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07/10/2015

Medici cubani, ambasciatori nel mondo della rivoluzione

In Occidente la maggioranza delle persone associa Cuba con la salsa, col mare e con le spiagge dalla fine sabbia bianca, con ragazze bellissime e con le feste che per i turisti, dalla notte si prolungano fino al mattino; i più romantici a sinistra la ricordano ancora come la patria della rivoluzione in America Latina, la terra adottiva del “Che”. Dal canto loro le cancellerie occidentali l'hanno sempre dipinta come un'isola emarginata politicamente ed economicamente per via del regime comunista. I media non hanno esitato a raffigurarla come una nazione dove non vengono rispettati i diritti civili e con un'economia povera, tacendo però sull'embargo, sui sussidi alimentari erogati alle fasce più povere, sulle campagne economiche a sostegno dei disabili e sull'istruzione e la sanità gratuite, assicurate all'intera popolazione.

Proprio il modello sanitario ha contraddistinto l'isola caraibica nel mondo: una sanità svincolata dall’esclusiva logica del profitto e finalizzata alla crescita e al benessere umano. Tale concetto è così ben radicato a Cuba da renderla una delle nazioni con più medici cooperanti impegnati in operazioni umanitarie all'estero.

Ammontano, infatti, a circa 50.663 i cooperanti cubani che lavorano in 67 paesi del mondo, sotto le più svariate forme di collaborazione e la maggioranza di loro sono volontari.

Per comprendere meglio il servizio che i medici cubani rendono ogni giorno al mondo, basti ricordare le parole pronunciate nel 2010 dal presidente haitiano Renè Preval: “Sappiamo che l’internazionalismo di Cuba non reclama benefici”.

Nel 2010, infatti, subito dopo il terremoto, Haiti era stata colpita da una terribile epidemia di colera che dalla regione di Sant Marc si era diffusa in diverse zone del paese, contagiando almeno 150.000 persone e uccidendone a migliaia. In tale occasione Cuba è stato uno dei primi paesi a inviare personale sanitario, i cui meriti nel contrasto all'epidemia sono stati riconosciuti, oltre che dalle istituzioni haitiane, anche dal vice rappresentate speciale per la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti, Mourad Wahba. Già nel 2010 il vicepresidente del Consiglio di Stato Cubano, Esteban Lazo, in una conferenza rimarcava l’impegno di 1.600 cubani coinvolti in programmi sanitari ad Haiti e ricordava come, grazie al loro contributo, a partire dagli 11 anni precedenti, fosse stato possibile realizzare 14 milioni di visite.

Medici cubani sono poi attivi nelle zone più remote del Brasile e della Bolivia per assistere le popolazioni locali. Proprio nel paese guidato da Evo Morales, più di 300.000 persone hanno beneficiato di operazioni alla vista gratuite grazie al loro contributo. Aiuti che non si sono limitati solo all'aspetto sanitario, visto che circa 820.000 persone hanno imparato a leggere e scrivere grazie ai metodi audiovisivi cubani.

Il Venezuela, ieri di Chavez e oggi di Maduro, principale alleato politico ed economico di Cuba, annualmente fornisce all’isola oltre 100.000 barili di petrolio; in cambio di tale fornitura a condizioni agevolate, oltre 40.000 cubani lavorano in Venezuela nelle vesti di medici, insegnanti e tecnici specialisti.

Della preparazione dei medici cubani, beneficia insomma tutta l’America Latina: solamente in Paraguay, paese che ha riallacciato le relazioni diplomatiche con Cuba a partire dal 1994, circa 100.000 persone hanno ricevuto assistenza oculistica nell'ambito dell’Operazione Miracolo e la sola Cuba ospita 1.000 studenti di medicina paraguaiani. A testimonianza del contributo della piccola isola comunista, in passato non è mancato neanche l'elogio del presidente dell'Ecuador “ Rafael Correa” che ha definito Cuba, “la campionessa della solidarietà e dell'umanesimo”.

Proprio in Ecuador già verso la fine del 2009, circa 192 medici cubani unitamente a personale locale avevano studiato gli handicap di 78.000 persone e visitato circa 380.000 abitazioni, eseguendo visite di neurofisiologia, psicologia, angiologia e otorinolaringoiatria.

Il contributo più rilevante però è stato fornito in Africa, dove i medici cubani hanno dato un apporto decisivo alla sconfitta dell'ebola.

Già il New York Times, in un suo editoriale aveva evidenziato il cruciale ruolo di Cuba nel contrasto dell'epidemia nel continente africano.

Secondo il quotidiano americano, infatti, i timori dei governi e dell’opinione pubblica per una diffusione del virus ebola dall’Africa in Occidente, non hanno determinato un’adeguata risposta politica. Mentre gli Stati Uniti ed altri paesi europei si sono limitati a stanziare fondi e inviare denaro, sola Cuba e un ristretto numero di O.N.G. hanno fornito quello che davvero serviva: cioè personale medico qualificato sul campo.

Infatti, mentre gli Stati Uniti optavano per un approccio economico e soprattutto militare, inviando i propri soldati per monitorare i confini dei paesi africani colpiti dall'epidemia, Fidel Castro manteneva 32 brigate mediche in Africa, con 4048 dipendenti, di cui 2269 medici, tra la Sierra Leone e la Guinea, tutti con esperienze decennali nel contrasto e nella prevenzione di malattie tropicali.

Contestualmente, venivano inviati anche 256 operatori sanitari del Contingente Internazionale di Medici Specializzati in zone colpite da calamità e grandi epidemie: di questi, 165 in Sierra Leone, 53 in Liberia e 38 in Guinea.

Contemporaneamente all'intervento diretto di contrasto alla malattia, la priorità è stata quella di sviluppare un programma di formazione per i paesi africani non interessati dall'epidemia, con la presenza di brigate mediche cubane, al fine di preparare il personale locale alla prevenzione, diagnosi e trattamento della malattia.

Per questi esempi di eroismo e professionalità della medicina cubana non sono tardati ad arrivare l’apprezzamento e la gratitudine da parte dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (O.M.S.), la quale in una conferenza stampa tenuta nell'autunno dello scorso anno, non ha mancato di ringraziare Cuba per il suo contributo, auspicando che altri paesi potessero seguire il suo esempio.

In definitiva, quanto fatto in Africa dai cubani è stato a dir poco encomiabile. Non per niente di recente i sindacati norvegesi hanno proposto la brigata medica “Henry Reeve” come candidata al Nobel per la pace.

Dall’America al Sud-est asiatico, come in occasione dello tsunami, passando per l’Africa, dunque i medici e gli infermieri cubani sono sempre stati tra i primi a giungere sul luogo delle tragedie. Uno degli ultimi scenari in cui si sono contraddistinti, è stato nell'affrontare le drammatiche situazioni sanitarie del post terremoto in Nepal. Il sisma registratosi il 25 aprile scorso, il più grave della regione dal 1934, aveva provocato migliaia tra vittime e ferite. Il dottor Néstor Marimón, direttore delle Relazioni Internazionali del MINSAP, ha segnalato che nelle zone colpite sono stati effettuati dai cubani 2932 studi diagnostici, 41.000 assistenze infermieristiche e 4.250 persone sono state riabilitate.

L'esperienza internazionale medica cubana ha avuto inizio nel 1960, quando il primo gruppo di professionisti della sanità partì per il Cile a seguito di un devastante terremoto. Nel 2005 quando l’uragano Katrina devastò New Orleans, Fidel diede le direttive per allestire un contingente di circa 1.100 medici e almeno 26 tonnellate tra attrezzature sanitarie e medicinali, per mandarli in aiuto degli storici “rivali”; l’offerta però venne rifiutata dal governo Bush. In tutta risposta, da lì a breve tempo, sarebbe stato costituito il Contingente Internazionale Henry Reeve, in onore del soldato statunitense che giovanissimo aveva combattuto per l’indipendenza cubana dalla Spagna. Ad oggi, sono 41 le brigate mediche, presenti in 25 paesi, che lavorano in maniera disinteressata, curando altri popoli, guidati dal più alto spirito solidale e umano.

Insomma la storia di Cuba è anche questa: volontariato e arte medica al servizio dei più bisognosi ovunque essi siano nel mondo e pazienza se in Europa o negli Usa lo si ignora volutamente.

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