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16/05/2024

Governo Meloni in crisi sul “bonus”, regge solo grazie a Renzi

È sempre sul debito pubblico e l’austerità europea – inscritta nel Patto di stabilità, da oltre 20 anni – che i governi “politici” si sfasciano, a prescindere dalla composizione o dal “colore”. Era accaduto a Berlusconi, è successo con tutti i successori (meno ovviamente i governi “tecnici”, che da quel Trattato venivano imposti per mantenere la rotta stabilita a Bruxelles).

E sul debito il sempre meno leghista Giorgetti ha tirato fuori l’arma “fine di mondo” che prelude sempre a una crisi verticale: “o sul bonus edilizia si fa come dico io, o vi trovate un altro ministro”.

Nell’attuale architettura dei poteri nazionali, visto che la politica estera e militare è stata ormai sussunta dalla Nato, quello dell’economia è l’unico ministero che conti. Non come capacità decisionale autonoma, ma come cartina tornasole dell’obbedienza di un paese al Patto di Stabilità e quindi alla Commissione Europea.

Cambiare ministro ha senso solo se si cambia politica di bilancio. Ma in quel caso parte immediatamente il segnale ai “mercati”, lo spread si impenna, il costo del debito pubblico anche, e alla fine il nuovo esecutivo si deve arrendere. Chiedete a Tsipras per conferma...

Il punto di frizione sembrava in fondo minimo: spalmare su 10 anni anziché su soli quattro i crediti fiscali vantati dalle imprese che avevano effettuato i lavori “scontati al 110%”, oppure che li stanno completando. La mossa però aveva parecchie controindicazioni. Dal unto di vista legislativo, implica una retroatttività che va a toccare “diritti acquisiti” (delle imprese, per l’incasso, e dei proprietari di immobili per lo sconto).

Va anche a toccare gli interessi delle banche, che vedrebbero rientrare molto più lentamente la liquidità anticipata per i lavori.

Il tutto a parziale beneficio dei conti pubblici, meno zavorrati nei prossimi quattro anni (ma più appesantiti per quelli successivi).

Forza Italia ha provato ad alzare le barricate, ma il resto del governo ha trovato ancora una volta in Matteo Renzi il “soccorso nero” per far passare la riscrittura della norma in Commissione Bilancio. Prima il governo ha spostato un fedelissimo della Meloni in questa Commissione, per aumentare il peso della maggioranza favorevole. Poi, non riuscendo comunque ad avere la certezza matematica del successo, ha chiesto e facilmente ottenuto l’aiutino del frillo di Rignano.

Partita chiusa, per ora. La spalmatura su dieci anni passa in Commissione e quindi ancora più facilmente in Aula.

Ma la ferita resta e dopo le europee si vedrà come le contraddizioni interne alla maggioranza di governo continueranno ad aggravarsi.

Del resto, tra le promesse elettorali, le chiacchiere in libertà (tipo “i salari sono diminuiti per colpa dell’euro”, invece che per le politiche di governi criminali con il lavoro), e il tentativo di scaricare sempre le responsabilità sui governi precedenti, è sempre più difficile presentare all’elettorato – anche il più credulone – un bilancio positivo.

E l’opposizione sociale va muovendo anche i sui primi passi con molta serietà. Ci vediamo in piazza il 1 giugno, contro il governo Meloni, “reazionario, padronale e guerrafondaio”.

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