Riusciranno i negoziatori iraniani e quelli delle potenze del 5+1
(membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu + Germania) a firmare
il fatidico accordo entro domani? Pare proprio di no. Sfuma ogni
giorno di più la possibilità di firmare un accordo costruito in due anni
di colloqui tra i nemici giurati Washington e Teheran assistiti da
Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina, Germania e supervisionati da
Bruxelles. I punti spinosi sono ancora tutti lì: ispezioni,
congelamento delle sanzioni, durata dell’accordo. E le parti, radicate
sempre più sulle proprie posizioni, non sembrano intenzionate a cedere
su nessuno dei punti.
Il segretario di Stato americano John Kerry ha manifestato ieri il
malcontento dell’amministrazione Obama per lo stallo in corso,
amministrazione che, pur spazientita, vuole a ogni costo incassare il
suo unico successo in Medio Oriente: parlando con i giornalisti a Vienna
ha dichiarato che c’è bisogno di operare “scelte difficili per siglare
l’accordo”, e che gli Stati Uniti sono “pronti ad abbandonare le
trattative se non si dovesse raggiungere un buon accordo”.
Per “buon accordo” Kerry intende le condizioni dettate da
Washington e osteggiate da Teheran: ispezioni in tutti i siti del Paese
(sia nucleari che militari); congelamento graduale delle sanzioni solo
dopo il comprovato rispetto da parte della Repubblica islamica dei
termini dell’accordo; un’intesa della durata di 10 anni, non meno come
pretende Teheran, che vedrebbe così la propria energia nucleare bloccata
per un decennio. Il ministro degli Esteri iraniano Mohamed
Javad Zarif, se con una mano continua i proclami ottimistici sul fatto
che “non si è mai stati così vicini a un accordo”, con l’altra denuncia
il clima di “coercizione e pressione” che opprime il negoziato, come ha
fatto sapere in un video messaggio diffuso qualche giorno fa.
A rincarare la dose, poi, ci ha pensato la guida suprema della
Repubblica Islamica, l’ayatollah Khamenei, che la settimana scorsa ha
ribadito che l’Iran smantellerà le sue strutture nucleari solo dopo il
sollevamento immediato delle sanzioni. Una posizione ben nota, che la
diplomazia iraniana ha chiarito fin dall’inizio, ma che anima le paure
più nere di chi – Arabia Saudita, Congresso Usa e Israele in prima fila –
crede che Teheran imbroglierà e basta, prendendo i suoi soldi e
continuando a costruire un ordigno nucleare in qualche impianto
sotterraneo non ancora individuato.
Per Teheran è semplicemente inammissibile quello che la
comunità internazionale sta chiedendo: ispezioni continue nei siti
militari, oltre che in quelli nucleari che le autorità già avevano
autorizzato, che la Repubblica islamica percepisce come spionaggio delle
proprie attività militari. L’ala dura dell’esercito si è già
attivata con proclami minacciosi, mentre il Parlamento è passato ai
fatti: due settimane fa, infatti, i deputati di Teheran hanno approvato
con una maggioranza di 199 su 213 un disegno di legge che proibisce
l’ingresso a qualunque sito militare da parte di ispettori stranieri,
oltre al sollevamento immediato di tutte le sanzioni che gravano sulla
Repubblica Islamica qualora l’accordo sul nucleare fosse firmato.
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