Il generale Abdel Fattah al-Sisi |
I
risultati del sondaggio, eseguito tra il 27 febbraio e il 4 marzo su un
campione di 2.062 intervistati di età superiore ai 18 anni, hanno
evidenziato alcuni aspetti interessanti sebbene non sorprendenti.
L’affluenza alle urne dovrebbe essere molto alta intorno all’83% (81%
nei governatorati urbani, 79% nell’Alto Egitto). La percentuale di
coloro che non intende votare tra i giovani fino ai 30 anni è il doppio
rispetto a quella degli intervistati che hanno una età superiore ai 30.
Dunque
ennesima conferma che il Generale ha la vittoria in pugno. L’unica
domanda da porsi è solo quando arriverà l’ufficialità della sua
candidatura. O, posta in un modo diverso, è perché tarda ad arrivare. Al
momento al-Sisi non si è dimesso dalla carica militare, non ha
ufficializzato la sua partecipazione elettorale né ha affrontato
pubblicamente il tema preferendo dribblare l’argomento.
Ciononostante, la stampa locale e gli analisti internazionali continuano
a considerare la sua candidatura certa, un suo annuncio imminente e già
ne celebrano il trionfo. Il Generale, del resto, ha già incassato il
sostegno delle Forze Armate e poster con la sua fotografia fanno ormai
parte dell’arredo urbano del Paese.
Ma se appare certo primo o poi il suo annuncio, regna ancora incertezza su quanti lo sfideranno. Alcuni “big” si sono defilati. Il leader di “Egitto Forte”, Abdel Moneim Futuh, ha detto che non gareggerà. A defilarsi è stato anche l’ex Capo di Stato Maggiore, Sami Annan.
La scorsa settimana Annan ha sciolto gli ultimi dubbi affermando che la
sua decisione deriva dal bisogno di dare “priorità al bene nazionale,
alla comprensione dei pericoli che incombono sul Paese e i complotti
orditi contro lo stato”. In poche parole non interferire con la giunta
militare.
Domenica poi è stato il turno dell’avvocato Khaled Alì. In una conferenza stampa tenuta presso il sindacato della stampa, Alì ha detto che non parteciperà alle presidenziali “farsa” dove “già si conosce il nome del vincitore”.
Un chiaro riferimento ad al-Sisi, il vincente taciturno. “Vogliamo una
vera democrazia, non ci prendete in giro, finitela con questo show” ha
attaccato l’avvocato. La sua posizione è chiara e netta: “noi non
prenderemo parte ad alcun accordo né saremo parte del vostro
spettacolo”. Alì ha fortemente criticato la legge elettorale e
l’atmosfera politica generale che si respira in Egitto. Secondo lui
questi due fattori non permettono il regolare svolgimento delle
elezioni.
Alì ha poi affrontato anche lo scottante tema della separazione tra esercito e politica.
“Come politici – ha affermato – possiamo essere in disaccordo ed
entrare in conflitto ma non possiamo permettere che l’esercito sia parte
di questo conflitto perché ciò metterebbe a rischio non solo
l’istituzione militare ma tutti noi”. In pratica per Alì i militari
devono stare fuori dalla politica e limitarsi al loro campo. Ma, ha
voluto precisare, come la battaglia che intende portare avanti non sia
contro l’esercito ma contro coloro che cercano di ottenere vantaggi
personali. Non sembra difficile immaginare che ancora una volta nella
mente dei presenti sarà venuto in mente il vincente taciturno.
Per
ciò che concerne la legge elettorale Alì ha evidenziato come essa
permetta di iniziare la campagna elettorale solo dopo che la lista
finale dei candidati è stata pubblicata. Ciò, in pratica, vuol dire dar
meno di 20 giorni a ciascun candidato per effettuare la propria campagna
elettorale.
Ad avvelenare il clima è per Alì anche la “legge sulle proteste”,
approvata pochi mesi fa dal governo e che ha portato all’arresto di
migliaia di manifestanti. Dunque Alì si tira fuori dai giochi? No,
niente affatto. La sua scelta non è un ritiro dalla vita politica. Su
questo punto è stato chiaro. Anzi, ha evidenziato come rispetto agli
altri due schieramenti rappresentati dai militari e dal blocco della
variegata opposizione guidata da Sabbahi, egli costituisca una “terza
via” che pone come priorità la giustizia sociale.
Chi non prenderà parte alle presidenziali è anche il Presidente ad interim Mansour. La conferma è arrivata ieri durante una intervista con la CBC. Mansour ha anche aggiunto, non senza un pizzico di orgoglio, che “l’Egitto sta meglio rispetto all’inizio della fase di transizione”.
Una
dichiarazione discutibile quella del Presidente. Quanto meno fuori
luogo visto il clima che si respira in Egitto. La violenza e la
repressione confutano la sua affermazione e mostrano quanto sia
affrettata la sua tranquillità. Gli arresti sono all’ordine del giorno,
il sangue scorre senza sosta. Sabato cinque poliziotti sono stati uccisi
da uomini armati. “Sono stati i terroristi della Fratellanza” ha subito
gridato il Cairo. Poco importa se il movimento aveva subito preso le
distanze dall’attacco. Sì perché nell’“Egitto migliore” di Mansour non è
importante dimostrare la colpevolezza quando il “nemico” è già pronto all’uso e si chiama dissenso.
Domenica
cinque bombe sono state trovate nei pressi di una scuola a Talebeya a
Giza e detonate dagli artificieri. Il Sinai continua ad essere di fatto
una regione in mano a bande di islamisti che fanno il bello e il cattivo
tempo nella penisola per poi spingersi all’interno del Paese a mietere
vittime. In questo clima di tensione, violenza e paura, continuano senza
sosta gli arresti. Due giorni fa le Forze Armate hanno catturato 17
“terroristi” a Sheykh Zuwayed e Rafah nel nord del Sinai dove, solo lo
scorso mese, 112 miliziani sono stati uccisi o feriti in raid militari.
L’esercito ha anche arrestato 69 persone sospettate di essere affiliate
del gruppo estremista Ansar Beit al-Maqdes, autore di diversi attacchi a
militari e forze di polizia. Accanto a questi dati si aggiunga la
criminalizzazione dello straniero – soprattutto se palestinese – e il
recente bando di Hamas perché legata ai “terroristi” della Fratellanza.
Sì, ha ragione Mansour, è proprio un “Egitto migliore”.
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