La questione è stata sempre presente in ogni dibattito intorno a una possibile composizione del conflitto ucraino, anche se sui giornali ha attirato molto di più l’attenzione il possesso di qualche chilometro quadrato. Ma proprio in questi giorni il nodo degli asset russi congelati dai paesi occidentali è tornato all’attenzione generale, per quel che si è detto a Bruxelles e per la risposta di Mosca.
Nel recente discorso sullo Stato dell’Unione, Ursula von der Leyen ha espresso una volontà chiara: “dobbiamo lavorare urgentemente a una nuova soluzione per finanziare lo sforzo bellico dell’Ucraina sulla base dei beni russi immobilizzati”. Non la confisca, per ora esclusa anche dalla presidente della Commissione UE, ma un salto di qualità nell’utilizzo degli asset contro la stessa Russia.
Ricordiamo che, concretamente, si sta parlando di circa 300 miliardi di beni, di cui la maggior parte è gestita dalle società di servizi finanziari Euroclear (Belgio) e Clearstream (Lussemburgo). Il G7 aveva già deciso, lo scorso ottobre, di utilizzare i “proventi straordinari” generati da tali asset per finanziare un prestito da 50 miliardi di dollari a Kiev.
Lo scorso maggio si era pure arrivati ad alcune indiscrezioni secondo cui Euroclear, detentrice di circa due terzi dei beni russi, era pronta a distribuirne l’equivalente di 3 miliardi ad investitori occidentali che avevano subito perdite legate alla guerra ucraina. Con l’Ucraina stessa che aveva storto il naso, considerando di diritto quei fondi e i loro proventi come propri.
A fronte di tali notizie, questa volta il Cremlino ha deciso di rispondere in maniera più articolata, facendo capire di poter ripagare con la stessa moneta l’Occidente. L’agenzia statale di informazione Ria Novosti ha infatti pubblicato una dettagliata analisi che individua circa 285 miliardi di assets di proprietà occidentale in Russia, di cui 238 sarebbero legati alla UE.
Già a gennaio 2024 era stata fatta una valutazione simile, ma è evidente che ora i dati sono stati studiati più approfonditamente. Il giornale economico russo Kommersant ha calcolato che la Francia ha in Russia 21,7 miliardi, la Germania 19,2, i Paesi Bassi 20,8, l’Italia 12,6, e altri paesi dell’UE circa 11,5 miliardi. Il Regno Unito si ferma a soli 3 miliardi.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono il maggiore investitore del G7 in Russia, al di fuori del Vecchio Continente: sono stimati 7,7 miliardi di dollari. Seguono Giappone (4,8) e Canada (3,9). Ma sempre Kommersant sottolinea come il volume effettivo dei fondi da congelare possa essere di gran lunga maggiore, dato che alcune informazioni su determinati tipi di conti non vengono pubblicate.
Rimane il nodo Cipro. All’isola del Mediterraneo andrebbero fatti risalire ben 145,4 miliardi di dollari dei beni citati da Ria Novosti. Cipro è stata la porta d’accesso al mercato comunitario per molte società russe, e dunque, in realtà una parte significativa di tale somma potrebbe essere a tutti gli effetti appartenente a investitori russi.
Allo stesso tempo, Nicosia ha congelato sul proprio territorio solo 1,9 miliardi di dollari. Inoltre, il Cremlino ha proceduto, dal febbraio 2022, alla nazionalizzazione di vari asset, stranieri e non, per un valore di circa 50 miliardi di dollari. Il messaggio è chiaro: la Russia è pronta a ripagare con la stessa moneta l’Occidente, nel caso si avventurasse sulla strada della confisca.
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