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04/08/2015

Il nuovo Suez allarga la grandezza d’Egitto

Stupore d’Africa - Otto miliardi e mezzo di dollari, più altri cinque per la revisione entro il 2023, e il tratto del nuovo Canale di Suez che amplifica la portata e il passaggio di navi e merci, è stato realizzato in uno anziché tre anni di lavori. Tempo giudicato sorprendente dallo stesso segretario della Camera di Navigazione Internazionale Peter Hinchliffe, figurarsi dalla stampa locale che ne divulga entusiasticamente l’apertura di giovedì 6 agosto come un vero regalo dell’Egitto al mondo. Il miracolo è frutto dell’impegno con cui il presidente Al Sisi ha preso a cuore l’impresa, con essa il Paese potrà vantare il rilancio d’una modernizzazione che trova partnership in tanto Occidente, Italia in bella vista. Oltre alla propaganda di ritorno per il regime, che ha gravissimi problemi di sicurezza interna, c’è un interesse diretto del business militare, ampiamente nutrito col controllo di transiti e dogana nella nota via mercantile dal Mediterraneo al Mar Rosso. Non si conoscono le cifre, si vagheggia di miliardi di dollari, che lo stesso attuale ministro dell’industria Mounir Fakhry Abdel Nour (di recente presente all’Expo milanese) non ha voluto quantizzare. Le aziende controllate dalla lobby delle stellette vantano diritto di confisca di terreni lungo il percorso, mentre le ditte che s’appoggiano al Consiglio Supremo delle Forze Armate godono di tariffe preferenziali e investimenti sgravati da oneri fiscali. Chiacchierate per il versamento di tangenti durante l’era Mubarak, sono tuttora esentate da revisioni contabili. Forse avrebbero lavorato anche sotto il governo islamico, egualmente interessato al progetto d’un Canale ampliato, che avrebbe visto giungere finanziamenti dal Qatar. Non ce n’è stato il tempo.

Benefici economici, malefici ambientali - Ma gli analisti anti Fratellanza sostengono che in un’ipotesi del genere il clan aziendale dei generali sarebbe stato fatto fuori. Congetture a parte, nel gennaio del 2014 il vice ammiraglio Mohab Mamish ha assunto il controllo della preposta “Autorità del Canale di Suez”, scegliendo le aziende straniere e locali che hanno sviluppato i lavori. I petrodollari sono giunti comunque dal Golfo, in questo caso dalla casa Saud, protettrice d’ogni mossa del generale Sisi, e dagli Emirati Arabi Uniti (quest’ultimi, con 40 miliardi di dollari, finanziano un’ulteriore iniziativa di propaganda del regime militare: le case per la gioventù d’Egitto). Company statunitensi, olandesi, belghe hanno lavorato ventiquattr’ore al giorno all’ampliamento del bacino di Suez con ritmi cinesi ed efficienza nipponica. 21 miglia di nuovo canale sono stati scavati nel deserto, 22 miglia d’un tratto preesistente risultano adattati al passaggio di scafi di maggiore stazza, che ammonteranno dal 2023 a un centinaio di navi giornaliere (ora ne passano la metà), undici ore il transito per giungere da Port Said a Suez. Tutto ciò è stato sottolineato con orgoglio da committenti ed esecutori. Eppure scienziati e ricercatori lanciano un allarme, perché negli ultimi quarant’anni s’è verificato un cospicuo incremento di creature marine non indigene nel Mediterraneo. Delle 700 tipologie individuate dall’apertura del canale - realizzata dalla compagnia francese diretta da Ferdinand de Lesseps nel decennio compreso fra il 1859 e il 1869 - oltre la metà provengono da migrazioni dal mar Rosso. Molte di queste specie risultano nocive per l’habitat e minacciano la salute, mentre altre fagocitano famiglie ittiche nutrienti per la catena alimentare umana. Noto, perché studiato da varie Università, il caso del lagocephalus sceleratus (nomen omen) ha attirato l’attenzione dei ricercatori per l’alta percentuale tossica (tetrodotoxin) presente nelle sue carni se consumato. Poi ci sono pesci erbivori che devastano i fondali di alghe e gigantesche meduse (rhopilema nomadica) che non permettono alcuna attività balneare negli spazi di mare infestati.

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