Ha 22 anni, è marocchino e si chiama Touil Abdel Majid il presunto
terrorista arrestato in Italia per la strage dello scorso marzo al museo
Bardo di Tunisi, in cui persero la vita 21 turisti e 45 rimasero
feriti. E che portò a galla le contraddizioni di un Paese che è anche il
maggior esportatore di jihadisti al mondo.
Le autorità tunisine ritengono il 22enne marocchino, incensurato,
responsabile dell’organizzazione dell’attacco e di avervi preso parte. Sarebbe
dunque lui l’uomo a cui si riferiva il presidente tunisino, Beji Caid
Essebsi, quando all’indomani della strage disse che c’era un terzo
attentatore ricercato. Touil Abdel Majid potrebbe essere
estradato in Tunisia, dove è in vigore la pena di morte. Secondo la
stampa italiana, avrebbe viaggiato tra Italia e Tunisia senza essere mai
fermato, nonostante un decreto di espulsione.
La strage al Bardo ha scosso un Paese che, tra mille contraddizioni,
si è avviato sulla strada della democrazia dopo la rivolta del 2011, che
diede il via alle cosiddette primavere arabe. È considerato da molto
analisti l’unico successo di quella mobilitazione che in altri Stati si è
trasformata in guerra civile o in repressione.
Tuttavia, la Tunisia vive diverse contraddizioni e alla
spinta democratica si affiancano problemi economici e sociali diventati
terreno fertile per il proliferare di gruppi jihadisti. Qui sono addestrati e da qui partono decine di giovani per andare a rimpinguare le file dell’Isis, prima
soprattutto in Siria e in Iraq, adesso sempre di più nella vicina
Libia, considerata una ghiotta occasione dall’Isis: c’è il giusto mix di
caos e di disponibilità di armi (gli arsenali di Gheddafi) di cui
approfittare per espandersi in un Paese che galleggia su abbondanti
risorse, che confina con altri Stati nordafricani ed è vicino
all’Europa. In un documento interno all’Isis la Libia è definita un
“portale strategico per lo Stato Islamico”.
La relativamente tranquilla transizione tunisina è minacciata
dal caos libico che preme alle sue frontiere, dagli effetti negativi
che ha sulla sua società e sulla sua economia già provate da corruzione,
clientelismo e disoccupazione.
Stime che risalgono allo scorso ottobre parlano di tremila tunisini
unitisi a gruppi di stampo jihadista in Siria e in Iraq. I numeri del
governo, invece, sono più piccoli: circa 1.200. Molti di loro erano
stati addestrati in Tunisia, nel deserto vicino al confine libico dove
l’Isis ha almeno un campo di addestramento che pare attiri numerose
giovani reclute.
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