La vicenda cinese, con la borsa
di Shangai arrivata a sospendere una buona parte dei titoli quotati in
borsa in mezzo a settimane di perdite record, è di quelle che
vanno stampate bene in memoria. Per capire quanto il pianeta è
interconesso, quanto pericoloso sia il fatto che è la finanza ad essere
la sua infrastruttura di connessione, quali sono le conseguenze delle
crisi del globale sulla dimensione locale.
In quest’ottica, la crisi greca mostra
tutti i limiti sistemici della governance dell’eurozona e della Ue.
Paralizzate dalla crisi di un paese che ha appena il due per cento del
Pil continentale, e che non desidera nemmeno essere secessionista, Ue ed
eurozona sono di fatto inabili, oltre a non poter garantire un futuro
prospero alla maggioranza dei cittadini europei, a poter guardare oltre
il proprio giardino di casa.
Eppure la crisi della borsa di
Shangai, oltre a cause interne, ha cause radicate nel mondo globale
molto simili a quella europea. Quello che sta accadendo in Cina e in Grecia ha infatti una precisa origine: la reazione al crack Lehman Brothers del 2008.
L’eurozona ha risposto al 2008
con due strategie: il salvataggio delle banche coinvolte nel crack
americano, facendolo pagare ai bilanci pubblici, e il rientro delle
esposizioni delle principali banche creditrici con le principali
debitrici del continente. Da allora, con le politiche di
austerità come garanzia della liquidità necessaria a queste strategie,
nonostante l’unione bancaria, il fiscal compact, il quantitative easing
la crisi europea, intesa qui come effetto Lehmann, è stata solo
rallentata. Salvo poi ripresentarsi, per adesso, come questione greca.
La Cina, al contrario, ha
risposto, nel 2009, con un pacchetto di stimoli all’economia, fatto per
contrastare gli effetti della crisi Lehman, che ha portato facilitazioni
al credito, investimento nelle infrastrutture, nell’educazione,
nell’economia verde, nel risparmio energetico e nell’edilizia. Ne ha
risentito, beneficamente, il Pil, quasi fino a toccare il 10% in un anno
non facile per l’economia globale come il 2010.
Il punto è che nel
pacchetto di stimolo ci sono due condizioni per le bolle finanziarie
successive. La prima, legata alle facilitazioni per il credito, si era
già manifestata all’inizio della crisi globale, nel febbraio del 2007,
quando in un giorno la borsa di Shangai perse il 9% costringendo quella
di New York a bruciare quasi il 4% di valore azionario in una giornata. In poche parole più la banca centrale cinese fornisce liquidità a basso
prezzo più la bolla finanziaria si gonfia, fino a diventare un problema
globale. Le seconda è quella legata all’immobiliare, che ha avuto la
propria fase più acuta nel bienno ’11-‘13. Bolla della cui portata
esplosiva poco si è avvertito in Europa. Un crollo del mercato
immobiliare che ha lasciato vuoti circa 64 milioni di vani (abitabili, a
seconda delle stime, anche da quasi 150 milioni di persone). Intere
città, come quella che contiene la replica del centro di Parigi con la
Torre Eiffel o Zhengzhou, grande quanto San Francisco, vuote anche al
90% (come il quartiere stile italiano o tedesco o inglese dei sobborghi
di Pechino). Ci si domanda quindi se l’economia globale rischi di essere
desertificata, con la nuova crisi, quanto le città fantasma cinesi.
In questo senso se la crisi esce
dalla Cina, con un contagio stile 2007 magari più esteso, in effetti
non è da escludere una nuova Lehman. Il punto è che il governo
cinese, assieme alla propria banca centrale, ha riserve di liquidità
sufficienti per domare la crisi. Ma la liquidità, come abbiamo visto,
non basta e può alimentare nuove bolle e nuove crisi. Al momento secondo Bloomberg la Cina sta provando una soluzione alla giapponese.
Si tratta di far acquistare da immensi fondi pensione azioni d'imprese strategiche che stanno
crollando. In Giappone negli anni '90
funzionò, tamponando il crollo azionario. Da allora però il paese del
Sol Levante vive in una sorta di congelamento finanziario con tassi di
crescita bassi. Accadesse anche in Cina la bolla si sgonfierebbe. Ma la
capacità della seconda economia mondiale, la Cina appunto, di alimentare
l’economia globale rischierebbe un serio rallentamento.
E’ il capitalismo di oggi: risolve bolle ponendo le condizioni per le successive oppure per la stagnazione dell’economia.
Sempre che non arrivi il superbotto a cambiare la faccia, economica e
finanziaria, del pianeta. Intanto tutti cercano di guadagnare tempo, in
cerca di soluzioni.
Redazione, 8 luglio 2015
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