Carcasse di barconi vicino al porto di Zuwara, tra i principali luoghi di azione per i trafficanti Photograph: Mahmud Turkia/AFP/Getty Images |
di Francesca La Bella
Scrivere di Libia non è mai semplice. Da un lato le dinamiche interne
e la perdurante guerra civile non sono di facile comprensione anche a
causa dei continui cambiamenti di fronte dei diversi attori. Dall’altro
gli interessi internazionali sono tanto forti da sovrapporsi alla
questione interna e, in alcuni casi, da relegare quest’ultima in secondo
piano. Il dibattito internazionale di questi ultimi giorni sulla
questione libica è un ottimo esempio di questa dinamica. Cercando
informazioni sulla situazione interna al Paese ci si imbatte quasi
esclusivamente in aggiornamenti di politica internazionale e in prese di
posizione di politici europei e non solo.
E’ di questa mattina l’annuncio del
Governo turco secondo il quale una nave da cargo turca sarebbe stata
bombardata domenica dalle coste libiche in acque internazionali mentre
si avvicinava al porto di Tobruk. Secondo fonti turche il terzo
ufficiale sarebbe morto e altri membri dell’equipaggio sarebbero stati
feriti nell’attacco. Poche ore prima si era diffusa la notizia della
messa sotto accusa negli Stati Uniti dell’ex Segretario di Stato Hilary
Clinton per la guerra in Libia del 2011. Secondo i detrattori della
Clinton, l’attacco contro il Paese nord-africano avrebbe generato il
caos nel Paese, rendendo quest’ultimo porto franco per trafficanti di
uomini e di merci e Jihadisti. In questi giorni, inoltre, l’Europa tutta
è impegnata nel dibattito sui flussi di migranti provenienti dalla
Libia e sulla suddivisione degli stessi in tutti i Paesi dell’Unione. Se
a questo aggiungiamo che è in programma per il 18 maggio a Il Cairo un
vertice straordinario dei Paesi arabi aperto anche a Italia e Francia
nel quale verrà discusso un possibile intervento in Libia dei Paesi
dell’area con il sostegno logistico dei due Paesi europei, appare chiara
la centralità del Paese per gli equilibri locali ed internazionali.
In quest’ottica rientra l’azione
dell’Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica
Mogherini, che oggi discuterà in sede ONU la possibile missione in acque
libiche tesa a fermare i flussi illegali di migranti verso l’Europa e,
se possibile, distruggere i barconi prima che lascino i porti libici
come previsto dalla nuova Agenda sull’immigrazione della Commissione
Europea. Secondo la bozza di risoluzione che dovrebbe andare in
votazione questo mercoledì, gli Stati membri dell’Unione Europea
dovrebbero avviare delle politiche condivise e di ampio respiro che
consentano una gestione coordinata dei flussi migratori: sistema forte e
comune di asilo; nuova politica europea a favore della migrazione
legale; lotta alla migrazione illegale ed alla tratta di esseri umani;
rafforzamento delle frontiere esterne dell’Unione europea. Il focus
sulla Libia in queste previsioni è centrale. A causa della guerra civile
interna, della mancanza di un Governo di unità nazionale e di un
sistema di tutela della popolazione civile nazionale ed immigrata, la
Libia è, infatti, porto di partenza principale delle carrette del mare
che solcano il Mediterraneo.
Il tutto sembrerebbe inteso ad
evitare le disgrazie del mare che hanno riempito le cronache delle
scorse settimane, ma c’è da chiedersi se questa possa essere una
soluzione concreta per la Libia e per i migranti. Per quanto
riguarda la situazione interna al Paese nord-africano, l’impatto di
queste politiche probabilmente sarà nullo se non negativo. Buona parte
di chi lascia il Paese è costituita da civili libici che scappano dalla
guerra e che dovrebbero, per questo, vedersi riconoscere lo status di
richiedenti asilo in Europa, condizione che non sempre è facile da
dimostrare. Per molti di loro la prospettiva potrebbe essere quella di
trovarsi intrappolati nel Paese o di dover cercare altre vie d’uscita
via terra per riuscire a fuggire. Per quanto riguarda i migranti
provenienti da altri Paesi africani, molti di loro scelgono la via
libica per cercare di avvicinarsi all’Europa e, probabilmente
continueranno a farlo rimanendo, però, blocati in una terra segnata
dalla guerra civile diventando possibili ostaggi e vittime degli scontri
tra le opposte fazioni o finendo nei centri di detenzione per immigrati
illegali che già da molti anni sono presenti in Libia. Le nuove
politiche migratorie rischiano, dunque, di essere una soluzione solo
per l’Europa che, in questa maniera, sposterebbe l’asse della
risoluzione dalla questione dalla sponda nord alla sponda sud del
Mediterraneo.
La Libia, però, per la
situazione socio-politica in cui si trova oggi, non può essere
considerato soggetto credibile per la garanzia dei diritti della
popolazione civile. I due Governi, a Tripoli e a Tobruk, non
hanno un controllo territoriale stabile e, per questo, risultano
incapaci di amministrare le funzioni statali in senso ampio. L’esercito è
diviso sia su base etnica sia su base regionale e, Khalifa Haftar,
scelto da molti in occidente come principale interlocutore, non sembra
essere abbastanza forte da imporre il proprio progetto di transizione. A
questo si aggiunga la presenza di una miriade di piccoli gruppi che,
nel corso del conflitto, hanno più volte cambiato campo d’azione e che,
anche grazie a servizi di sicurezza per le imprese internazionali che in
Libia hanno necessità di proteggere i propri stabilimenti, hanno, a
fasi alterne, avuto buona disponibilità di armi e denaro. In questo vuoto
di potere, le ramificazioni locali dello Stato Islamico hanno avuto la
possibilità di prendere piede portando a termine numerosi attentati ed
uccisioni anche a carico di migranti come quello avvenuto a carico di un
migrante eritreo in precedenza espulso da Israele.
La condizione della Libia oggi è, dunque, quella di uno Stato fallito privo di prospettive per il futuro della sua popolazione, ma al centro del dibattito internazionale e d’area per il suo ruolo destabilizzante. Le
azioni militari internazionali e le nuove politiche migratorie,
entrambe prive di un focus sulle condizioni di vita della popolazione,
difficilmente elimineranno le cause di questa situazione, nascondendone
solo gli effetti all’opinione pubblica internazionale.
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