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17/02/2015

Buone notizie dalla International Energy Agency. Oppure no?

Alcune considerazioni sul World Energy Outlook 2014

Fra i molti report che vengono pubblicati in materia di energia ogni anno, senza dubbio quelli della International Energy Agency (IEA) godono della massima autorevolezza.

Fondata nel 1974 durante il primo shock petrolifero, questa agenzia interna alla OCSE elabora quelli che sono comunemente ritenuti i più affidabili documenti sul futuro energetico dell’umanità: ripresi da televisioni e giornali, i report della IEA sono spesso commentati e vengono accettati dai media come una fonte di dati sicura.

Il 12 novembre scorso la IEA ha pubblicato il suo quarantesimo World Energy Outlook (WEO) 2014, un massiccio rapporto di 748 pagine che recentemente è stato oggetto di analisi da parte di Antonio Maria Turiel, docente di fisica e matematica all’Università di Madrid.

Insieme al rapporto è stato pubblicato inoltre un breve documento di 12 pagine scaricabile anche in italiano dal sito della IEA (www.worldenergyoutlook.org). E’ quindi l’occasione di fare il punto con una questione, quella energetica, che ha avuto ed ha tuttora un ruolo rilevante nella soluzione alla crisi economica mondiale.

Dal punto di vista di chi scrive, un membro italiano di Aspo, i report della IEA hanno sempre avuto un carattere scientifico troppo poco accentuato, adattandosi in modo troppo spiccato al mutare delle circostanze internazionali.

A questo proposito basti dire che è stato solamente nel 2010 che è stato ammessa per la prima volta l’esistenza del picco di produzione del petrolio, di cui si prevedeva nel report di quell’anno una produzione stagnante fino al 2035.

Peccato però che nel report del 2012, due soli anni dopo, vi era traccia di un declino di produzione, mentre nel 2013 il declino appariva brutalmente accelerato nell’ipotesi dell’assenza di ulteriori investimenti. (Figura 14.6)

Rileggendo i report degli anni passati è stridente, ad esempio, la differenza quantitativa con le indicazioni fornite alla vigilia della crisi: nel 2007 veniva indicata ad esempio una produzione di petrolio di 120 Mb/d (million barrels per day, milioni di barili al giorno) per il 2025, una cifra che con ogni probabilità non verrà mai toccata e che la stessa IEA ritocca pesantemente nel report del 2014, portandola a 96 Mb/d per il 2025 e a 104Mb/d nel 2040 per tutti gli idrocarburi liquidi.

Inutile dire che altri tipi di analisi, meno centrate sul breve e brevissimo periodo, potessero dare già vari anni addietro delle indicazioni molto utili su quelle che sarebbero state le tendenze di massima nella produzione globale di petrolio.

In generale il World Energy Outlook 2014 della IEA è suddiviso in tre parti: nella prima, (parte A) si affrontano le tendenze energetiche globali proponendo tre linee di sviluppo possibile, che ricalcano da vicino tre possibili evoluzioni del mercato energetico mondiale; il primo tipo di evoluzione è businness as usual (uno scenario in cui lo sviluppo delle forze produttive è considerato per il futuro del tutto simile al passato pre-crisi).

Nel secondo scenario si analizza invece quella che potrà essere l’evoluzione futura in base all’entrata in vigore di quelle politiche ambientali che attualmente sono in via di ratifica; il terzo ed ultimo scenario considera invece quello che dovrebbe essere fatto per centrare l’obiettivo di mantenimento della CO2 in atmosfera al di sotto delle 450 ppm (parti per milione, soglia limite per il contenimento del surriscaldamento della Terra al di sotto dei 2°).

La parte B del WEO 2014 analizza invece lo sviluppo dell’energia nucleare, mentre la parte C è dedicata alle prospettive energetiche dell’Africa.

Lo scenaro base della IEA, come sempre, è il secondo della parte A, quello che si riferisce alle nuove politiche: a questo scenario, tranne poche eccezioni, sono correlate tutte le analisi del WEO 2014 e quindi è anche l’oggetto delle seguenti considerazioni.

Sostanzialmente la IEA prevede un aumento medio del Pil in termini reali dell’1,9% per l’area OCSE nel periodo 2014-2040, tutto questo però a fronte di un sostanziale stagnazione della produzione energetica dell’area stessa: addirittura si nota un arretramento dei consumi in Europa che passerebbe da 1769 a 1697 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe, nell’acronimo inglese). (Figura 2.6)

Il resto del mondo invece conoscerà secondo questo scenario della IEA una crescita dei consumi energetici tra l’1 ed il 2% annuo: in questo quadro il Pil globale dovrebbe comunque crescere del 4,6% all’anno, il che evidentemente vorrebbe dire la fine della crisi economica, né più né meno.

Questo risultato, che è a dir poco molto ottimistisco, sarebbe raggiungibile secondo la IEA con un mix di efficienza energetica, aumento nella produzione di biocarburanti, sequestro e stoccaggio di CO2, ed apertura di nuovi pozzi di petrolio e sviluppo del nucleare.

Su questi fattori è impostata la sfida della IEA nel suo World Energy Outlook.

Ogni voce della lista presenta numerosi problemi: per quel che riguarda l’efficenza energetica è senza dubbio vero che paesi come gli Stati Uniti sono riusciti a depetrolizzare la propria economia in modo significativo dagli anni ’70, ma partendo da un grado di efficienza che in alcuni comparti industriali era estremamente basso.

Si tenga presente che a livello globale l’energia utilizzata per produrre un dollaro di Pil è calata di circa il 40% dal 1970 al 2010 e ci si può ragionevolmente aspettare che il trend positivo in atto continuerà, sopratutto a causa della tendenza a sostituire il gas al carbone come fonte di energia elettrica; in particolar modo sarà impegnata su questo fronte la Cina che attualmente è sia il maggior produttore che il maggior consumatore di carbone.

Resta purtroppo il pericolo di un impatto ridotto dovuto all’aumento dei consumi futuri, che invece dovranno essere contenuti: si deve cioè essere quantomeno certi che le varie forme di efficentamento di settori del sistema produttivo non facciano crescere di rimbalzo i consumi in altri settori, pena incorrere nel Paradosso di Jevons. E purtroppo è stata esattamente questa la strada imboccata da Europa e Stati Uniti negli ultimi 30 anni.

Per quel che riguarda i biocarburanti semplicemente non è concepibile riuscire a sostenere una motorizzazione di massa in stile occidentale senza intaccare gravemente la produzione alimentare: basti pensare che se l’intera superficie agricola attuale fosse convertita alla produzione di biofuels si otterrebbero sostituti del petrolio pari a circa il 12% dell’attuale produzione (cfr. J. Randers – 2052 Rapporto al Club di Roma, pg 143, Ed. Ambiente).

Soluzioni alternative come lo sfruttamento di alghe con colture in mare avrebbero il solo scopo di spostare il ritorno energetico decrescente dalla terraferma, ad un costo che sarebbe comunque altissimo sia in termini ambientali sia economici.

Un discorso a parte merita il sequestro e stoccaggio della CO2: in questo campo vi sono i progetti più diversi ed interessanti, ma la sfida in questo campo è semplicemente di dimensioni colossali; si tratterebbe di togliere dall’atmosfera terrestre una massa annua dell’ordine di miliardi tonnellate, una massa che peraltro non può essere reimmessa nell’economia in nessuna forma e che quindi comporterà un costo netto. Questa massa dovrà semplicemente essere rimossa e posta in sicurezza in formazioni geologiche assolutamente stabili. Il solo costo di un’operazione del genere, comunque concepita, è spaventoso.

Il quarto punto della lista della IEA è rappresentato dall’apertura di nuovi pozzi di petrolio, ed in questo caso è anche troppo facile per chi scrive ricordare che le possibilità in questo campo sono ridottissime: negli ultimi 30 anni è stato trovato petrolio pari ad un quarto dei consumi globali: cioè si è andati avanti per tre decenni estraendo e consumando ad un ritmo crescente da pozzi in esercizio, mentre si è scoperto un numero limitatissimo di mega-giacimenti: su queste questioni esiste ormai un’ampia bibliografia, ed un crescente accordo degli studiosi.

Peraltro la stessa IEA ha dovuto, come ricordato all’inizio, rivedere le proprie previsioni convertendosi con un certo ritardo verso posizioni che sono state sostenute per molti anni da gruppi ristretti di esperti ben inseriti ad alti livelli all’interno della stessa industria petrolifera mondiale.

Ciononostante la IEA non rinuncia a presentare i casi più promettenti per il futuro petrolifero: l’Iran, il Messico ed il Brasile.

Il solo fatto che questi tre soli paesi possano far fronte anche solo ad una quota significativa della futura richiesta globale di petrolio per interi decenni è francamente risibile, specialmente quando si osserva il grafico accluso dalla IEA nel caso del Messico.

In questo caso si rimpiazza semplicemente la caduta di produzione prevista da pozzi attualmente in esercizio con le estrazioni da pozzi ancora da sviluppare (su cui esiste ovviamente un certo grado di aleatorietà nelle concrete possibilità estrattive) e addirittura con le estrazioni da pozzi ancora da trovare.

In quest’ultimo caso appare superfluo ogni commento: il grado di incertezza operativa è tale da rendere ogni previsione quantitativa di lungo periodo talmente rivedibile da essere puramente ed unicamente indicativa delle speranze di chi ha scritto quei paragrafi. (figura 3.13)


Infine il WEO 2014 della IEA punta molto sullo sviluppo del nucleare sia nel Giappone e negli Stati Uniti sia nelle potenze emergenti; sostanzialmente la IEA abbraccia l’idea che esistano delle immense riserve di uranio ancora non sfruttate (cosa indiscutibile di per sè) e che lo sviluppo della tecnologia porterà a livelli economicamente accettabili altro uranio attualmente non impiegabile (cosa invece assai incerta), mentre viene messo in evidenza il fatto che le attuali disponibilità di uranio sono destinate a non riuscire a coprire il fabbisogno attuale già a partire dal 2020, mentre nel 2040 è prevista una mancanza del 40% rispetto al consumo attuale.

Naturalmente questa previsione spinge a immaginare che vi sia un picco di produzione anche per l’uranio, circostanza certamente possibile che però la IEA in qualche modo contrasta con l’auspicio a nuovi investimenti in ricerca ed allo sviluppo tecnologico.

Inoltre la IEA prevede che gli stati coinvolti nella gestione delle centrali autorizzeranno un prolungamento della vita delle licenze di esercizio: questo punto è particolarmente critico essendo già alta la vita media delle centrali attualmente esistenti (26 anni, per la precisione), ed è da ricordare anche il fatto che l’incidente di Fukushima è occorso proprio a centrali datate.

Ormai a volere il prolungamento della vita delle centrali nucleari è soltanto una parte dell’industria nucleare, allettata dagli incentivi elargiti dagli stati.

Un’estensione della vita operativa a quaranta anni o più è sconsigliabile, se non altro perché con le stesse somme di denaro pubblico che verrebbe impiegato per costruire un futuro nucleare come quello proposto dalla IEA si potrebbero installare molti più Kw di energie rinnovabili.

L’esempio di una Germania senza nucleare e con notevoli investimenti in energie rinnovabili dovrebbe insegnare che la via può essere un’altra.

In conclusione si può dire che il rapporto della IEA 2014 ricalca molti aspetti di quelli passati: si cerca di fornire un quadro rassicurante dello sviluppo energetico futuro ma lo si fa su basi difficilmente sottoscrivibili.

Alcune tendenze verso l’efficienza sono assolutamente corrette ed auspicabili, sopratutto per quel che riguarda la sostituzione del carbone con il gas, mentre per quel che riguarda il mix energetico a cui va incontro il mondo l’impressione generale è che il giudizio della IEA sia sbilanciato a favore del nucleare e con una scarsa considerazione per le potenzialità delle energie rinnovabili.

Tenendo conto del fatto che tra i fini istituzionali della IEA c’è la volontà di “promuovere politiche energetiche sostenibili” e che la stessa IEA dovrebbe operare “per la protezione dell’ambiente – soprattutto in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra che contribuiscono al cambiamento climatico”, il contenuto del report del 2014 lascia davvero a desiderare.

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