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05/01/2018

5 gennaio 1968: Dubcek eletto Segretario del PC Cecoslovacco: inizia la “primavera di Praga”

Il 5 gennaio 1968, esattamente cinquant’anni fa, Alexander Dubcek veniva eletto segretario generale del Partito Comunista Cecoslovacco: si avviava così, senza che l’opinione pubblica mondiale e gli stessi dirigenti dei Partiti Comunisti a Oriente come a Occidente ne fossero pienamente consapevoli, la breve bruciante stagione della cosiddetta “Primavera di Praga” che sarà stroncata il successivo 21 agosto dall’invasione del Paese da parte dei carri armati del Patto di Varsavia.

Una vicenda che segnò nel profondo la Storia con la S maiuscola e le vicende dei comunisti: un vero e proprio punto di svolta.

Ancora una volta è importante ricordare Praga ’68, momento fondamentale di snodo nella storia europea e mondiale. Una vicenda molto diversa da quella di Budapest ’56. Da Praga sortì la lunga fase del “gelo brezneviano” e si posero le condizioni oggettive del crollo del sistema sovietico.

Emerse l’impossibilità di un’autoriforma che pure nel periodo ’56-’64 aveva animato il dibattito all’interno del movimento comunista internazionale.

Per ricordare proprio quell’emblematico punto di partenza rappresentato dall’elezione di Dubcek riproduciamo di seguito uno stralcio dell’intervento svolto da Jiri Pelikan nel corso del convegno “Potere e Opposizione nella società post – rivoluzionarie” organizzato a Venezia tra l’11 e il 13 novembre 1977 dal PdUP –Manifesto e al quale parteciparono un folto gruppo di dissidenti provenienti dai Paesi dell’Est tra i quali l’ungherese Istvan Mestzaros, i rappresenti della Cecoslovacchia Zdnek Mlinar, Jiri Pelikan, il sovietico Leonid Pliusc, i polacchi Kristzof Pomian, Edmund Baluka, lo jugoslavo Dave Riesman. Inviarono interventi scritti dalla Jugoslavia Vlado Dedijer, Predag Vrnanicki e Dave Riesman, dalla Polonia Adam Michnik e Jacek Kuron.

Da ricordare ancora che il PCI non ritenne di aderire ufficialmente al convegno (aperto da Lidia Menapace con la relazione generale svolta da Rossana Rossanda che svolse alla fine anche l’intervento conclusivo).

A titolo personale intervennero Lucio Lombardo Radice, Beppe Vacca e Bruno Trentin, Rosario Villari oltre al padrone di casa Carlo Aymonino direttore dell’Istituto di Architettura a Ca’Foscari, sede dell’incontro.

Jiri Pelikan nel gennaio ’68 ricopriva dal 1963 l’incarico di direttore generale della televisione cecoslovacca ed era stato eletto deputato al Parlamento. Durante la “Primavera” viene eletto presidente della commissione affari esteri del Parlamento e delegato al XIV congresso del PCC, che si svolse il 22 agosto 1968 nella fabbrica di Ckd ed eletto nel Comitato Centrale. Dopo l’intervento armato è allontanato dalla TV, espulso dal partito, dal Parlamento e privato della cittadinanza. Ottiene nel 1969 asilo politico in Italia.

Ha militato nell’opposizione socialista cecoslovacca pubblicando una rivista bimestrale “Listy”.

Nel 1979 viene eletto al Parlamento Europeo nelle liste del Partito Socialista.

Muore a Roma nel giugno del 1999.

Di seguito uno stralcio particolarmente significativo del suo intervento in quell’occasione (alcune parti del testo assumono, a distanza di tanti anni, un valore quasi profetico):
“... Noi siamo degli alleati scomodi e non troviamo appoggi decisivi da nessuna parte, perché essendo socialisti e marxisti, da un lato siamo costretti a porre certi problemi, certi dubbi che ci vengono dalla nostra esperienza, dall’altro siamo preoccupati perché non vorremmo che la sinistra occidentale ripetesse gli errori che abbiamo commesso durante la costruzione del socialismo o della nuova società nei paesi dell’Est.

Capisco benissimo che la sinistra occidentale non può comprendere perché gli esuli che vengono dall’Unione Sovietica non sono come Trockij che dieci anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre è giunto come primo esule politico, ma si riferiva agli ideali della Rivoluzione d’Ottobre.

Invece, quelli che arrivano oggi si riferiscono alle cosiddette libertà liberali, borghesi, perché sono della generazione che non ha conosciuto il socialismo se non nella versione staliniana.

Penso sia molto importante capire questo: il pericolo che una parte non piccola degli esuli e dell’opposizione interna, se non compresa dalla sinistra, possa essere spinta verso destra ed essere strumentalizzata è grande.

In Cecoslovacchia, a differenza che in Unione Sovietica e in altri paesi, abbiamo avuto un movimento di massa, la primavera di Praga, e a me pare che la sinistra occidentale non abbia capito bene finora il senso di questa esperienza, che a mio parere era una sorta di Comune di Parigi nel senso che era il primo caso in cui si facevano trasformazioni socialiste in un paese sviluppato, caratterizzato dalla stessa struttura economica e dalle stesse tradizioni politiche presenti nei paesi occidentali.

Certo anche i nostri errori hanno contribuito a farci ritrovare soli, ma di questi errori parleremo in un’altra occasione.

Ma proprio perché le masse hanno vissuto per otto mesi questa esperienza, riesce oggi impossibile al regime di normalizzazione convincere la gente che si trattava di una controrivoluzione.

Noi abbiamo posto alla sinistra occidentale un problema che neanche Marx e Lenin potevano prevedere: come procedere con le trasformazioni socialiste dopo che la prima rivoluzione socialista è avvenuta nel paese più debole del sistema imperialistico, cioè in Russia, e questo paese nonostante ciò è divenuto economicamente e militarmente potente.

Un paese che può anche oggettivamente difendere certe rivoluzioni negli altri paesi, ma difendendole può nello stesso tempo inquinarle con la deformazione della propria esperienza.

Così come nel ’68 il potere sovietico non poteva tollerare il movimento popolare e socialista del nuovo corso, io sono convinto che nel futuro potrà tollerare un’altra esperienza di questo tipo, in Italia, in Francia, in Spagna, in Portogallo o in Occidente, per ragioni evidenti e per le conseguenze che avrebbero all’interno dei paesi dell’Europa dell’Est.

Questa è la grande debolezza di una parte della sinistra che sviluppa questo discorso diplomatico: “I compagni sovietici alla fine capiranno...”.

Anche Dubcek nel ’68 ha ripetuto che alla fine i compagni sovietici avrebbero capito che quello che facevamo era nell’interesse del socialismo.

E questo è stato un errore di Dubcek che invece, fin dall’inizio avrebbe dovuto prepararsi alla necessità di uno scontro, sia pure temporaneo, con la burocrazia sovietica, uno scontro che era inevitabile se si voleva fare veramente un socialismo diverso, come quello che volevamo fare noi in Cecoslovacchia, come quello che si vuol fare in Italia, Francia, Spagna.”.
Parole e stile d’altri tempi si dirà: ma vale proprio la pena, in questo momento di buia difficoltà, rammentarle allo scopo di inviare un messaggio rivolto sia alla necessità di studiare il passato sia all’esigenza ineludibile di continuare a progettare il futuro.

Il testo integrale dell’intervento di Jiri Pelikan è contenuto nel volume “Potere e opposizione nelle società post – rivoluzionarie. Una discussione nella sinistra” . “Il manifesto, quaderno n.8”. Alfani editore gennaio 1978.

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