Alcuni interventori hanno obiettato che
non ha senso porre la questione dei danni di guerra subiti dalla Grecia
da parte della Germania, sia perché sarebbe impossibile riaprire la
questione dei danni di una guerra ormai lontana nel tempo (c’è anche chi
ha parlato delle razzie di opere d’arte fatte da Napoleone), sia perché
la guerra alla Grecia la dichiarò l’Italia (che, quindi sarebbe stata
la maggiore responsabile) e la Germania intervenne solo dopo.
Allora: la questione dei danni di guerra
dal punto di vista del diritto internazionale è molto intricata e per
nulla superata (le guerre napoleoniche non c’entrano nulla). La Grecia
venne dissuasa da Inglesi e Americani a tornare sulla questione con
troppa insistenza perché la Germania era diventata una alleata.
Come ricorda la Repubblica del’11 febbraio scorso, la questione più delicata è quella dei valori prelevati
dai tedeschi dalla Banca di Grecia. E se è vero che la guerra con la
Grecia la iniziò l’Italia, è anche vero che l’occupazione fu
essenzialmente tedesca, per cui principale responsabile fu la Germania
che concretamente produsse la grande maggioranza dei danni.
Dopo lunghe trattative, nel 1960, la
Grecia ricevette dalla Germania 115 milioni di marchi, concordati nella
Conferenza di Londra del 1953. Il punto è che i tedeschi ritengono
quella cifra esaustiva del loro debito, mentre i greci la ritengono solo
un acconto. Peraltro, un vero e proprio trattato di pace fra i due
paesi non c’è, per quanto la questione possa sembrar strana, dato che
entrambi sono alleati nella Nato e nella Ue. I tedeschi ritengono che il
Trattato per la regolamentazione finale delle intese con la Germania,
sottoscritto a Mosca nel 1990, assorba la questione e nel trattato non
si fa cenno ai danni di guerra, i greci ritengono che, nel silenzio del
trattato, la questione sia aperta. Come si vede, su un piano giuridico
entrambi i paesi hanno le loro ragioni da far valere e qui non mi
interessa intervenire nel merito; mi interessa, invece, porre la
questione da un altro punto di vista, perché il diritto è una gran bella
cosa, ma la politica è più importante, soprattutto se si tratta di
questioni internazionali.
Qui siamo di fronte ad una questione
politica da esaminare nel suo complesso e non si tratta solo dei torti
della Germania verso la Grecia sia antichi (la guerra) che nuovi (la
corruzione di funzionari ministeriali e alti ufficiali per agevolare
l’acquisto di inutilissimi sistemi d’arma prodotti da aziende tedesche e
francesi: una delle voci più cospicue del disavanzo greco). Va
considerata soprattutto la particolare condizione politica della
Germania dopo la fine della guerra fredda ed i vantaggi di cui ha goduto
in questi anni.
La Germania ha pagato a lungo
le conseguenze della sua guerra, con uno stato di minorità politica e
la divisione in due stati durata sino al 1990. Da questo stato ne uscì,
facendo accettare la sua unificazione alla comunità internazionale,
grazie all’opera di mediazione del presidente francese Mitterrand, che
si illuse di scongiurarne sue eventuali mire dominatrici estendendo il
Marco all’intera Europa, sotto il nome di Euro. In questo modo, pensò
che avrebbe avuto una ”Germania Europea”.
Ebbe più ragione la Tatcher ad avvertirlo “avrai una Europa tedesca”.
E l’Euro non fu affatto un cattivo affare per la Germania, sia perché
sostenne vigorosamente le sue esportazioni nell’Eurozona, sia perché
rafforzò la sua posizione sui mercati finanziari, consentendole di
pagare la ricostruzione dei land orientali a costi finanziari bassissimi
e, comunque, molto minori di quelli che avrebbe dovuto sopportare se la
moneta fosse stata ancora il marco: la Germania potette
approvvigionarsi con abbondanza delle risorse finanziarie necessarie ed a
costi molto contenuti, perché la più ampia base di riferimento
assicurata da una moneta continentale, giocò a favore di tutti gli
europei in generale, ma della Germania in particolare.
Poi, Berlino ebbe la possibilità di
rientrare nel grande gioco grazie al manto europeo, perché se si fosse
presentata con il solito vestito, difficilmente sarebbe stata ammessa
nel club. Sia che si trattasse del vestito da “nano politico” del
dopoguerra, sia se si fosse trattato di un nuovo abito color
grigio-Wermacht.
Ora la Germania deve decidere cosa vuol fare “da grande”
e che atteggiamento avere verso l’Europa, in altri termini, deve
dimostrare di essere diversa da quella Germania che, dal 1871 al 1945 ha
pensato di dare l’assalto al potere europeo (e da esso al potere
mondiale) in termini di dominio, neppure di egemonia. Per il dominio
bastano i rapporti di forza, l’egemonia richiede anche il consenso e la
seduzione culturale, due cose di cui la Germania è sempre stata
piuttosto carente (badate che non ho parlato di “influenza” culturale ma
di “seduzione”). Berlino ha tutti i diritti di candidarsi ad essere la
“capitale d’Europa”, ma se vuol farlo in termini di egemonia e non di
dominio, deve accettare di pagarne i costi.
La vicenda greca si presenta come una splendida cartina di tornasole:
se davvero esiste una “Germania europea”, accettare, in qualche modo,
le richieste greche (magari sotto forma di integrazione ai danni di
guerra) è un ottimo modo per dimostrarlo. Ma, soprattutto, accettare una
ristrutturazione del debito di tutti i paesi europei, magari attraverso
il trasferimento alla Bce della quota di esso eccedente il 60% del Pil
di ciascun paese indebitato, sarebbe il primo passo verso una vera
integrazione europea come la messa in comune del debito di ciascuno fu
il vero atto di nascita degli Stati Uniti d’America. Ed il progetto di
una reale unione europea potrebbe riprendere fiato. Ma, se come siamo
convinti accadrà, la Germania privilegerà i suoi gretti interessi
nazionali, per l’Europa non ci sarà un’altra prova d’appello: sarà la
dimostrazione parlante che essa è stata solo l’espediente
opportunisticamente usato dalla Germania di sempre per la ripresa dei
suoi progetti di dominio. E sarà anche la fine della Ue e di tutto quel
che ci sta intorno.
Dati gli auspici, che fine dell'UE sia.
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