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05/10/2015

Siria - Come muore Palmyra

L’arco di Trionfo distrutto dall’Isis (Foto: AFP)
Continua lo smantellamento di Palmyra, l’antica città romana nel deserto siriano occupata nel maggio scorso dall’Isis: i jihadisti avrebbero fatto saltare il suo famoso Arco di Trionfo, in piedi da oltre 2 mila anni. A dare l’allarme è stato questa mattina Maamoun Abdelkarim, capo del dipartimento delle antichità di Damasco. “Quella in atto – ha dichiarato all’AFP – è una distruzione sistematica della città. Ora passeranno all’anfiteatro e poi al colonnato. Vogliono raderla completamente al suolo”.

Il triste destino del sito, conosciuto in passato come “la sposa del deserto” – è stata per centinaia di anni una fiorente città commerciale, tappa obbligata delle carovane dirette verso la costa del Mediterraneo – è cominciato ben prima dell’occupazione da parte dell’Isis lo scorso maggio: situata a 240 km a nord est di Damasco, dall’inizio della guerra Palmyra ha visto sparire a poco a poco le sue statue, i suoi mosaici e altri oggetti ancora nascosti nella sabbia. Non dalle bombe, ma dai trafficanti di antichità.

Anche le bombe lanciate dall’aviazione siriana contro le formazioni di ribelli nelle vicinanze del sito, a nel centro di Tadmur, avevamo contribuito ad alcuni danneggiamenti. Con l’invasione del cosiddetto Califfato, già autore di numerose distruzioni di siti preislamici in Iraq, gli antichi edifici di Palmyra sono stati invece minati; poi i miliziani hanno fatto saltare il tempio di Bal, fiore all’occhiello della città, e il santuario di Bal Shamin. Ora è toccato al famoso Arco di Trionfo, uno dei simboli del sito archeologico. Un modo, dicono gli esperti, per attirare nuove reclute nella lotta a tutto quello che viene considerato idolatro, ma soprattutto per finanziare le casse del Califfato con i proventi del contrabbando di antichità.

L’associazione archeologica siriana ha recentemente denunciato il saccheggio, il danneggiamento e la distruzione di oltre 900 tra siti archeologici e monumenti nei quattro anni di guerra civile. Oltre a Palmyra, che prima del conflitto veniva visitata da oltre 150 mila turisti l’anno, la distruzione interessa la città vecchia di Aleppo con il suo suq millenario, le città morte della piana tra Aleppo e Hama, i castelli crociati situati vicino alla costa e l’anfiteatro romano di Bosra, quasi al confine con la Giordania.

Due anni fa un reportage del Washington Post svelava come una rete di siriani e libanesi stanziati a Majdal Anjar, punto di confine tra i due paesi, smerciasse i tesori archeologici trafugati da Palmyra, Apamea e da altri siti del deserto siriano a compratori di Israele, Europa e Stati Uniti. I proventi erano destinati all’acquisto delle armi per l’Esercito Libero Siriano. Ora è l’Isis a servirsi dei tesori archeologici nei territori da lui conquistati. Maamoun Abdulkarim ha esortato più volte la comunità internazionale a “trovare un modo per salvare Palmyra”, ma a quanto pare i raid di tutti gli attori stranieri impegnati sul campo ufficialmente nella distruzione dello Stato Islamico – Usa, Russia, Francia e Gran Bretagna – si concentrano altrove.

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