di Fabrizio Casari
Prima
l’incontro con il Papa a San Pietro, insolitamente lungo per il rigido
protocollo vaticano; quindi la riunione con Renzi, definita “importante e
molto positiva”, poi la visita a Cuba del Presidente francese Francoise
Hollande, primo Capo di Stato occidentale a visitare l’isola negli
ultimi anni. E’ il bilancio più che positivo dell’offensiva diplomatica e
politica lanciata da Raul Castro, iniziata con la presenza sulla Piazza
Rossa di Mosca per le celebrazioni del 70esimo anniversario della
vittoria sul nazifascismo.
Un tour che ha riportato l’isola socialista e il suo presidente
all’attenzione mediatica internazionale e che ha collocato Cuba
nell’agenda di politica estera di questi mesi a venire. Due le scadenze
ravvicinate: quella del prossimo 28 Maggio, quando dovrebbe
concretizzarsi sul piano formale la rimozione di Cuba dalla black list
statunitense dei paesi che sostengono il terrorismo e poi la visita
nell'isola di Papa Francesco, prevista dal 19 al 22 di Settembre.
Il
ruolo del Pontefice nel ripensamento della politica degli USA verso
Cuba è stato ripetutamente riconosciuto da Castro come da Obama e il suo
viaggio pastorale sull’isola non potrà che beneficiare ulteriormente il
clima - già positivo - nel quale si continuano a svolgere gli incontri
tra le due diverse diplomazie.
Il mutamento intervenuto
nell’approccio europeo è importante. Tanto Hollande quanto Renzi
sembrano aver mandato in soffitta l’ostilità europea che si esprimeva
nella “posizione comune” voluta a suo tempo da Aznar. Bruxelles segue
quindi con attenzione l’evolversi del dialogo tra Washington e L’Avana.
Sa che l’apertura della strada verso l’America Latina passa da Cuba,
paese di riferimento sia per i 13 paesi dell’ALBA che per l’insieme dei
paesi latinoamericani, a cominciare dai 33 rappresentati nella CELAC,
dove Cuba esercita una importante leadership.
Il tour diplomatico
di Raul ha quindi aperto il terreno per un nuovo ruolo di Cuba anche
nella relazione con l’Occidente. Il processo di ammodernamento del
sistema cubano può ora giovarsi di un clima inedito per l’isola, che pur
continuando a patire il blocco vede una fase completamente nuova per
una sua integrazione piena nel sistema di relazioni internazionali.
In
tempi non sospetti, quando i tentativi sotterranei della diplomazia
cubana non avevano ancora trovato la strada per la retromarcia di Obama,
Fidel Castro disse che i cubani sono più preparati per la guerra che
per la pace. Si riferiva ad una certa attitudine ad affrontare
l’isolamento, il terrorismo ed una estensione planetaria del bloqueo,
che vedeva Europa e Canada distinguersi nel giorno del voto all’Onu ma
allinearsi nella ostilità negli altri giorni dell’anno.
E se i
tempi cambiano lentamente, le attitudini ci mettono ancora meno, visto
che il sostegno dei cubani alla nuova fase delle relazioni tra Cuba e
Usa è palpabile, pur con legittime perplessità sul “come” e “quando”.
Proseguono così con il vento a favore i colloqui tra gli staff delle due
cancellerie, sebbene i riflessi interni dei rispettivi paesi vedono
scenari decisamente diversi.
Se infatti per Cuba non esistono
opposizioni interne alla linea del dialogo, non altrettanto si può dire
per quanto riguarda gli USA. Ha destato scalpore che i repubblicani non
si oppongano alla decisione della Casa Bianca di escludere Cuba dalla
lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo. Ma non si tratta certo
di un cambio di marcia, ovvero di riconoscere che Cuba non avrebbe mai
dovuto far parte di quella lista; bensì della consapevolezza che la
decisione di Obama è nelle prerogative presidenziali e né il Senato, né
il Congresso - sebbene entrambi a maggioranza repubblicana - possono
farci molto.
Lo scontro è rimandato a quando Obama deciderà di far portare in aula
la legge che abolirà l’embargo. Quaranta congressisti hanno già pronto
un progetto di legge ad hoc: è lì che la lobby anticubana, presente tra i
repubblicani come tra i democratici, proverà ad impedire quello che
sarebbe davvero l’atto di nascita del disgelo.
Il successo del
dialogo dipenderà anche dai tempi nei quali il processo di
normalizzazione avverrà. Obama infatti ha solo un anno e mezzo alla Casa
Bianca e in questo senso i colloqui preparatori non potranno dilatare
all’infinito il preambolo della riapertura delle relazioni diplomatiche.
Lo stesso Raul da parte sua, pur ricordando che “i tempi non saranno
brevi”, avrebbe interesse ad accellerare: non solo ogni giorno in più
con il blocco costa sacrifici importanti all’isola, ma tra un anno ci
sarà il Congresso del PCC dove confermerà il ritiro già annunciato ed è
ovvio che aggiungerebbe un valore esemplare farlo dopo aver ottenuto il
risultato storico della fine del blocco.
Ma
nonostante la reciproca buona volontà dei negoziatori, le questioni sul
tavolo non sono né poche né semplici. Riconoscersi diplomaticamente tra
i due paesi non implica per gli USA anche il riconoscimento
dell’identità politica cubana, che è il vero tema che si muove sullo
sfondo dei negoziati.
Cuba intende comunque il dialogo sulla base di reciprocità e parità
di condizioni. Immigrazione, integrità territoriale (Guantanamo), fine
delle attività sovversive sull’isola, Ley de Adjuste cubano, sicurezza comune, verranno discusse nel rispetto della reciproca sovranità politica.
D’altra parte lo stesso Obama non può apparire solo come colui che
concede e questo la scaltra diplomazia cubana lo sa perfettamente, in
questo senso si dovranno trovare elementi di comune interesse a sancire
una trattativa reciprocamente soddisfacente.
Non sarà
impossibile. Cuba è conscia di come alcuni temi servano a Obama tanto
quanto a Raul. Il ritiro USA da Guantanamo, la cui chiusura era una
promessa elettorale di Obama, oggi potrebbe essere offerta tanto a
Castro come prova di buona volontà quanto agli americani come prova di
realizzazione di quanto promesso. Gli USA potranno rimuovere le norme
USA che rendono i cubani benvenuti solo se illegali, mentre tutti gli
altri finiscono in galera.
L’abolizione delle norma del piè
mojado (quella per cui un cubano uscito illegalmente dall’isola viene
dotato di residenza per il solo fatto di calpestare il territorio
statunitense) è stato uno dei più fiorenti business dei pescecani di
Miami e la sua eliminazione avrebbe dei riflessi inevitabili proprio
sulle organizzazioni terroristiche che ancora operano indisturbate in
Florida. Le condizioni per farlo ci sono: la composizione
dell’emigrazione cubana è cambiata, non è più quella della seconda metà
del secolo scorso. Oggi la stessa popolazione cubano americana della
Florida emigrata negli ultimi 20 anni, vuole una normalità nelle
relazioni che consenta viaggi e invii delle rimesse in denaro più
semplici e rapidi.
Nello stesso tempo gli Stati Uniti sanno
perfettamente che seppure a Cuba non potranno mai chiedere di
abbandonare il Venezuela e gli altri paesi latinoamericani verso i quali
L’Avana ha sempre sostenuto un ruolo di riferimento, Raul potrebbe però
aprire un binario parallelo che favorisca gli investimenti statunitensi
in un paese dove struttura industriale e commercio vanno decisamente
reinventati. Aprire la strada alle major statunitensi in un nuovo
mercato e cominciare ad interrompere l’incessante afflusso di capitali
cinesi e russi in America Latina sarebbe un risultato molto importante
per il presidente USA.
Certo,
Cuba muoverà su questa scacchiera le pedine che considera più
convenienti, ma in quest’ambito i due paesi possono trovare convenienze
importanti reciproche.
A riprova di ciò, i cantieri proliferano. Si aprono nuovi hotel, si
riparano strade e si ampliano aeroporti in previsione dell'ondata di
turismo proveniente dagli Usa, destinato a raddoppiare in poco tempo i
milioni di turisti del resto del mondo che annualmente visitano l’isola.
A disegnare quella che più che un epoca di cambi sembra voler
disegnare un autentico cambio d'epoca, arrivano i traghetti passeggeri
provenienti dagli USA, che attraccano ormai anche nel porto dell’Avana.
Dalla Florida a Cuba si va in aereo o in traghetto: niente più balseros,
niente più vittime, niente più politicanti che ci speculavano sopra.
Agli squali di mare e a quelli di Miami non resta che la delusione per i
tempi che furono.
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