali, come pivot del progetto dell’Unione Europea e profonda trasformazione delle relazioni sociali – partendo dalla rivoluzione copernicana delle relazioni industriali – sono il cuore della visione del mondo del più giovane presidente della Francia Repubblicana.

Macron rivendica la creazione di un nuovo immaginario politico di conquista, un indole offensiva dell’azione politica in grado di prendere di petto le sfide poste alla società francese, tra cui ciò che definisce “terrorismo islamico”, perché c’è evidentemente un legame con l’islamismo radicale, un fenomeno che vorrebbe trascinare l’Esagono in una guerra civile, considerando tra l’altro che circa 4 milioni di francesi si dichiarano musulmani: la nostra società ha bisogno di narrazioni collettive, di sogni, di eroismo, affinché alcuni non trovino l’assoluto nel fanatismo o nella pulsione della morte.

Il presidente francese pensa sia prioritario sbarazzarsi del vittimismo politico ed è chiaro che questa esigenza deriva dalla spinta necessaria per assicurare un ruolo non subordinato della Francia all’interno dell’attuale contesto mondiale, per cui questo tipo di retroterra culturale è indispensabile alla proiezione esterna della potenza Transalpina, oltre che per un giro di vite securitario al suo interno.

Successivamente, prendendo in considerazione la dinamica degli assetti politici che lo hanno preceduto, rivendica a sé quel ruolo di chiave di volta sopra accennato, conferito dalla Costituzione del 1958: la sua azione non vuole essere il frutto della mediazione tra gli interessi politici dati, ma rivendicare una iniziativa autonoma, non appartengo al mondo delle prebende, dichiara. Si tratta di allineare la società di corte, come la definisce retoricamente, alle scelte che l’accelerazione storica impone, noncurante dei precedenti equilibri e delle dinamiche di mediazione dei suoi precedessori.

Il presidenzialismo aggressivo si afferma sulle ceneri del consenso dei canali politico-partitici tradizionali, e sull’assunzione diretta della élite europeista francese della responsabilità di dettare le regole, determinando un piano di intervento politico in cui il consenso, una volta passati per le forche caudine delle urne, non è più un elemento cardine della governabilità.

In effetti, l’appeal di Macron giunto molto velocemente ai minimi storici non sembra impensierirlo…

Quest’approccio è evidente per ciò che concerne la riforma del mercato del lavoro che occupa uno spazio importante dell’intervista. Rimando agli approfondimenti segnalati nelle note per averne un quadro più particolareggiato, oltre gli aspetti segnalati nell’articolo.

Per Macron il sistema francese protegge ottimamente gli “insiders”, coloro che beneficiano di un contratto stabile, ma al prezzo di una esclusione completa degli altri (i più giovani, i meno qualificati).

Il presidente afferma infatti che la Francia è l’unico paese che in trent’anni non è riuscito a vincere la disoccupazione di massa.

Naturalmente questa contrapposizione non la si risolve parificando verso l’alto le garanzie delle classi subalterne, ma giocando la stratificazione di classe presente, erodendo le residuali tutele derivate da un patto sociale “obsoleto” e misurandosi in un braccio di ferro che sfrutti i rapporti di forza acquisiti da parte del blocco sociale dominante.

Macron prospetta chiaramente un futuro in cui la prospettiva di un posto fisso deve essere accantonata definitivamente, dove la formazione continua diventa un imperativo categorico per i lavoratori nel corso di tutta l’esistenza.

La ricerca e l’innovazione hanno un ruolo chiave, insieme alla produzione di beni e di servizi, aspirando a collocarsi in questo modo nella nuova configurazione della divisione del lavoro a livello internazionale nella fascia alta della catena di creazione del valore.

Macron vuole spostare l’asse della contrattazione a livello di settore e di singola impresa, svuotando di fatto le istanze confederali del sindacalismo francese e quindi relativizzandone la base del proprio potere. Vuole delegare al livello di contrattazione aziendale e di categoria la possibilità di decidere su punti dirimenti della condizione della classi subalterne.

In questa prospettiva il ruolo delle aziende sotto i 50 dipendenti, che sono il 95% delle imprese in Francia e dove il tasso di sindacalizzazione è del 4%, diviene determinante e chiarisce che la semplificazione radicale delle istanze di rappresentazione significa ridurle ad una sola legittima a livello aziendale, azzerando naturalmente le opzioni incompatibili con il nuovo quadro di riferimento delle “relazioni industriali”.

La grammatica delle relazioni sindacali dovrà basarsi quindi sulla categoria e sull’impresa, con una politica fiscale che sgravi le aziende e ne incentivi gli investimenti, ponendosi l’obbiettivo intermedio di un prelievo forfettario del 30% sulle imprese, per giungere a fine del quinquennio ad una pressione fiscale pari al 25%.

Questa notevole riduzione delle capacità di tutelarsi da parte dei lavoratori in un quadro di frammentazione del proprio potere contrattuale, insieme a questa drastica riduzione delle tasse, dovrebbe incentivare gli investimenti delle realtà economiche esistenti e attrarre nuovi investimenti sul suolo dell’Esagono.

L’attività “riformatrice” di Macron riguarda altri aspetti peculiari delle varie garanzie dei salariati, ponendole sotto la rigida regia statale. Macron vuole fare della formazione la formula algebrica della risoluzione del problema della disoccupazione, configurando un nuovo ruolo all’università che non sarà né lo sbocco necessario per coloro che hanno svolto la maturità: noi faremo sì che si smetta, per esempio, di far credere che l’università è la soluzione per tutti e che diventi un luogo di formazione permanente: l’università continuerà ad educare i giovani, ma formerà anche lungo tutta l’esistenza.

La frantumazione delle garanzie pre-esistenti non coincide con l’acquisizione di nuove tutele, ma con l’affermarsi di un quadro in cui la mobilità, il ripiegamento nella dimensione micro-aziendale, l’imposizione di un continuo adattamento delle proprie capacità alle necessità del mercato sono il tessuto collettivo di una rifondazione dei rapporti sociali di stampo neo-liberista.

La Francia, seconda economia della UE, deve costruire le condizioni per una adesione più sostanziale ai parametri dell’Unione riguardo al deficit, perché dal 2011 è in procedura di deficit pubblico eccedente.

Bisogna quindi essere sotto il 3% nel 2017 e nel 2018, per potere uscire da questa procedura di deficit eccessivo e aprire intelligentemente il dibattito sui veri argomenti rilevanti per il futuro della Francia e dell’Europa.

Macron rivendica il proprio ruolo di comandante delle forze-armate, a cui le gerarchie militari devono subordinarsi, e di leader delle trasformazioni che l’apparato bellico francese sta per affrontare a tutto campo, rifacendo dell’esercito uno dei cardini, anche culturali, della politica nazionale: Noi re-equipaggeremo i nostri eserciti, modernizzeremo il nostro apparato di dissuasione. Durante il quinquennio che viene, noi spenderemo 1,6 miliardi all’anno in più ogni anno, avendo come obiettivo il 2% del PIL verso il 2025 per le spese degli eserciti.

La Francia ha il secondo esercito più grande del mondo libero, mentre il bilancio che va alla Difesa è pari ai 34 miliardi di Euro, il secondo settore per ordine di spesa del suo budget complessivo, destinato secondo le parole di Macron a conoscere il prossimo anno un aumento di portata storica.

Deve essere invertita la rotta della riduzione delle spese militari conseguita tra il 2007 e il 2014.

Questo sforzo è contestuale al ruolo di prima attrice all’interno di una UE concepita come global player nel contesto mondiale.

Ed è proprio all’UE che è dedicata una parte rilevante dell’intervista, e che qui interessa mettere in luce più di altri aspetti più peculiari legati al dibattito politico francese tout cout.

Questo aspetto necessita di una traduzione integrale dei passaggi ad esso dedicati, perché si chiarisce in maniera inequivocabile che l’UE è data come cornice in cui i singoli stati sono chiamati a definire il loro peso. Sintomatico che in questo passaggio l’asse franco-tedesco sia il motore del progetto, e l’Italia – sia qui che in nessuna delle venti pagine – venga minimamente citata, anche quando Macron parla direttamente di vicende che la interessano da vicino, come “i confini europei” e la questione libica, o la cooperazione in campo navale militare, come sembra scaturire dall’affaire Fincantieri.
“La battaglia sulla protezione degli interessi strategici è ugualmente essenziale, l’ho portata in giugno, voglio che si possa fare a livello europeo ciò che si è fatto a livello francese, cioè, in alcuni settori strategici, si possa rifiutare che delle imprese europee passino sotto controllo straniero. Esistono degli strumenti della sovranità europea e noi dobbiamo poterli difendere, è legittimo.”

“Noi dobbiamo allo stesso modo avere un’Europa che protegge sul piano commerciale, in un modo che, quando un paese ci attacca con il dumping, ci si possa difendere imponendo delle tariffe “doganali”. All’oggi l’Europa lo fa molto meno velocemente e molto meno consistentemente che gli Stati Uniti.”

“Un’Europa che protegge, infine, è una Europa che ha una politica della Difesa. L’ultimo consiglio europeo ha permesso un vero avanzamento, che la Francia e la Germania hanno spinto parecchio.”

“Noi abbiamo definito il quadro di una cooperazione strutturata permanente, questo vuol dire rinforzando gli impegni in materia di investimenti, di equipaggiamenti e di missioni estere. Dal 13 luglio, con un lavoro senza precedenti, noi abbiamo anche qui, nel consiglio dei ministri franco-tedeschi, deciso ciò che Francia e Germania pongono come contenuto all’interno di questa cooperazione rinforzata.”

“Noi abbiamo preso degli impegni di coordinamento a livello di acquisto, di capacità e di materiale – la volontà, per esempio di avere un aereo da combattimento comune per lo meno tra i nostri paesi. È una vera rivoluzione.”

“Noi avanziamo inoltre sul piano della protezione delle nostre frontiere. È cruciale nel contesto attuale della crisi migratoria.”
A livello programmatico, le élites europee non nutrono dubbi sul cammino che devono percorrere, sarebbe auspicabile che, tenendo comunque conto del possibile gap tra enunciazione di un programma e sua realizzazione, si avesse coscienza di questo tracciato e della necessità di contrastarlo.

***

Macron. Le Grand entretien, Laureline Dupont, Étienne Gernelle, Sébastien Le Fol, Le Point 31 agosto 2017

(I termini in corsivo sono la traduzione a cura dell’autore dell’intervista)

Francia. Macron lancia l’attacco frontale ai diritti del lavoro, Stefano Porcari, Contropiano

http://contropiano.org/news/news-economia/2017/09/01/francia-macron-lancia-lattacco-frontale-ai-diritti-del-lavoro-095222

La Francia di Macron passa alla contrattazione aziendale, Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-08-31/la-francia-passa-contrattazione-aziendale-143437.shtml?uuid=AE1ZO5KC&refresh_ce=1

Fonte

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