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09/09/2015

Ma quanto ci costa la Grecia? La classica domanda sbagliata

Siccome alla tv non c’è mai fine, da qualche settimana in diverse trasmissioni è cominciato il lancio della domanda dell’estate: ma quanto ci costa la Grecia? La domanda è subdola: sottintende che gli italiani, con le loro tasse, mantengono i greci. Visti come da luoghi comuni: pigri, spendaccioni o comunque mantenuti in ultima istanza dall’Europa. Grazie a “prestiti” ed “aiuti” che non sembrano finire mai. È bene fare ordine nei soliti luoghi comuni. Perché la domanda giusta è: quanto ci costano le banche tedesche e francesi? Perché i soldi delle istituzioni europee, e dal 2012 anche del governo italiano, finiscono solo in minima parte ai greci mentre, nella maggior parte, vanno alle banche non elleniche.

La crisi inizia quando il presidente George Papandreou, a fine 2009 subito dopo le elezioni politiche, dichiara che i precedenti governi greci avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per permettere alla Grecia d'entrare nell'euro, denunciando così il rischio di bancarotta del paese. In verità la Grecia è di fronte ad una questione pressante: le banche francesi e tedesche, che si sono scottate dalle avventure speculative in Usa, pretendono il rientro veloce dal debito da parte dei greci dopo la crisi Lehman. La crisi greca, come quella spagnola o irlandese, ha cause oltreoceano: speculando sulla bolla finanziaria oltreoceano molte banche europee si sono spaventate. Per non fallire chiedono quindi un rientro repentino del credito in tutta Europa, Grecia compresa. Nei primi giorni di maggio 2010 è stato così definito un pacchetto di 110 miliardi di euro di “aiuti” in 3 anni, da parte dei paesi della zona euro, alla Grecia. Sono tutti soldi che non miglioreranno né la situazione della Grecia, che verrà depredata di parte importante delle risorse né, di poco, di quella delle banche colpite dalla crisi. Nel settembre 2011 viene così istituita la cosiddetta "troika", formata da Fmi, Bce ed Ue, reale organismo di controllo dell’economia greca. E, soprattutto, organo di garanzia per il trasferimento dei fondi dei greci alle banche che non sembravano funzionare così bene. Nel frattempo il paese vede il Pil crollare, il ritorno di livelli di miseria da anni ’50 e torna a vivere il fenomeno migratorio del dopoguerra verso altri continenti, in particolare il flusso caratterizza laureati greci che cercano opportunità prevalentemente in Australia, ma anche in Russia, Iran e Cina. Chi resta lotta: il paese è scosso da enormi mobilitazioni, scioperi e manifestazioni di ogni genere. Ad inizio 2012 l'agenzia Fitch dà per certo il default della Grecia e la Germania, paese maggiormente esposto verso il debito greco, si vede respingere la proposta di trasferire la sovranità nazionale del paese ellenico a Bruxelles. Il 12 febbraio 2012 il parlamento greco, per placare le borse e la Germania, vota un ennesimo piano di austerity per incassare un aiuto di 130 miliardi di euro da parte della Troika; dopo l'approvazione sono subito scattate le proteste del popolo greco in piazza Syntagma e si è arrivati ad una vera e propria rivolta di popolo. Viene approvato, in quei giorni, un ulteriore piano di “aiuti” di 130 miliardi. Privatizzazioni, dismissioni, licenziamenti in cambio di soldi alla Grecia (banche e Stato) che verranno girati alle banche tedesche e francesi. È in quel periodo che, per venire in soccorso alle banche tedesche e francesi (le più esposte), il governo Monti decide un piano di prestiti alla Grecia. In modo che, dal paese ellenico, i finanziamenti finiscano alle banche desiderate. Stiamo parlando di due piani di “aiuti” di complessivi 240-250 miliardi di euro, arrivati da Fmi ed Europa, che hanno fatto sprofondare il paese in una crisi senza fine. Perché i soldi non servivano per rilanciare l’economia ma per una partita di giro a beneficio delle istituzioni finanziarie, pubbliche e private, creditrici della Grecia. Il resto, cioè l’economia, è colato a picco.

Il governo Tsipras ha così ereditato una situazione esplosiva. Una volta arrivato al potere, al grido di “basta con l’austerità”, ha finito per accettare ulteriori misure di trasferimento della ricchezza dei greci alle istituzioni finanziarie. Previo taglio della spesa pubblica. Per capire cosa ha firmato Tsipras nei primi dieci giorni di luglio a Bruxelles basti dire che, a partire dal 2010, le privatizzazioni hanno fruttato (all’Europa perché i greci non hanno visto un euro) 1 miliardo di euro l’anno, mentre Tsipras ha siglato un accordo che prevede 50 miliardi di euro di profitti da privatizzazioni in tre anni. E questi soldi finiranno, come da accordi, tutti alle banche. Quindi la domanda corretta è: quanto ci costano le banche? Tanto a noi, tantissimo ai greci.

Pubblicato sul numero 106 dell'edizione cartacea di Senza Soste (luglio-agosto 2015)

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