di Fabrizio Casari
C’è bisogno di una
robustissima dose d’ingenuità per credere alla campagna mediatica
scatenata dai media occidentali nella vicenda ucraina. Si dovrebbe
insomma credere ad un improvviso quanto inaspettato anelo democratico,
una repentina attenzione alle sorti della popolazione ucraina priva di
qualunque interesse diretto.
E invece Washington e Bruxelles soffiano prepotentemente sul fuoco da
diversi anni nel teatro di quello che un tempo fu l’Unione Sovietica,
proprio con l’intento di destabilizzare Mosca e la sua ripresa di ruolo
internazionale nell’economia e in politica estera, come la gestione
della crisi in Siria ha evidenziato.
Sembrerebbero una performance di ironia involontaria le parole
pronunciate ieri da Obama, che invita Mosca a non interferire nella
politica di Kiev. Buffo davvero che chi da anni finanzia i gruppi
nazisti dell’opposizione, che ha costruito una sistema di propaganda
mediatica e di supporto materiale alla condannata per peculato
Timoshenko (detentrice del solo 10% elettorale) e che ha organizzato e
diretto le rivolte di piazza che hanno sconvolto l’Ucraina, dica ora
alla Russia, i cui legami storici, linguistici, militari ed economici
sono conclamati, di non impicciarsi.
Insomma Mosca dovrebbe farsi accerchiare dalla Nato, vedersi limitare
la sua sfera d’influenza e la sua possibilità di ricostruzione del suo
ruolo strategico e tacere persino, giacché a Washington trovano più
conveniente una Russia debole e silente, non in grado di competere con
gli USA nella gestione della governance globale.
E di altra
comicità involontaria si potrebbe parlare a proposito delle
dichiarazioni di Obama e della Merkel che indicano come illegale il
referendum del 16 Marzo indetto dal Parlamento della Crimea che dovrà
decidere sull’eventuale annessione della Crimea alla Russia. In Crimea
il 60% della popolazione è russa e solo il 10% parla ucraino. Ovvio
dunque che di fronte al rigurgito nazista e sciovinista dei dirigenti
ucraini, cerchino di ripararsi sotto l’ombrello protettivo russo.
E allora non si capisce perché un referendum deciso dal Parlamento
della Crimea e votato dai cittadini dovrebbe essere illegale, mentre
invece sarebbe legale assaltare le sedi del governo, sparare, uccidere,
rovesciare un governo legittimamente eletto e mettere a ferro e fuoco la
capitale, attività nelle quali l’opposizione ucraina - a forte guida
nazistoide - si è cimentata nell’ultimo mese.
Un
concetto bizzarro della democrazia, del resto già evidente nella sua
doppia interpretazione quando chiedevano alla autorità di Kiev di
liberare i dimostranti violenti arrestati, mentre in Occidente e negli
stessi USA le proteste di piazza violente vengono sanzionate con decine
di anni di carcere. Sarà che violare la pace dell’impero a Nord è un
reato e quello di provare ad ampliarlo ad Est è invece un atteggiamento
meritorio?
Dello stesso canovaccio fanno parte l’idea che le
sanzioni economiche alla Russia (che prevedono anche il sequestro dei
fondi russi in giro per il mondo) siano legittime, mentre la richiesta
di Mosca a Kiev di pagare la bolletta del gas inevasa sia illegittima o
provocatoria. Del resto, emerge un'altra contraddizione che il
mainstream si guarda bene dall’evidenziare e che richiama alla vicenda
dei Balcani.
Il sostegno alla proclamazione dell’indipendenza del Kosovo venne
spiegato sostenendo che, indipendentemente dall’integrità territoriale
della ex-Jugoslavia, essendo la maggior parte della popolazione di etnia
albanese, era legittimo che il Kosovo fosse indirettamente regalato
all’Albania. Ebbene, la stragrande maggioranza della popolazione ucraina
è di etnia russa, è russo-parlante e di religione ortodossa. Perché mai
dunque, seguendo l’identico schema applicato nei Balcani, dovrebbe
essere staccata dalla sua appartenenza?
Del resto è la
propaganda occidentale ad incaricarsi di non fornire domande, di non
evidenziare le contraddizioni e le assurdità delle pretese occidentali
sull’Est Europa e sul bisogno di sovvertire permanentemente l’ordine
interno ai paesi sui quali gli Stati Uniti considerano conveniente farlo
per ragioni diverse e mai legittime, ma utili a rinsaldare il suo
controllo unipolare.
Dalla Libia alla Siria, dal Venezuela all’Ucraina, l’Amministrazione
Obama ha ormai nella destabilizzazione internazionale il suo focus
principale. Nello specifico ucraino l’obiettivo è mettere all’angolo
Mosca. Staccare Kiev da Mosca per inserire l’Ucraina nella Nato è il
progetto che Stati Uniti ed Europa stanno perseguendo ben consci degli
effetti che la destabilizzazione dell’Ucraina potrebbe generare sulla
complessiva stabilità dell’area.
Perché
destabilizzare l’Ucraina significa accerchiare la Russia e azzerare il
suo controllo militare sul Mar Nero, dove con la base militare di
Sebastopoli Mosca controlla tutta l’area, strategicamente fondamentale
soprattutto nel caso di un conflitto tra Occidente e Iran.
Scorrazzare per il Mar Nero da padroni è del resto il sogno mai
smentito del comando Nato dal 1989. E, nell’immediato, significa
obbligare la Russia ad una corsa al riarmo, limitando così la sua
crescita economica, già resa difficile dalla crisi che colpisce anche i
russi.
Sembra evidente, da parte di Washington, l’intenzione di ripercorrere
il cammino che si presentò nella seconda metà degli anni ’80, negli
ultimi anni dell’Unione Sovietica, quando l’Amministrazione Reagan con
il progetto dello scudo spaziale spinse Mosca verso il riarmo,
fiaccandone inesorabilmente l’economia e portandola alla fine del
sistema.
L’Ucraina non è un paese qualunque nella mappa dell’ex
Unione Sovietica, della quale veniva definito “il granaio”. Grazie alla
produzione ucraina, infatti, l’ex impero sovietico riusciva a rifornire
di grano alcune delle sue repubbliche, soprattutto quelle dove il clima
impediva lo sviluppo di una agricoltura degna di tal nome, L’Ucraina
oggi ha una produzione di grano che raggiunge i diciotto milioni di
tonnellate all’anno ed una di mais che arriva fino a diciotto tonnellate
e mezzo.
Il cinquanta per cento di queste produzioni è destinato
all’esportazione, in particolare a Russia e Cina. Ed è qui che gli Stati
Uniti decidono d’intervenire. Già, perché proprio Pechino è ormai parte
rilevante degli investimenti economici nell’area e, in forza di ciò e
grazie ad un sostanziale accordo politico di valore strategico con
Mosca, recita un ruolo politico importante sullo scenario mondiale.
Non
a caso, nei giorni scorsi Pechino ha invitato Washington e Bruxelles
alla moderazione e a rientrare rapidamente nel contesto del diritto
internazionale, relativamente alla non ingerenza negli affari interni
dei paesi sovrani. La Cina, di fronte alle minacce statunitensi di agire
con misure economiche a danno della Russia, ha fatto presente, per la
prima volta in questi anni, di essere pronta a reagire con le stesse
armi, insinuando la possibilità di mettere all’incasso una quota del
debito USA nelle sue mani, cosa che provocherebbe l’immediato default
statunitense. Insomma, la saggezza orientale suggerisce alla Casa Bianca
moderazione ed attenzione nel profferire minacce, visto il rischio di
rimanere schiacciati dalla ricaduta delle loro stesse misure.
D’altra
parte Pechino ha ormai un ruolo importante anche nel mercato economico
di buona parte dell’America Latina e una partnership di rilievo con
l’Iran. Alla ricerca di mercati ed influenza politica su cui espandere
il suo ruolo, Pechino si trova in conflitto ormai continuo con
Washington; le stesse tensioni sul Mar della Cina e la vicenda della
sovranità cinese sulle penisole che vi si trovano, sono da tempo oggetto
di confronto politico e militare conclamato con Stati Uniti e Giappone.
E
il fatto che non solo l’Ucraina, ma buona parte dei paesi europei
dipendano per una quota significativa del fabbisogno energetico dalla
Russia, non fa che aumentare il peso di Mosca nello scenario
internazionale e la sua alleanza con la Cina pone una serie ipoteca
sull’organizzazione del comando planetario da parte della Nato, che da
più di dieci anni sogna il suo spostamento ad Est, privilegiando la
minaccia piuttosto che il dialogo con la Russia.
L’espansionismo militare ed economico degli Stati Uniti ad Est è una
parte del disegno imperiale che trasforma ogni zona del pianeta dotato
di risorse o posizionato in chiave strategica dal punto di vista
geopolitico in area di interesse vitale per Washington. L’Europa si
conferma un nano politico e nemmeno prova a pensare le ragioni per le
quali non ha nessun interesse ad un incendio vicino ai suoi confini,
neanche tenta di far capire a Washington che la Russia non è la Libia.
Gli
Stati Uniti si confermano ogni giorno di più come il problema e non la
soluzione per la pace mondiale. La lotta disperata contro il declino
della sua leadership globale e lo scontro con Cina e Russia pone di
nuovo il mondo non tanto all’alba di una nuova guerra fredda, essendo i
sistemi non più antagonisti ma concorrenziali, ma certamente la tendenza
alla guerra permanente come volano della ripresa economica statunitense
si conferma come unica e pericolosissima strategia del comando
unipolare. I falchi volano ovunque.
Fonte
Analisi davvero ben fatta che pecca "solamente" (virgolettato perché non si tratta di cosa da poco) nel giudizio di merito sull'UE, che nella vicenda Ucraina ha mostrato d'essere tutto fuorché un nano politico.
Certamente all'UE ancora manca una voce politica e militare univoca a livello continentale, ma si tratta di una lacuna che la governance tecnocratica comunitaria sta mostrando di voler colmare con incredibile rapidità, a dimostrazione che la UE non vuol affatto essere uno spazio comune di condivisione ed armonizzazione tra popoli e culture differenti, ma un polo imperialista smanioso di conquistare un posto tra il decadente regno americano e i nascenti giganti euro asiatici.
Val la pena tenerlo sempre a mente, soprattutto quando siamo bombardati da supercazzole su Putin cattivo e Bruxelles faro della democrazia (che ben si vede come si applica in maniera cristallina in Grecia piuttosto che Italia, Spagna o Portogallo...).
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