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20/01/2014

La democrazia autoritaria di Renzi, Berlusconi, Cgil, Cisl e Uil: riflessioni sulla rappresentanza

Proponiamo due articoli che trattano il tema della rappresentanza. Il primo, di contropiano.org, che fa la cronaca dell'incontro tra Renzi e Berlusconi e ne delinea i termini dell'intesa.

Link: Renzi e Berlusconi per eliminare la "rappresentanza"

Il secondo invece di Militant che fa una riflessione sul concetto di rappresentanza, sia politica che sindacale, e il passaggio verso le "democrazie autoritarie".

Link: La scomparsa della rappresentanza nell’epoca della democrazia autoritaria

Interessante anche il passaggio, come risposta ad un lettore, dove viene scisso il problema elettorale da quello della rappresentanza e che riportiamo di seguito.

Il problema elettorale e quello della rappresentanza c’entrano molto poco fra loro. La loro equiparazione è frutto del dibattito tossico di questi anni, dove rappresentanza ha finito col coincidere col momento della delega elettorale verso dei partiti ormai svuotati da ogni rapporto reale con la base militante.
Porsi oggi il problema della rappresentanza significa porsi il problema dell’organizzazione, di come delle strutture politiche escano dal loro perenne stato di minorità organizzativa per trasformarsi in strutture capaci di raccogliere il dissenso sociale espresso nelle mille vertenze di questi anni e trasformarlo in opzione politica.

L’attacco concentrico, da destra e da sinistra, verso la “forma partito”, avvenuto in questi anni senza nessuno che potesse controbattere che un conto è la critica agli attuali partiti politici, un altro è la teorizzazione della necessità della scomparsa delle organizzazioni politiche perché ormai obsolete, ha portato dunque ad identificare il concetto di rappresentanza con quello di elezioni. E invece la rappresentanza è una questione che pervade ogni forma d’organizzazione, che attraversa verticalmente e orizzontalmente ogni relazione politica. Ogni struttura politica deve fare i conti con la rappresentanza, con una propria divisione dei compiti, con una divisione dei ruoli, con una struttura gestionale efficace, e via dicendo. E questa strutturazione non è altro che “il partito”, inteso in senso storico. E cioè può cambiare forma, nome, obiettivi; può modellarsi alle ragioni della modernità, adeguarsi alle innovazioni storiche, sociali, culturali, ma sempre quello rimane. È d’altronde il percorso di tutti quei movimenti che evolvono in qualcosa di più organizzato. Paradossalmente, soprattutto di tutti quei movimenti che a parole dicono di rifiutare ogni discorso organizzativo: il più delle volte, una rappresentanza rifiutata a parole si trasforma nell’elites politica che governa il movimento con meccanismi informali e determinati dalle relazioni umane e dalla capacità di questo o quel leader di affermarsi all’interno di un collettivo.

Ecco, rispetto a tutta questa discussione, forse sarebbe stato meglio arrivarci con un percorso teorico già affrontato, metabolizzato, problematizzato. Non rifiutando un concetto che nei fatti si ripropone in forme deteriorate e meno gestibili di un tempo. Perché anche nel più libertario dei movimenti organizzati, ci sarà sempre qualcuno che si farà rappresentante delle ragioni di quel movimento, si farà portavoce degli interessi politici di quella collettività di persone, accentrerà cioè su di sè la rappresentanza di determinati interessi. Non discutere le modalità di questo processo di rappresentanza non impedirà la sua affermazione, ma ne rallenterà solamente la sua regolazione democratica di un processo insito in ogni forma organizzativa (anche non politica).

In sintesi: dimmi un movimento che non ha i suoi rappresentanti. Come sono stati scelti? Sono stati scelti o si sono imposti nel corso del tempo fra coloro che avevano più tempo a disposizione per farsi 20 assemblee a settimana? Si sono affermati per le loro qualità politiche o perché più interessati ad ascoltare la loro voce nelle centinaia di inutili assemblee, molte volte convocate da chi desiderava un uditorio per i propri discorsi? Qual è il processo per cui vengono eletti, nominati, accettati o sopportati tali dirigenti? Se dunque tali dirigenti ci sono, perché non discutere le modalità con cui vengono posti in quel ruolo? E le modalità con cui possono essere revocati se non più funzionali al movimento di classe nel suo insieme?


Redazione - 19 gennaio 2014

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