Uscire dal braccio di ferro col gigante, ma senza perdere la faccia.
Se fosse una normale commedia all'italiana, il dilemma che si trova a
dover sciogliere in queste ore il governo greco avrebbe una soluzione
puramente lessicale: chiamare in un altro modo gli stessi diktat.
Purtroppo, i greci hanno problemi molto reali, che non diminuiscono
di virulenza sotto un altro nome. Devono trovare fonti di liquidità a
breve termine, ottenere la riduzione dell'avanzo primario dal 4,5
all'1,5% per poter realizzare almeno una parte visibile del programma
con cui cui sono stati eletti, allontanare lo spettro degli assalti ai
bancomat, guadagnare tempo in attesa che altri paesi possano affiancare
Atene nella richiesta di una “riforma” delle politiche economiche fin
qui seguite dall'Unione Europea.
Ma lo sanno anche i falchi della Troika, che pensano con orrore a uno
scenario – attualmente abbastanza probabile – in cui si potrebbero
trovare costretti ad affrontare la resistenza congiunta di Spagna,
Irlanda, forse persino del Portogallo, oltre che di Atene. Tutti paesi
che hanno elezioni politiche già fissate nel corso di quest'anno e che,
al momento, potrebbero veder cadere i “governi della troika” attualmente
al timone, facendo emergere forze di sinistra anti-austerità come
Podemos e Sinn Fein, o rivitalizzando i socialisti di Lisbona.
L'unica soluzione immaginata a Berlino e Bruxelles per evitare questo
scenario è strangolare immediatamente il tentativo di resistenza
ellenico, prima che il contagio si estenda. L'ultimatum presentato dal
“boero” Dijsselbloem all'inizio dell'Eurogruppo – Tsipras chieda
l'estensione dell'attuale programma di assistenza, con tutti i suoi
annessi, altrimenti non c'è più niente da discutere – ha un valore
chiaro: Atene deve fare un atto di sottomissione, dopo di
che i “nuovi sovrani” della Troika potranno cominciare a vedere se e
quanta “flessibilità” concedere al valvassino sul lastrico.
Rischiano – consapevolmente – di creare una situazione in cui Atene
viene spinta dalle parti di Weimar (il titolo del pezzo di Paul Krugman
sul New York Times di ieri). Ma
evidentemente si sono ormai abituati a trattare con i nazisti come
“cosa loro” (da Jobbik a Pravy Sektor), e non nutrono più grandi
preoccupazioni da quel lato. Anzi...
Nella partita si gioca anche sporco, naturalmente. Ieri sera, una
“fonte di Bruxelles vicina al dossier” – in pratica un funzionario della
Ue – ha fatto sapere che il governo greco oggi potrebbe decidere di
chiedere una “estensione dell'accordo di finanziamento” in scadenza il
28 febbraio. Ma solo per sei mesi e con una formula diversa da quella
usata dalla Troika (“programma di aggiustamento”). In pratica una
proposta di mediazione che punta a non recepire le
“riforme strutturali” pretese da Bruxelles, che fanno parte integrante
del “programma di aggiustamento”, ma soltanto la parte riguardante il
finanziamento (anche perché, inevitabilmente, la Bce chiuderebbe il
rubinetto della liquidità a partire da 1 marzo). Probabilmente era
questa la soluzione proposta da Pierre Moscovici, e ritenuta
“accettabile” dalla delegazione greca, che poi “il boero” aveva deciso
di sostituire con l'ultimatum.
Proprio stamattina il governo greco, tramite il portavoce Gabriel
Sakellaridis, ha spiegato che «Oggi il ministro delle Finanze Yanis
Varoufakis invierà la richiesta per l'estensione del programma di
prestiti». «Le deliberazioni puntano a trovare un terreno comune, penso
che siamo a buon punto. Veniamo al tavolo per trovare una soluzione». Il
portavoce ha però anche ribadito che il governo di Atene non ha
cambiato posizione sulle «linee rosse» considerate non negoziabili.
Quelle, insomma, che sempre ieri Tsipras giurava – davanti al Parlamento– che non avrebbe firmato “neanche con una pistola alla tempia”.
Gli stessi giornali padronali, a questo punto, non sono affatto sicuri se questa sia oppure no una "resa" del governo Tsipras.
Sarà accettata questa formula da Schaeuble e Dijsselbloem?
Le borse, stamattina, scommettono di sì. Domani – data di scadenza dell'ultimatum – è un altro giorno...
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