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06/01/2020

Per il Diritto Internazionale l’azione di Trump configurabile come atto criminale e terrorista

di Luca Cellini

È ormai argomento di cronaca internazionale e oggetto di discussione l’uccisione del generale Qassem Soleimani avvenuta alle prime luci dell’alba del 3 gennaio 2020 quando il maggiore generale Soleimani è stato assassinato sotto il fuoco di un attacco statunitense all’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq. Assieme a Soleimani sono rimaste uccise altre 7 persone fra cui il capo delle Forze di Mobilitazione Popolare sciite irachene Abu Mahdi al-Muhandis. L’operazione è stata ordinata direttamente dal presidente statunitense Donald Trump, dopo conferma della CIA, senza nemmeno avvisare il Congresso statunitense.

Qassem Soleimani era il potentissimo leader delle Guardie rivoluzionarie di Teheran, Soleimani era il viceré dell’Iraq, della Siria, del Libano e di Gaza, l’uomo più temuto del Medio Oriente, operava al diretto servizio della Guida Suprema Ali Khamenei e aveva funzioni operative da generale, da capo delle azioni clandestine, da direttore dei servizi segreti e da ministro della Difesa e degli Esteri.

Non è però obbiettivo di questo articolo entrare nel merito a chi fosse o non fosse il generale Soleimani e tantomeno su cosa abbia o non abbia rappresentato nell’area mediorientale, visto che le opinioni generali sono varie e discordanti, come sempre accade d’altronde all’interno di un conflitto e con interessi e posizioni da difendere da una o dall’altra parte, alcuni lo definiscono una grande figura carismatica, un eroe o addirittura una leggenda, altri ancora lo definiscono non certo un santo, un uomo di guerra, sì, ma anche colui che aveva organizzato la strategia e condotto le numerosissime operazioni che di fatto hanno fermato e sconfitto l’avanzata dell'Isis, altri ancora lo definiscono un brutale e spietato assassino, responsabile di uccisioni di massa con la morte di migliaia di persone e oppressore dei popoli. Per questo scelgo di non andare oltre al riportare le varie opinioni che circolano su Soleimani, così come mi astengo dal riportare il mio giudizio personale che non aggiungerebbe molto, né qualificherebbe nulla almeno allo stato attuale delle cose.

Vorrei però fare una breve analisi dal punto di vista del Diritto Internazionale. L’assassinio mirato del generale iraniano Soleimani, avvenuto a Baghdad, all’interno dell’aeroporto internazionale di uno stato terzo, (l’Iraq attualmente almeno in teoria Stato sovrano con un suo Parlamento eletto) senza una situazione di straordinaria emergenza in atto né una guerra dichiarata fra gli Stati Uniti e l’Iran, per le modalità e il contesto in cui è avvenuto, per il Diritto Internazionale almeno è da considerarsi un atto criminale e terrorista, oltre che fra i gesti più sconsiderati possibili sul piano geopolitico.

Dello stesso parere, apparso in un lungo intervento su Twitter, è Agnes Callamard, un’esperta francese di diritti umani, relatrice speciale di esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie presso l’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e direttore del progetto “Global Freedom of Expression” della Columbia University: “Le uccisioni mirate di Qassem Soleimani e Abu Mahdi Al-Muhandis sono con ogni probabilità illegali e violano la legge internazionale sui diritti umani, arrivando persino a configurarsi come atto criminale”, ha dichiarato l’addetta dell’alto commissariato per le Nazioni Unite.

“Le giustificazioni che possono legittimare tali omicidi, – ha spiegato la Callamard – sono definite in modo molto restrittivo e puntuale, ed è difficile immaginare come uno di questi motivi possa essere applicato a questi omicidi operati per ordine di Trump. Nella dichiarazione del Pentagono rilasciata dopo l’azione omicida, si afferma che l’obbiettivo di colpire Soleimani è arrivato per ordine del presidente come un modo per “dissuadere i futuri piani di attacco iraniani”. La Callamard ha affermato che “tale ragionamento non regge secondo le regole e i principi del Diritto Internazionale.”

“Il futuro ipotetico non è lo stesso di un pericolo imminente, che è il principio basato sul tempo richiesto proprio dal Diritto Internazionale per poter giustificare di colpire un determinato obiettivo – ha detto la Callamard, spiegando inoltre che – “Un’azione mirata ad uccidere nel diritto internazionale, può essere giustificata solo se è strettamente necessaria a proteggersi da una minaccia imminente di pericolo di vita. Il coinvolgimento in passato di un individuo in attacchi terroristici, come giustificato da Trump, non è sufficiente a rendere legittima la motivazione per l’uccisione” – così come – “la dichiarazione del Pentagono che pone maggiore enfasi su attività pregresse e violazioni attribuite a Soleimani è del tutto insufficiente come motivazione.”

“Da questo punto di vista, l’uccisione pare invece più un’azione di rappresaglia per il passato che un’azione anticipatoria di autodifesa. Il riferimento al fatto che Soleimani stesse 'attivamente sviluppando piani d’attacco' è curioso dal punto di vista semantico così come da quello militare: è sufficiente forse per corrispondere ai criteri di necessità e proporzionalità?” – chiede la Callamard nel suo intervento – “Il concetto della cosiddetta azione anticipatoria di autodifesa è molto rigoroso: deve sussistere una necessità ‘istantanea, schiacciante e che non lasci alcuna scelta di mezzi e alcuno spazio per prendere decisioni’.

Estremamente difficile che ciò si possa applicare in casi del genere. In altre parole, chi ha compiuto l’attacco dovrebbe dimostrare che le persone prese di mira costituivano un’imminente minaccia verso sé o altri. Il pregresso coinvolgimento di una persona in azioni di ‘terrorismo’ non è sufficiente a rendere legale la sua uccisione”.

“In tal senso – prosegue la relatrice per i Diritti Umani – la dichiarazione del Pentagono non menziona le altre persone uccise insieme a Soleimani. Danni collaterali? Probabile. Un atto illegale? Assolutamente sì” – ha concluso l’esperta di Diritto Internazionale dell’Alto Commissariato ONU nel suo articolato intervento.

Quel che appare certo, perché da lui stesso dichiarato e poi ribadito, è che l’operazione è stata autorizzata direttamente dal presidente Trump, cosa che alza ulteriormente il livello di criminalità della condotta internazionale di Washington e, nel contempo, fa aumentare in maniera vertiginosa il rischio di una conflagrazione senza precedenti nella regione mediorientale.

Stando strettamente sul piano giuridico, aver dato l’ordine dell’assassinio di Qassem Soleimani mette il Presidente Trump nel poco invidiabile ruolo di criminale internazionale. Sì, perché è un crimine internazionale riconosciuto dall’ONU stesso e perseguito dalle varie Corti Internazionali far uccidere il numero 2 di un Paese con il quale non si è in guerra. Per il Diritto Internazionale questo atto equivale senza se e senza ma, ad una azione di terrorismo puro e semplice, da condannare e perseguire penalmente ai termini della legge internazionale del Diritto.

Se analizziamo la questione da un punto di vista geopolitico, Donald Trump, la sua amministrazione, il governo in carica, le Forze Militari USA, i Servizi Segreti, e lo Stato americano, con questa operazione hanno deciso di aprire il nuovo decennio nel peggiore dei modi possibili. Tutto questo all’interno di un contesto geopolitico, come quello mediorientale che a fatica stava ritrovando una forma di precario equilibrio e una strada di disinnesco dal conflitto.

L’assassinio di Soleimani in questo contesto è dunque un atto totalmente irresponsabile che, non solo mette a serio e oggettivo rischio d’incendiare tutta l’area, con conseguenze che aggiungerebbero morti ai morti e ancora nuove catastrofi umanitarie. Ma dimostra anche come fra le potenti forze all’interno del governo e dell’apparato militare degli Stati Uniti, le stesse che consigliano Trump, così come tra i loro alleati mediorientali, ci sia una precisa intenzione di andare verso uno scontro militare diretto e frontale contro l’Iran.

Una volontà di entrare in aperto conflitto che si è manifestata in molti modi, già a partire dal ritiro statunitense dal cosiddetto accordo 5+1, stipulato a più mani sul nucleare iraniano. In quell’occasione Trump fu “consigliato” dai suoi consiglieri, e caldamente invitato ad abbandonare l’accordo sotto le pressioni dei reali sauditi di Ryad e del governo di Tel Aviv. Intenzione del tutto ostile verso Tehran che si è poi manifestata ancora intensificando e imponendo embarghi e sanzioni verso l’Iran.

Embarghi e sanzioni che su fortissima pressione dell’alleato atlantico, sono stati applicati in seguito da tutti i vari paesi europei. Tutto questo ha prodotto un’ulteriore isolamento dell’Iran, estremizzandone le posizioni, impedendone anche il rafforzamento dell’economia, e garantendo così pure la predominanza del petrolio saudita, di modo da lasciarlo privo di una possibile concorrenza da parte di un paese “ostile”, visto nella Repubblica iraniana.

L’intenzione seria di scatenare una nuova grande guerra mediorientale che potrebbe dilagare anche oltre, pare ancora più evidente alla luce delle varie dichiarazioni rilasciate dai vari attori presenti sullo scenario internazionale. Dove, da una parte si vede Trump gettare altra benzina sul fuoco nelle successive dichiarazioni rilasciate, le quali appaiono più minacce da boss mafioso durante un regolamento di conti, che dichiarazioni di un Capo di Stato.
Proclami, i suoi, che risaltano ancora di più come ostili e provocatori, se messi a confronto con l’invito alla calma e al ragionare da parte di Cina e Russia, ma anche quelle che esprimono seria preoccupazione da parte dell’Europa, solitamente prona e totalmente allineata al potente alleato transatlantico.

In queste ultime ore sono apparse anche ipotesi di un possibile e diretto coinvolgimento dell’Italia in questo attacco operato dalle forze statunitensi: diversi comitati antimilitaristi ventilano la possibilità che il missile usato per colpire Soleimani possa provenire direttamente dall’arsenale di armi situato presso la base di Camp Darby a Livorno, trasportato via nave fino all’aeroporto militare Nato nella base di Sigonella, armato sopra un drone controllato attraverso il centro operativo MUOS di Niscemi. Una simile ipotesi aprirebbe anche un fronte di fortissima preoccupazione per il territorio italiano e per l’uso delle basi Nato presenti in Italia, in vista di un possibile conflitto armato diretto fra USA e Iran.

Non ci va giù sottile ad esempio il Generale Franco Angioni, ex comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e prima ancora del contingente italiano in Libano, che ha dichiarato: “L’azione che ha portato all’uccisione del generale Soleimani, soprattutto se ordinata direttamente, dal presidente degli Stati Uniti, ha purtroppo il sapore di un atto che nella nostra cultura deteriore definirei ‘mafioso’. Quello commesso dal capo della Casa Bianca è un gravissimo errore strategico le cui conseguenze, in termini di sicurezza, cadranno addosso alla comunità internazionale, e dunque anche all’Europa, e all’Italia. Esprimo una grande preoccupazione. È alquanto probabile che l’azione condotta dalle forze statunitensi comporti conseguenze molto dannose per la gestione della già difficile situazione mediorientale”.

Rincara la dose Bernie Sanders che ha affermato: “La pericolosa escalation di Trump ci porta più vicini ad una nuova guerra disastrosa in Medio Oriente che potrebbe costare un numero infinito di vite umane ed altri trilioni di dollari”. Anche sul fronte democratico l’azione non ha riscosso l’approvazione, imputando a Trump di non esser nemmeno passato dall’approvazione del Congresso e di “aver gettato un candelotto di dinamite dentro una polveriera”.

Una strategia quella degli USA che cerca in tutti i modi di alzare il livello del conflitto per colpire la Repubblica Islamica Iraniana, ma che rischia seriamente di ritorcersi contro la stessa Casa Bianca. Proprio nel contesto iracheno, infatti, l’uccisione di Soleimani potrebbe fare esplodere definitivamente le frustrazioni diffuse tra la società e una parte significativa della classe dirigente irachena, con conseguenze tutt’altro che favorevoli per Washington.

Il rischio più serio è l’innesco di una nuova guerra civile dentro l’Iraq che avrebbe conseguenze disastrose per tutti, addirittura per il contingente americano stesso di stanza in Iraq. Il risultato finale potrebbe essere infine una mobilitazione del paese mediorientale contro la stessa presenza militare americana sempre più percepita come vera e propria forza d’occupazione. Dopo la morte di Soleimani, infatti, il premier Mahdi ha definito il raid niente meno che una “aggressione” contro l’Iraq e una “seria violazione” delle condizioni che regolano la presenza USA nel suo paese.

La prima conseguenza pratica ottenuta è la convocazione d’urgenza del Parlamento di iracheno per discutere di una possibile delibera parlamentare per l’espulsione del contingente militare USA dal paese. A muovere la richiesta il forte timore dell’eventualità sempre più probabile di un conflitto tra USA-Iran, il timore è che tale conflitto possa venir combattuto anche all’interno dei confini iracheni.

Per tutta risposta gli Stati Uniti per bocca del loro portavoce alla difesa fanno sapere che si pensa a un nuovo invio di altri 3.500 soldati americani all’interno dell’Iraq.

Ad ogni modo già adesso, all’orizzonte si prospetta una nuova complicatissima occupazione da parte degli Stati Uniti per potere utilizzare l’Iraq come base di una possibile guerra contro la Repubblica Islamica.

Nel frattempo, tutte le più alte cariche dirigenziali iraniane hanno annunciato misure durissime e proporzionate al crimine commesso dagli USA. “Il sangue di Soleimani sarà vendicato”. Queste le parole usate questa mattina dal presidente iraniano Hassan Rohani nel corso di un incontro con i familiari del generale ucciso.

Gli iraniani tra le varie controreazioni all’assassinio di Soleimani potrebbero decidere di colpire Israele per rappresaglia, riprendere il programma nucleare, ma anche di mettere nel mirino le petroliere nello stretto di Hormuz dal quale passano 22,5 milioni di barili di petrolio al giorno. Intanto il prezzo del greggio ha raggiunto in poche ore i massimi livelli da mesi.

Non resta che sperare, nonostante la fortissima provocazione e l’accerchiamento a cui gli Stati Uniti stanno sottoponendo l’Iran, che prevalga la calma e il ritorno alla ragionevolezza, come chiesti da molti paesi, primi fra tutti Russia e Cina che in queste ore sul fronte diplomatico cercano di gettare acqua sul fuoco appiccato da Trump, che ragionevolezza purtroppo pare proprio non averne.

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