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13/05/2015

Le bufale neoliberiste alla prova dei fatti: i risultati della “flessibilità” per l’Fmi

Ebbene si, alla fine l’ha detto anche il Fondo monetario internazionale. Certo, non è che un pezzo della troika può dirla proprio in questi termini, che hanno millantato per anni una cagata pazzesca, e quindi ha dovuto mimetizzare l’ammissione inserendo in un anonimo box di una pagina sperduta del World Economic Outlook una frase che tuttavia suona molto precisa: “il livello di regolamentazione del mercato del lavoro non ha rivelato effetti statisticamente significativi sulla produttività complessiva”. Alias, la flessibilità del lavoro non c’entra una mazza con la produttività del paese, e quindi sulla crescita e sull’occupazione.

Eggià. Dopo anni di proclami di Fmi, Bce e Commissione Europea per convincere il mondo che dare lavori precari e licenziare più facilmente – aumentare la flessibilità in entrata e uscita dal mercato del lavoro, a parole loro – avrebbe comportato un mirabolante aumento della crescita e dell’occupazione, ora il Fmi sbaraglia le certezze. Certezze che poi buona parte del mondo non ha mai avuto, sia per semplice buonsenso sia perché, nell’acceso dibattito pubblico degli ultimi anni, gli economisti di stampo liberista non sono riusciti a portare tesi convincenti a supporto della troika, mentre di contro si sono moltiplicati articoli e analisi di dimostrazione del fatto che non esiste una relazione diretta tra flessibilità e produttività, e che in certe circostanze (come nei paesi più deboli) è addirittura inversa: + flessibilità – occupazione – crescita. Tra parentesi, le analisi prodotte erano tutto tranne che roba da complottisti di sinistra, essendo supportate da dati dell’Ocse e riprese ad esempio da economisti tipo Tito Boeri (il nemicoamico di Renzi presidente dell’Istat) o Blanchard (ex capo dello stesso Fmi!), insomma non proprio antagonisti della prima ora. Motivo per cui probabilmente non è stato più possibile far finta di niente sull’argomento. Oltre al fatto evidente che a questo punto poco importava al Fmi di far uscire la verità, visto che tanto ormai la propaganda pro-flessibilità aveva avuto i suoi effetti. La deregolamentazione e la flessibilità del mercato del lavoro hanno infatti attraversato e attecchito in tutti i paesi europei, attraverso riforme nazionali e politiche regionali dell’Unione Europea, e nello specifico dell’Italia ci hanno regalato probabilmente il massimo capolavoro, il Jobs Act.

A ricordarci bene, una cosa simile è successa anche per l’austerity. Non era tanto tempo fa quando Monti e la cricca europea con Germania in testa sventagliavano orgogliosi sui mass media la teoria che l’unico modo per uscire dalla crisi fosse una sana e rigorosa austerità, mentre il buonsenso comune, dalle periferie delle città alle scuole economiche più affermate indicasse esattamente l’opposto. In seguito, a distanza di qualche anno e a disastro sociale e occupazionale avvenuto, hanno timidamente fatto intendere che, ops, la strategia non aveva avuto gli effetti sperati e quindi addio austerità da mass media e dibattito pubblico e benvenuta flessibilità.

Ora, siccome pensiamo che i partecipanti al teatrino europeo siano tutto tranne che ingenui ci verrebbe da dire che forse questo giochetto è ben ragionato e che la figura di merda (prontamente occultata) di dover dire a posteriori che le stime erano sbagliate vale la pena rispetto ai benefici che ne derivano. Riforma dopo riforma i governi e le borghesie europee hanno visto abbassarsi il costo del lavoro, ridurre al minimo i diritti dei lavoratori, crearsi un esercito di disoccupati disposti a lavorare in qualsiasi condizione (anche gratis, vedi Expo), tagliare la spesa per il welfare, azzerare la contrattazione sindacale e congelare il conflitto sociale mettendolo costantemente sotto ricatto. Poco importa se bisogna poi svelare che quelle riforme non sono servite allo scopo presunto, tanto ormai è andata, e poi la gente ha la memoria corta.

Quello che ci viene da notare poi di questa storia è la potenziale replicabilità all’infinito di questo sistema sfruttando di volta in volta nuove “emergenze” (immigrazione? pensioni?) e nuove finte soluzioni, con il supporto dello strapotere dei media che al primo schiocco di dita sono pronti a imbastire la nuova moda europea del momento. Nulla di nuovo sotto al sole ma tanto basta per ricordarci che, dal canto nostro, abbiamo parecchio da discutere sui mezzi comunicativi e sulle possibili azioni di contrasto alle strategie europee: in sostanza, serve capire come fare i Fantozzi della situazione e dire apertamente come stanno le cose sulla nostra corazzata Potemkin – che invece, è un grandissimo film – e riprenderci il consenso.

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