di Michele Paris
La storica
visita di questa settimana negli Stati Uniti del segretario del Partito
Comunista del Vietnam, Nguyen Phu Trong, ha segnato un passo avanti
forse fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra i due paesi,
esattamente a vent’anni dalla normalizzazione delle relazioni bilaterali
avvenuta durante la presidenza Clinton. Significativamente, Obama ha
ricevuto il leader vietnamita nello Studio Ovale, di solito riservato
per discussioni con personalità straniere che ricoprono ufficialmente la
carica di Capo di stato.
Al centro del faccia a faccia di
martedì ci sarebbero state principalmente due questioni, entrambe legate
al riallineamento strategico in Asia degli Stati Uniti in funzione di
contenimento della Cina. La prima è quella del trattato di libero
scambio denominato Partnership Trans-Pacifica (TPP), a cui il Vietnam
dovrebbe aderire assieme a una decina di altri paesi asiatici e del
continente americano.
Obama ha da poco ottenuto dal Congresso di
Washington il via libera a una sorta di corsia preferenziale per
l’approvazione del TPP, dando un impulso decisivo alle trattative con
gli altri paesi coinvolti. Le difficoltà principali dei negoziati con il
Vietnam riguardano non tanto aspetti come il diritto dei lavoratori a
creare associazioni sindacali indipendenti, quanto lo smantellamento -
o, per lo meno, il ridimensionamento - delle aziende di proprietà dello
stato e altre delicate questioni legate al commercio.
Ad esempio,
in cambio dell’ulteriore apertura del mercato americano ai prodotti
“made in Vietnam”, gli Stati Uniti avrebbero chiesto al regime, una
volta entrato in vigore il TPP, di interrompere l’importazione di
materie prime tessili dalla Cina, con tutte le difficoltà logistiche che
ne deriverebbero. Gli approvvigionamenti destinati a un settore
cruciale dell’economia del Vietnam dovrebbero giungere invece da altri
paesi facenti parte del TPP.
L’altro tema di rilievo trattato a
Washington è legato poi alle dispute territoriali in atto nel Mar Cinese
Meridionale, dove Cina e Vietnam sono sembrate essere ai ferri corti
nella primavera del 2014 in seguito al posizionamento da parte di
Pechino di una piattaforma petrolifera in un’area rivendicata da Hanoi.
Se
la Cina non è mai stata citata esplicitamente durante la conferenza
stampa di Obama e Trong, l’obiettivo di alcune dichiarazioni di entrambi
i leader è apparso sufficientemente chiaro. Il presidente americano ha
così invitato i paesi del sud-est asiatico a risolvere le dispute
all’interno di “accordi internazionali”, laddove la Cina ha sempre
sostenuto di volere chiarire le divergenze con i propri vicini sul piano
bilaterale e senza interferenze.
L’apparente neutralità di
Washington sulle dispute nel Mar Cinese Meridionale nasconde in realtà
una posizione decisamente anti-cinese. Contese che si trascinano da
tempo senza particolari conseguenze si sono riaccese in questi ultimi
anni proprio in concomitanza con la cosiddetta “svolta” asiatica degli
USA, i quali hanno più o meno apertamente incoraggiato paesi come
Vietnam o Filippine a promuovere le rispettive rivendicazioni.
Nel
2014, le Filippine avevano sottoposto una richiesta di arbitrato a un
tribunale internazionale a L’Aia per contestare le rivendicazioni cinesi
nel Mar Cinese Meridionale. Il tribunale ha tenuto la sua prima udienza
sul caso proprio questa settimana e, nel decidere se esprimersi sulla
vicenda, si baserà anche su un parere legale presentato a dicembre dal
Vietnam in appoggio all’istanza filippina.
La
posizione vietnamita è stata d’altra parte ribadita martedì a
Washington, quando il segretario Trong ha affermato, avendo in mente la
Cina, che “attività recenti nel Mar Cinese Meridonale sono in
disaccordo con il diritto internazionale” e “possono complicare la
situazione”.
Lo stesso leader del Partito Comunista del Vietnam
ha poi definito “cordiale, costruttiva, positiva e franca” la
discussione avuta con Obama, sottolineando l’estrema importanza
dell’evoluzione dei rapporti tra i due paesi, passati da “ex nemici ad
amici e partner”, anzi “partner a tutto tondo”. Trong ha inoltre
invitato il presidente americano a visitare il suo paese, cosa che
quest’ultimo sembra avere accettato di buon grado.
Obama, da
parte sua, ha parlato di un rapporto di “mutuo rispetto” con il Vietnam,
anche se persistono diversità di vedute riguardo “la filosofia
politica” e “il sistema politico” dei due paesi. Come hanno ricordato i
media e vari esponenti politici americani, il Vietnam continua a essere
carente sul fronte dei diritti umani e della libertà di religione.
La
questione dei diritti umani viene però come al solito usata da
Washington come una delle armi a disposizione della propria politica
estera per mascherare la persecuzione pura e semplice dei propri
interessi strategici. Nel caso del Vietnam, la necessità di creare una
partnership con l’obiettivo di limitare l’influenza della Cina ha finito
per avere la precedenza su qualsiasi scrupolo democratico e umanitario.
Il
governo USA ha ritenuto sufficiente citare presunti “miglioramenti”
della situazione interna in Vietnam e, ad ogni modo, soprattutto in
relazione a questo paese, devastato dal tragico incontro con
l’imperialismo americano, Washington non è nella posizione di dare
lezioni su democrazia o diritti umani.
La visita di Trong di
questa settimana è comunque il coronamento di un percorso che ha portato
alla costruzione di un rapporto tra Vietnam e Stati Uniti impensabile
due decenni fa. Solo negli ultimi mesi, i due ex rivali hanno siglato
importanti intese, soprattutto in ambito militare. Ai primi di ottobre
dello scorso anno, ad esempio, gli USA avevano eliminato parzialmente
l’embargo sulla vendita di armi al Vietnam.
Questa proibizione
era stata introdotta ufficialmente dall’amministrazione Reagan nel 1984 e
un decennio più tardi, con la normalizzazione dei rapporti bilaterali,
Washington avrebbe iniziato a utilizzarla come leva per ottenere
dapprima l’apertura dell’economia vietnamita al capitale americano e più
recentemente per attrarre il paese del sud-est asiatico nella propria
orbita strategica.
Il via libera alla vendita di armi “letali” ha
riguardato in primo luogo quelle da impiegare nella “sicurezza
marittima”, inequivocabilmente legata alla “minaccia” cinese. Allo
stesso tempo, la fine dell’embargo è utile agli Stati Uniti per provare a
insidiare il ruolo della Russia di tradizionale primo fornitore di armi
del Vietnam.
Poco più di un mese fa, il ministro della Difesa di
Hanoi, Phung Quang Thanh, e il numero uno del Pentagono, Ashton Carter,
avevano poi sottoscritto nella capitale vietnamita una dichiarazione
congiunta sui rapporti bilaterali in ambito militare, sulla base di un
memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore della “difesa” già
firmato nel 2011.
Il più recente vertice di Washington e gli
sviluppi delle relazioni tra USA e Vietnam non sembrano però comportare
un allineamento esclusivo di Hanoi all’ex nemico, almeno per il momento.
La politica estera vietnamita appare da tempo come una sorta di
esercizio di equilibrismo, dettato dalla necessità storica di mantenere
una certa indipendenza dall’ingombrante vicino cinese, con il quale
questo paese ha tra l’altro combattuto una breve guerra nel 1979.
La
Cina è però anche il primo partner commerciale del Vietnam e di questa
realtà la leadership stalinista al potere a Hanoi è ovviamente
cosciente. Prima della visita a Washington, infatti, lo scorso aprile il
segretario del Partito Comunista si era recato a Pechino su invito del
presidente, Xi Jinping, in occasione dei festeggiamenti per i 65 anni di
relazioni diplomatiche tra i due paesi vicini.
Il
Vietnam ha poi intensificato i legami con altri paesi della regione
alleati di Washington, come il Giappone e le Filippine, anche se, come
già ricordato, il rapporto con la Russia, che dura dai tempi della
Guerra Fredda, continua a essere piuttosto solido.
Ciononostante,
è innegabile che l’avvicinamento agli Stati Uniti sia il dato più
significativo della politica estera vietnamita di questi anni.
All’interno del regime ci sono sezioni che spingono indubbiamente per
una rottura ancora più netta con la Cina e per riorientare il paese
verso gli Stati Uniti e i loro obiettivi strategici in Asia orientale,
con la conseguente accelerazione delle “riforme” di libero mercato sul
fronte interno.
Un’altra fazione, al contrario, auspica scelte
più prudenti ed equilibrate, invitando a mantenere rapporti amichevoli
sia con Washington sia con Pechino, vista soprattutto l’importanza della
Cina per l’economia domestica.
Come per altri paesi asiatici che
si trovano a fare i conti con un dilemma simile, tuttavia, anche per il
Vietnam sarà sempre più problematico conservare l’equilibrio attuale in
un quadro segnato dalla crescente aggressività degli USA nei confronti
della Cina. Di questa difficoltà sembra essere ben consapevole la
leadership di Hanoi, tanto che la cordialissima vista appena conclusa di
Nguyen Phu Trong a Washington potrebbe avere segnato la strada per le
future scelte di politica estera del regime vietnamita.
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