Come si sa, a meno di non essere in
preda ad una delle tante forme esistenti di complottismo, non esistono
governi organici. Ogni governo è, dal punto di vista politico, un
incrocio di complessità e di instabilità, di imprevisti che ritroviamo,
in sottofondo, anche nelle dittature. Il governo Renzi sembra proprio, nonostante il marketing, essere fin troppo attraversato da complessità e instabilità,
per non parlare degli imprevisti. Non solo: non è neanche chiaro,
probabilmente nemmeno allo stesso Presidente del Consiglio, quanti
governi Renzi effettivamente esistano. Intanto ce ne sono già due dal
punto di vista delle politiche economiche e comunitarie.
Esiste un governo Renzi, con Padoan Ministro dell’Economia,
ortodosso dal punto di vista dell’austerità e dei tagli, attento alle
indicazioni di Bruxelles e di Francoforte. E anche con una prospettiva
macroeconomica basata tutta su produttività ed export, modello che
comincia a vacillare anche in chi lo propone (la Germania, l’unico paese
che avrebbe gli strumenti per un’inversione di modello verso
l’allargamento del mercato interno).
Ma c’è anche un governo Renzi
che, poche settimane fa, prima della formalizzazione dell’incarico, ha
fatto sobbalzare le prime pagine di qualche giornale tedesco a causa
delle dichiarazioni, rimaste inosservate in Italia, sullo sforamento del
3% del deficit. È lo stesso governo Renzi che è stato lanciato
dal Financial Times, con tanto di articoli di columnist prestigiosi,
nella speranza che il rigore tedesco, grazie all’Italia, si rompa non
solo in Germania in sinergia con la ripresa, quella drogata dalle
politiche della Federal Reserve, degli Stati Uniti. Quindi ci sono
almeno due governi Renzi, per non parlare del terzo, quello che deve
mediare tra i due. E per non parlare di quello che non contenta certo
Confindustria con le conferenze stampa “mille euro in mano”, piuttosto
che un decreto di riduzione dell’Irap, che magari avranno effetto
elettorale ma nessuno macroeconomico, salvo deprimere l’economia con i
tagli alla spesa ai quali preludono.
Oppure c’è il governo Renzi a cui applaude Confindustria,
che ha intrapreso una nuova politica (questa sì per decreto), di
allargamento del periodo di apprendistato. Preludendo ad una nuova
stagione di precarizzazione del lavoro e di compressione del salario che
anche a livello mainstream è conosciuta come causa dell’abbassamento
della produttività. Già, si guardi a questo lavoro (a livello Ocse non su Battaglia Comunista) dove
si dimostra come sia proprio la precarizzazione del lavoro, con misure
alla Jobs Act, alla base del tanto deprecato decremento di produttività
in Italia.
Insomma, una stroncatura, basata su dati
1995-2008, delle politiche Prodi I, sulla precarizzazione del lavoro, e
Prodi II, riduzione del cuneo fiscale, che oggi vengono reiterate, dal
tipo di governo Renzi che piace a Confindustria, in attesa del prossimo
fallimento a livello macroeconomico. Quello di cui si occuperanno, come
al solito, Repubblica, Unità, Tg 7 per il restyling successivo degli
assetti di potere. Bisogna poi capire, dal punto di vista stretto degli
schieramenti parlamentari, quale governo Renzi sia egemone. Quello del
Pd che, finalmente, esprime il segretario al governo dell’esecutivo?
Quello che dipende dal nuovo centrodestra di Alfano? Quello delle intese
esplicite, ed esplicitate, con Berlusconi? C’è poi un governo Renzi,
quello che deve rispondere, di quello che fa, ai sindacati secondo le
fantasie di Camusso e Landini. Ma qui siamo su un piano di antimateria
che non ha nulla a che fare con la politica.
I molti governi Renzi, complessi
e instabili, devono quindi fare i conti con gli scogli reali: quello
tedesco e quello rappresentato dalla Bce. Il primo parla via
Napolitano e via Padoan, non solo affossatore dell’Argentina ma, a suo
tempo, difensore dell’ortodossia dell’austerità tedesca persino contro
l’FMI. Il secondo invece parla da sé, vedi il comunicato della Bce che
boccia pubblicamente, come politica dai progressi “intangibili”, le
renzinomics. Il timore della Bce è evidente: quello di trovarsi un
governo, di minor peso politico ed economico rispetto alla Francia, che
un giorno trovi la voglia di giocare, anche in solitario, a sforare i
parametri di deficit e debito per favorire i propri interessi (e quelli
degli investitori che glielo suggeriscono). Per quanto i governi Renzi
contino meno di Hollande, il comportamento troppo libero dell’Italia,
che imbarca debito pubblico come una catinella fa con l’acqua piovana,
potrebbe portare un sovraccarico di problemi a una governance della Bce
che è più delicata di quanto comunemente si pensi.
La risposta del governo Renzi, o
di uno dei tanti governi Renzi, alla Bce è chiara: i sacrifici verranno
fatti ”non perché ce lo chiede l’Europa ma per le future generazioni”.
Questo significa che, almeno nel nucleo duro della maggioranza renziana
del Pd, prima o poi si pensa di sciogliere gli equivoci specie con
Padoan e, per il “bene delle generazioni future”, si aprirà qualche
conflitto con “l’Europa”. Di quelli che servono a chi scommette,
finanziariamente ed economicamente, su Italia vs. Germania, che nessuno
si faccia illusioni di sinistra.
Del resto, capacità di maquillage di Renzi a parte, i numeri parlano chiaro. La
spending review, per bocca del suo stesso commissario, più di 3
miliardi di “risparmi”, del resto depressivi per l’economia, per il 2014
non si riesce a fare. È altamente improbabile che la stessa
spending review generi tagli sette volte tanto nel 2015 e dieci volte
tanto nel 2016 (come da previsione del governo, per bocca dello stesso
Renzi). Più semplice che si arrivi al conflitto tra le varie anime del
governo, rinviandolo, sotto la forma di previsioni ottimistiche sui
tagli, a tempi più adatti.
Per adesso ci sono quindi troppi governi Renzi perché possa davvero guadagnarci, e tanto, qualcuno in particolare.
Saranno contenti i weberiani e renziani allo stesso tempo. Magari
qualcuno, come il finanziere Serra grande sponsor di Renzi, ha collocato
con profitto i Btp. Ma al momento non si intravede nessuno in grado di
fare il grande affare con il governo. Come fece il gruppo Berlusconi
che, con l’entrata in politica, ha letteralmente rovesciato, e in
positivo, il rapporto tra debiti e crediti. Ma per adesso nessuno sembra
fare il grosso, grasso affare con il governo Renzi. Ci rimetterà
ovviamente una società composita, polimorfa, e ormai stabilmente
arretrata di almeno un lustro rispetto ai processi reali, come quella
italiana. E oggi, nella società dell’accelerazione, cinque anni di
ritardo sono tanti. Ma ogni società vive sempre la propria storia, fino
in fondo, e le inversioni di tendenza volano sempre, e comunque, sulle
ali di un dramma collettivo che produce tante vittime e pochi innocenti.
Per Senza Soste, nique la police
13 marzo 2014
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