Il movimento ribelle sciita Houthi ha accettato la proposta di tregua mossa
venerdì scorso dall’Arabia Saudita. Ad un mese e mezzo dal lancio
dell’operazione militare contro lo Yemen, “Tempesta decisiva”, che ha
già ucciso oltre 1.300 persone e ne ha rese 300mila rifugiate, Riyadh –
insieme agli Stati Uniti – ha pensato fosse tempo di una tregua per
portare aiuti umanitari alla popolazione civile. Un’operazione che non
ha mai avuto l’avallo ufficiale dell’Onu, ma che è stata subito
accettata come legittima dalla comunità internazionale.
Ieri pomeriggio gli Houthi, finora rimasti in silenzio, hanno
fatto sapere di voler accettare la proposta di cessate il fuoco di
cinque giorni, che dovrebbe iniziare domani: il colonnello Sharaf
Lugman, portavoce del movimento, ha però chiarito che gli sciiti
riprenderanno le armi se i fedelissimi del presidente Hadi o l’aviazione
saudita romperanno la tregua.
“Ogni violazione militare del cessate il fuoco da parte di al-Qaeda e
di quelli che la appoggiano riceverà una risposta”, si legge nel
comunicato stampa emesso ieri dal movimento ribelle. L’annuncio è
arrivato nelle stesse ore in cui i jet militari della coalizione
anti-sciita bombardavano la casa dell’ex presidente Saleh,
accusato da più parti di sostenere il movimento. Ieri lo stesso Saleh ha
voluto confermare: “Non ero un alleato di Ansurallah [gli sciiti
Houthi], ma oggi annuncio che gli yemeniti sosteranno tutti coloro che
difendono le risorse della nazionale”, ha detto in un intervento in un
canale televisivo a lui vicino. Saleh è apparso in tv, microfono alla
mano, di fronte alle rovine della propria casa, distrutta poco prima in
un raid saudita.
E mentre la popolazione civile yemenita attende l’entrata in vigore
della tregua, proseguono le azioni militari, incessanti dal 26 marzo. Ai
bombardamenti sauditi, che ancora ieri hanno colpito l’intero paese, si
è aggiunta la notizia della scomparsa di un jet F16 del Marocco, tra i
paesi che hanno aderito alla coalizione anti-Houthi guidata da Riyadh e
Il Cairo. L’aereo non è rintracciabile da ieri, stamattina è
giunta la conferma da parte delle forze armare marocchine: l’F16 è
scomparso ieri pomeriggio alle 18, ma non è dato sapere cosa sia
esattamente accaduto. L’agenzia di Stato Saba, occupata dai ribelli
sciiti, non ne ha dato notizia.
Una guerra regionale con obiettivi che vanno ben al di là del
mero controllo dello Yemen (strategico dal punto di vista politico e
geografico) di cui paga le spese solo il popolo yemenita: “L’impatto
sulle infrastrutture civili è devastante – ha detto sabato il
coordinatore Onu per lo Yemen, Johannes Van Der Klauuw – Molti
yemeniti oggi sono privati dell’accesso a servizi base, inclusi
trattamenti medici, cibo, acqua” e sono oggetto “del bombardamento
indiscriminato” da parte della coalizione.
Il blocco navale e aereo imposto da Riyadh ha fatto
collassare del tutto il paese, il più povero del Medio Oriente,
dipendente dalle esportazioni estere e dagli aiuti internazionali (il
60% del carburante utilizzato nel paese arriva dall’estero, insieme al
90% del grano e al 100% di riso). In Yemen manca tutto: acqua
potabile, cibo, medicinali e carburante necessario al funzionamento
delle rete elettrica. L’Arabia Saudita ha interrotto fin dall’inizio
dell’operazione militare l’ingresso di carburante: le stazioni di
benzina nella capitale Sana’a sono a secco e quel poco di carburante
ancora disponibile nel nord del paese ha raggiunto prezzi inaccessibili
per la popolazione.
La mancanza di benzina – denunciano le Nazioni Unite e Medici senza
Frontiere – impedisce alle poche organizzazioni presenti nel paese di
distribuire gli aiuti umanitari ai civili ed è tanto grave da far
immaginare a breve un black out totale dell’energia elettrica. Impossibile anche far funzionare i sistemi di depurazione dell’acqua, seria minaccia alla diffusione repentina di malattie.
“Anche prima di questa guerra viziosa milioni di yemeniti andavano a
dormire affamati – ha detto Grace Ommer, direttore dell’ong Oxfam in
Yemen – Ora il rischio di morire è doppio: per le bombe e per l’embargo de facto imposto ad un paese che importa il 90% del cibo che consuma. Si sta svolgendo una catastrofe umanitaria”.
Riyadh, ovviamente, si difende: il blocco navale e aereo,
dice, è la normale conseguenza dell’applicazione della risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha votato a favore dell’embargo
militare contro gli Houthi. Una chiave di lettura originale
quella fornita dall’Arabia Saudita: per impedire l’arrivo di armi agli
sciiti, affama la popolazione civile. Dietro resta il fallimento
militare della coalizione anti-sciita che dopo un mese e mezzo di
bombardamenti a tappeto non è riuscita a frenare l’avanzata del
movimento ribelle.
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