I Fratelli Musulmani sono “terroristi” anche in Arabia Saudita.
L’annoso dissidio politico e dottrinale tra la casa reale wahabita e la
Fratellanza è tornato a galla con il decreto reale che ieri ha inserito
il movimento, già bandito in Egitto lo scorso dicembre, nella blacklist
delle organizzazioni terroristiche assieme al movimento sciita
libanese Hezbollah, alleato dell’Iran e di Assad, e agli estremisti
sunniti del Fronte al Nusra e dello Stato islamico dell’Iraq e del
Levante (Isis).
Inoltre, è stata vietata una lunga lista di attività considerate di
sostegno ai “terroristi”, tra cui riunioni, comunicazioni online e
raccolta fondi per i gruppi sulla “lista nera”. Un'ulteriore
stretta sulla libertà di opinione e di manifestazione, che di fatto
impedisce ogni dissenso politico, anche se espresso in maniera pacifica,
ha denunciato l’organizzazione Amnesty International.
Già un mese fa era arrivato un avvertimento da Riad ai cittadini
sauditi che in centinaia si sono uniti alla lotta armata contro il
presidente siriano Bashar al Assad, in tanti combattendo tra le file dei
gruppi jihadisti foraggiati dalla stessa petromonarchia che però ora teme il ritorno dei miliziani in patria.
Il decreto intimava ai sauditi “impegnati” all’estero (circa 1.200) di
deporre le armi e di tornare nel regno entro due settimane: chiunque sia
riconosciuto colpevole di avere combattuto all’estero o di appartenere a
una “organizzazione terroristica” rischia fino a venti anni di carcere.
L’inserimento della Fratellanza nella lista dei “terroristi”, però,
ha a che fare anche con la rottura con il Qatar consumatasi pochi giorni
fa in seno al Consiglio di cooperazione del Golfo, sorta di Nato della
Penisola arabica: Riad e i suoi due fedeli alleati Bahrein ed Emirati
Arabi Uniti hanno ritirato i propri ambasciatori da Doha. Uno
scontro inedito che fa fibrillare l’alleanza dei sei Paesi del Golfo ed è
stata proprio la vicinanza del Qatar alla Fratellanza la miccia che ha
scatenato la mossa del regno dei Saud, giustificata dal rifiuto
di Doha di sottoscrivere un accordo sulla sicurezza comune volto in
particolare a legare le mani ai gruppi vicini ai Fratelli Musulmani.
L’Arabia Saudita accusa il Qatar di finanziare segretamente i gruppi
legati alla Fratellanza nei regni della penisola, in Bahrein e in Yemen,
dove dal 2011 le minoranze sciiti minacciano di rovesciare i poteri
costituiti.
Gli attriti tra le due petromonarchie del Golfo si consumano anche sul fronte siriano. Entrambi i regni finanziano l’opposizione armata contro il nemico comune Assad, cercando di dettarne la linea politica.
I sauditi lo scorso luglio hanno messo un loro uomo, Ahmad Assi Jarba, a
capo della Coalizione nazionale siriana, che riunisce le forze di
opposizione al presidente siriano, in precedenza dominata dal Qatar, e
ha dato vita a fine novembre al Fronte islamico che raggruppa alcune
fazioni armate che combattono in Siria. Ne sono rimasti fuori i
“terroristi” del Fronte al Nusra e L’Isil. E il mese scorso anche
l’Esercito siriano libero (Esl) ha cambiato comandante: Salim Idriss,
nominato a dicembre del 2012, ha lasciato il posto al generale di
brigata Abdelilah al-Bashir, gradito all’Arabia Saudita.
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